Operai: quel che non si dice
Due voci operaie. Quelle che non hanno quasi mai cittadinanza nei media, nella politica, nei discorsi della gente che si crede “per bene”. La prima trovata in rete (per contatti: www.circoloprimomaggio.org), la seconda che arriva da un amico, operaio – sull’orlo della pensione – a Termini Imerese. (db)
Questa breve testimonianza che l’operaio Enrico Rondelli ci ha inviato meglio di tante analisi descrive l’attuale situazione dei lavoratori, le scelte, le tecniche ed i metodi di molti datori di lavoro, la solitudine operaia (anche se iscritti al sindacato e magari membri del collegio dei probiviri della Fiom provinciale come in questo caso), l’essere buttati via dopo essere stati spremuti e sfruttati lavorativamente e sindacalmente, il doversi reinventare un lavoro a 54 anni nella difficoltà del vivere quotidiano.
Ci sembra una storia esemplare, ma purtroppo non unica anzi molto generalizzata nella cosiddetta “regione rossa” (l’ Umbria) il che dovrebbe far riflettere molti.
Luigino Ciotti – presidente circolo culturale Primomaggio
Mi chiamo Rondelli Enrico, ho 54 anni e vivo a Fossato di Vico. Per guadagnare onestamente di che vivere facevo il saldatore con contratto a tempo indeterminato dal 2001 in un’azienda metalmeccanica, la Cml Luman, con sede in Fossato di Vico che per esigenze lavorative mi aveva delocalizzato, insieme ad altri lavoratori, presso il cementificio Colacem di Padule di Gubbio per sopperire a manutenzioni straordinarie e ordinarie.
Nel marzo 2009 la Cml Luman di Lupini Valterino e soci aprì procedimento concordatario causa andamento di crisi e situazione debitoria sia nei nostri confronti (operai) che di fornitori.
Io insieme agli altri miei colleghi che prestavamo opera presso il sopraindicato cementificio fummo immediatamente riassorbiti da una nuova ragione sociale la Bp metalmeccanica di Berrettoni (genero di Lupini Valterino,) passando ovviamente con mediazione sindacale Cgil e Cisl.
Fummo riassorbiti chi con contratto a tempo determinato ad 1 anno (io e altri 12 per la precisione) e chi proseguendo con contratto a tempo indeterminato.
Dal marzo 2009 giungemmo al 31 marzo 2010 facendo alternativamente cassa integrazione; chi rimaneva al lavoro spesso veniva chiamato a prestare lavoro straordinario e a non rispettare le 11 ore di riposo tra turno e turno, generando frizioni e conflittualità tra noi e tra noi e le aziende interessate, la Colacem e la Bp metalmeccanica.
I sindacati non furono in grado di fare chiarezza su ciò e neppure di fare emergere tale incongruenza sugli organi di comunicazione che secondo la mia opinione era la cosa MINIMA.
Dal 1 aprile la Colacem a causa dell’andamento delle vendite ha chiesto 4 operai in meno alla Bp metalmeccanica.
Io feci presente che vi era anche la possibilità di rimanere tutti al lavoro senza esclusione di alcuno (contratto di solidarietà) ovvero la spartizione del lavoro rimasto, orario complessivo diviso tra gli operai, ma non se ne fece nulla.
Dopo un mese cioè a maggio di quest’anno, dopo un mese di cassa integrazione, furono richiamati 9 dei 13 dipendenti con contratto annuale (quindi in scadenza nel marzo 2011), con paga oraria diminuita di 1 euro l’ora e gli altri 4, rimasti fuori dal ciclo produttivo, fummo messi in mobilità.
Ma in tutto ciò, secondo me, l’anomalia sta nel fatto che coloro che continuano a lavorare vengano chiamati dall’azienda:
1) a fare del lavoro straordinario e al non rispetto del periodo di riposo, tra un turno e l’altro di 11 ore di riposo,
2) a lavorare il sabato pur sapendo di avere dipendenti in cassa integrazione e dipendenti iscritti nelle liste di mobilità.
Questo comportamento dei soggetti interessati lo ritengo non etico e non legale secondo le norme attualmente vigenti e nell’immobilismo totale anche dei sindacati.
Questa lettera mi arriva invece da un vecchio amico al quale avevo chiesto un parere sull’ultimo accordo a Termini Imerese. La dice lunga sull’incompetenza dei vertici Fiatcome dei politici ma anche sulle vecchie leggende razziste che vorrebbero sfaticati e/o poco bravi gli operai del Sud.
Ciao Dan,
va bene che si salvano tutti i posti di lavoro, compreso l’ indotto; va bene che lo stabilimento continua a essere quello che è sempre stato, cioè una fabbrica di auto che non farà perdere quelle che sono le conoscenze professionali dei lavoratori.
Ti porto degli esempi: negli anni 80 noi facevamo la Panda assieme allo stabilimento di Mirafiori; bene, le vetture andavano in Germania, i tedeschi volevano SOLO le vetture prodotte a Termini Imerese; è successo che una volta arrivate in Germania auto venute da Mirafiori le hanno rimandate indietro (questa è storia); nel 1991 sono andato in trasferta a Cassino per riparare delle vetture danneggiate (piccoli interventi di verniciatura, essendo io esperto, mi hanno mandato lì), all’epoca facevano la Tipo e la Tempra; bene, dopo un mese che eravamo lì (4 operai) dovevamo rientrare in sede per essere sostituiti dai nostri colleghi di Mirafiori (ai quali nulla voglio togliere e nutro per loro il massimo rispetto). Il capo officina di allora, davanti a noi telefona non so a chi, però ricordo queste testuali parole: io voglio gli operai di Termini Imerese!
Ancora: nel 2005 mi mandano a Melfi per “imparare” come si verniciavano le Lancia Ypslon bicolore, dato che dovevano costruirla da noi (non si ricordavano che avevamo fatto anni prima la Panda bicolore). Arrivo lì e vedo con i miei colleghi di Termini che lavoravano come pazzi, smontavano porte per poi rimontarle col rischio di danneggiarle, insomma abbreviando, un “mare” di lavoro per fare(in 6 operai), 12 vetture in un turno di lavoro. Torniamo a Termini, cominciamo a fare la Ypslon bicolore, 6 operai, senza smontare nulla, lavorando in coppia con tutta tranquillità senza “ammazzarci” di lavoro, circa 40 vetture a turno. Vetture che prima venivano spedite con le navi che partono dal porto di Termini Imerese (dista dallo stabilimento circa 4 Km.), ora le portano a Catania che dista 200 Km. (Boh!). Mi domando: come fa Marchionne a dire che le vetture prodotte da noi gli costano circa 600-800 euro in più?
Bene, ben venga Rossignolo ma, se fra 6 mesi, 1 anno, succede un calo di vendite ci ritroveremo di nuovo con la cassa integrazione, il rischio di chiusura (la concorrenza è spietata, molti grossi gruppi industriali si stanno associando, vedi i tedeschi), quindi io direi: già che ci siamo cambiamo completamente tipo di lavoro, io non sono un industriale, ma si potrebbe – ripeto: potrebbe – usare la fabbrica per riciclare tutto l’ alluminio, quindi fonderie, tutto il ferro,il cartone, la carta, il Pet da dove si ricava un filo tipo lenza che viene impiegato nelle manifatture di maglioni, camice ecc., fare macerare l’ umido per farne concime organico, forse potrebbe essere un’ idea.
Detto questo, io penso che non dipende da me ma se si vuole che Termini Imerese non ritorni di nuovo col tempo a dovere lottare per il posto di lavoro perchè non si vendono le macchine, si dovrebbe cercare un’altra alternativa.
Purtroppo non me ne intendo, non sono industriale nè politico, faccio l’operaio e vorrei per me, per i miei figli e tutte le altre persone che vivono in questo misero territorio una certezza per il futuro.
Un grosso abbraccio da un vecchio amico che rovescia i colori sulle auto e purtroppo anche nei suoi polmoni
Una volta venivano denominati “casi limite” oggi sono la norma. Il mondo del lavoro è cambiato ma in peggio. Non c’è rispetto per gli “eroi” che si spaccano la schiena per poi essere scartati come rifiuti.
grazie Gianluca,
semprechè la mia memoria funzioni non ci conosciamo ma queste tue parole così semplici e sagge è come se fossero mie o condivise da sempre
db