Nicaragua: orteguismo sempre più isolato
Le ultime notizie, non proprio allegre, dal paese ortego-chayista.
di Bái Qiú’ēn
Mi unicornio azul ayer se me perdió / Pastando lo dejé y desapareció (Silvio Rodríguez, Unicornio, 1982).
Se si analizzano con attenzione le sue note carcerarie si può agevolmente comprendere che Gramsci riteneva che quanto più una classe sociale è culturalmente e politicamente egemonica, tanto più può consentire e consente a quelle avversarie la possibilità di organizzarsi in forze politiche autonome.
Nonostante la propaganda si sforzi di dipingere con colori vivaci e allegri il Nicaragua attuale, appare sempre più evidente l’esistenza di un sistema istituzionale e di un partito politico debilitati dalle continue “purghe” di staliniana memoria.
La realtà fattuale del Nicaragua odierno dimostra ogni giorno di più che l’orteguismo non ha alcuna egemonia all’interno della società anzi, si percepisce esso stesso sempre più isolato sia internamente sia esternamente (la propaganda è buona soltanto per chi ci crede e spesso è notevole il potere dell’autosuggestione). Il che genera da parte dei governanti una notevole paranoia nei confronti di tutto ciò che è critico. Dopo l’ultima sfarzosa celebrazione del 19 luglio con canti e balli, alcuni fatti (regolarmente ignorati dalla propaganda embedded) lo dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio.
Uno è relativo all’ambasciatore brasiliano (del governo di Luiz Inácio da Silva, Lula), il quale non ha partecipato alla celebrazione del 45° anniversario del trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista. Il governo di Daniel e Rosario ha perciò pensato bene di ordinargli di fare le valigie e andarsene dal Paese.
Non si conosce esattamente la motivazione per cui Breno de Souza Brasil Dias da Costa, diplomatico accreditato a Managua dal 16 agosto 2022, abbia deciso di non accettare l’invito ufficiale della coppia reale (se sia stata una sua decisione personale o una scelta del ministero degli Esteri brasiliano), ma è certo che in nessun Paese del mondo sarebbe obbligato a partecipare a una manifestazione di partito (quale è ormai a tutti gli effetti l’anniversario del 19 luglio che con l’evento storico del 1979 non ha più nulla a che vedere). Di un partito personalistico, per giunta. Che sia il partito di governo è poi del tutto irrilevante.
Essendo ormai lontano anni luce il periodo in cui Lula sosteneva il governo sandinista, i rapporti politici tra lui e Daniel oggi non sono certamente eccellenti, neppure buoni né discreti: lo stesso Lula, il 22 luglio (tre giorni dopo la celebrazione del 45° anniversario della Rivoluzione Popolare Sandinista) ha dichiarato in una intervista che dal giugno 2023 il presidente del Nicaragua non risponde alle sue chiamate telefoniche: evidente indisponibilità al dialogo con chiunque non la pensi esattamente come lui (in quel giugno 2023 papa Francesco aveva chiesto ufficialmente a Lula di intercedere presso Daniel per la situazione carceraria del vescovo Rolando Álvarez, poi scarcerato e spedito a Roma nel gennaio 2024, come un pacco postale).
Assieme alla maggioranza dei Paesi latinoamericani, nel marzo dello stesso 2023 il Brasile di Lula protestò ufficialmente per l’esilio forzato e la cancellazione dall’anagrafe di oltre trecento oppositori nel gennaio precedente. In quell’occasione, la reazione di Managua fu il richiamo in Patria della sua ambasciatrice a Brasilia dal 2013 (Lorena del Carmen Martínez) e la sua sostituzione un anno esatto dopo. Lasciando per un lungo periodo di tempo senza titolare la propria sede diplomatica.
Le relazioni tra Brasilia e Managua, al di là di ogni facile propaganda, sono decisamente ai minimi storici e il governo di Lula sta cercando in ogni modo di trovare una soluzione diplomatica. La quale è possibile soltanto se l’interlocutore è disposto al dialogo, al confronto. Il ministero degli Esteri brasiliano ha comunque avvertito Managua delle possibili conseguenze in caso di conferma dell’espulsione.
Per quanto il Brasile non sia un Paese che rompa facilmente le relazioni diplomatiche né che espella quotidianamente ambasciatori e consoli o funzionari diplomatici, com’era facilmente prevedibile la prima risposta è stata l’applicazione del principio di reciprocità, con l’espulsione dell’ambasciatrice nicaraguense Fulvia Patricia Castro Matus.
Il ministero della Verità ha immediatamente messo in moto i propri ingranaggi e Rosario Murillo nel suo sproloquio in Neolingua dell’8 agosto ha annunciato ufficialmente che l’ambasciatore brasiliano «è uscito dal nostro Paese» e che l’ambasciatrice nicaraguense «è in viaggio per il Nicaragua» e, appena arriverà, sarà nominata ministra dell’Economia Familiare. Nessun accenno all’espulsione reciproca, come se si trattasse di due diplomatici che partono per le ferie nei rispettivi Paesi d’origine.
A prescindere dalle ulteriori “ritorsioni” che eventualmente deciderà prossimamente Brasilia, è palese e innegabile il crescente isolamento internazionale dell’orteguismo e gli inquilini di El Carmen ne sono ben coscienti. Non essendo però dotati di alcun pensiero logico, non si rendono conto che agendo in questo modo non fanno che accrescere questo isolamento a livello continentale (e non solo): le tensioni se non proprio la rottura dei rapporti diplomatici con varie motivazioni (quando le hanno fornite) sono già effettive con Argentina, Cile, Ecuador, Panamá e Colombia. Gli unici Paesi latinoamericani presenti il 19 luglio erano Cuba e Venezuela. Fuori dal subcontinente, soltanto la Russia di Putin era rappresentata.
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Una vera e propria metafora di questa vicenda politico-diplomatica la si è vista alle olimpiadi di Parigi. Dal 1968 in Messico, quando il Nicaragua partecipò per la prima volta a questa manifestazione sportiva internazionale, neppure una medaglia di cartone è stata vinta. Qualche speranza l’aveva sollevata la judoka Izayana Adelina Marenco Vivas, che però il 2 agosto ha perso negli ottavi di finale e la medaglia d’oro è andata proprio alla brasiliana Beatriz Souza, contro la quale la nicaraguense ha perso 10-0.
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Se all’inizio di luglio del 1988 il governo sandinista aveva espulso alcuni diplomatici statunitensi, compreso l’ambasciatore Richard Melton, perché avevano organizzato e diretto, oltreché partecipato a una manifestazione dell’opposizione a Nandaime (e il governo di Washington aveva a sua volta espulso l’ambasciatore Carlos Tünnermann), la situazione era allora assai diversa dall’attuale. C’erano il blocco economico-commerciale e la cosiddetta guerra di “bassa intensità” voluti dal presidente Ronald Reagan. Per prassi internazionale, i diplomatici non partecipano alle attività partitiche nei Paesi in cui sono accreditati (a nessuna attività politica, di nessun genere). Essendo a tutti gli effetti uno straniero, Breno de Souza Brasil Dias da Costa ha rispettato alla lettera l’art. 27 della Costituzione nicaraguense: «Gli stranieri […] non possono intervenire negli affari politici del paese». Poiché per primi Daniel e Rosario non rispettano le leggi e la Costituzione (o le cambiano a seconda di come tira il vento), pare evidente che la grave colpa dell’ambasciatore brasiliano sia stata proprio aver adempiuto al pie de la letra al dettato costituzionale del Paese che lo ospitava.
In un Paese che funziona al contrario, è gravissimo rispettare quel chiffon de papier che è denominato «Costituzione».
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Non è che internamente le cose vadano molto meglio. Le crepe nella militanza sandinista (oltreché nelle stesse sfere del potere a vari livelli) si allargano e raggiungono persino i più “fedeli”, non più disposti a obbedir tacendo alle intemerate di Rosario. Entra perciò in funzione il meccanismo inconscio del «molti nemici, molto onore», che qualche propagandista dotato di una fervida immaginazione interpreta come «rivoluzione permanente».
Fin dal 1990 il comisionado general Marcos Alberto Acuña Avilés, detto El Mapache, faceva parte della scorta personale di Daniel e dal 10 gennaio 2007 ne era diventato il capo. Uomo di estrema fiducia e da una vita nei ranghi della polizia era considerato uno dei suoi seguaci più leali e fedeli: da 25 anni seguiva Daniel passo dopo passo, senza mai perderlo di vista (nella maggior parte delle foto ufficiali appare sempre a poca distanza da Daniel). A quanto pare si era rifiutato di eseguire un ordine superiore (non si sa esattamente quale) e, stando al laconico comunicato ufficiale della polizia, con la sua decisione «ha messo a rischio la sicurezza pubblica». È stato immediatamente radiato dai ranghi, con disonore.
Il fatto sarebbe accaduto il 24 giugno, però soltanto il 7 agosto (un mese e mezzo dopo) la Policía Nacional ha emesso il comunicato ufficiale, quando ormai la voce correva di bocca in bocca con contorno di commenti più o meno salaci. Sarà giudicato con l’accusa di «violazione del proprio dovere, disobbedienza e insubordinazione».
È tipico della propaganda orteguista “motivare” le proprie scelte e le proprie decisioni soltanto dopo che le notizie hanno fatto il giro del Paese, con comunicati che non motivano né spiegano nulla. La notizia divenuta vox populi non può che essere stata diffusa da un membro della stessa scorta di Daniel e viene da chiedersi: quante altre situazioni simili si sono verificate all’interno della polizia e dell’esercito (o di altre istituzioni), ma non hanno avuto l’onore della diffusione orale e di un successivo inutile comunicato ufficiale?
Stando alle voci di cui sopra, in realtà il casus belli sarebbe dovuto a un tipico rifirafa del capo-scorta [discussione accalorata] nientemeno che con Rosario Murillo, con la quale la tensione esisteva da parecchie settimane. Come vicepresidente, Rosario è abituata a impartire ordini superiori e a essere prontamente obbedita senza se e senza ma.
Secondo voci non confermate, a causa di un forte aumento della pressione sanguigna, il capo della scorta destituito è stato quasi subito ricoverato all’ospedale della polizia «Carlos Roberto Huembes» (nella zona del Siete Sur a Managua, all’inizio della carretera vieja a León), sorvegliato a vista dai suoi ex commilitoni e non può comunicare con nessuno, neppure con i propri familiari.
Qualcuno ricorda il recente caso di Humberto Ortega, fratello di Daniel?
L’ex comandante guerrigliera Dora María Tellez ha commentato: «Il fatto che vede coinvolto Acuña sembra essere una decisione esclusiva di Murillo, perché Acuña lavora per Ortega da quasi 30 anni, e questo dimostra che il potere di Murillo è praticamente totale e Daniel Ortega si limita a ratificare le decisioni che prende Murillo, il che rende evidente la decomposizione del regime, il quale non ha più alcuna fiducia in nessuno».
Pure questo evento è indicativo dell’isolamento crescente che soffre la coppia regnante, che lo voglia o meno. E anche in questo caso, non è detto che la decisione assunta nei confronti del soggetto in questione serva da “monito” per tutti i restanti poliziotti in servizio (del resto, proprio uno di loro è per forza il divulgatore della notizia).
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Chiunque il 23 giugno abbia seguito la celebrazione della nascita di Carlos Fonseca Amador non ha faticato a notare che nessun familiare del fondatore del FSLN era presente. L’importanza di questa celebrazione e di Carlos è stata sottolineata dal lunghissimo e articolato discorso di Daniel: meno di un minuto. Giusto il tempo di lasciare un fiore sulla tomba e biascicare alcune parole senza microfono.
Un mese dopo, il 26 luglio, è stato posto agli arresti domiciliari Carlos Fonseca Terán, figlio del fondatore del FSLN caduto in uno scontro con la Guardia Nacional nel novembre 1976. Eppure negli ultimi anni soprattutto dopo le proteste popolari del 2018, Carlos hijo è stato uno strenuo difensore dell’orteguismo al potere. Fin da aprile, sia a lui sia alla moglie (Arlen Yaosca Cuadra, ex giudice del lavoro cacciata dalla magistratura nel marzo del 2023) sono stati sequestrati cellulari e computer e non possono uscire dalla loro abitazione nella Lomas del Valle a Managua. Naturalmente, nulla di ufficiale è stato comunicato, per cui non si conosce l’eventuale reato da loro commesso (quando vox populi sarà incontenibile, di certo uscirà un laconico comunicato su El 19 Digital, bollettino ufficiale del ministero della Verità).
Carlos hijo, che ho conosciuto parecchi anni fa quando era il segretario regionale del FSLN a León e all’epoca assai critico nei confronti di Daniel per il patto scellerato con Arnoldo Alemán, coordinava di recente un gruppo di WhatsApp denominato «La Comune», del quale facevano parte anche alcuni docenti universitari dichiaratamente sandinisti (almeno sette di loro sono stati arrestati e rinchiusi in carcere). Il bello è che non si sa quale fosse l’attività effettiva di questo gruppetto di militanti sandinisti (pare una decina di componenti in tutto), ma l’azione repressiva suddetta indica che nel Nicaragua orteguista non esiste la segretezza delle comunicazioni: telefoni, mail, lettere ecc. sono sotto controllo, in palese violazione delle leggi internazionali.
Non solo Carlos hijo era assente il 23 giugno, ma neppure altri familiari hanno ritenuto conveniente partecipare. La motivazione di queste assenze è presto detta: una sorta di “caccia alle streghe” nei confronti della famiglia Fonseca, che ha avuto come risultati successivi:
1. tra le centinaia di ONG e associazioni assassinate in questi ultimi anni (dal dicembre 2018 sono oltre 3.600), nell’ottobre 2023 ha subito questa sorte pure quella diretta da Tania Fonseca Terán, sorella di Carlos hijo (Asociación de Médicos Especialistas).
2. dopo otto anni di lavoro, il figlio di Carlos hijo, Carlos Manuel Fonseca López il 30 luglio è stato licenziato da ProNicaragua, l’agenzia governativa diretta da Laureano Ortega Murillo.
3. Pedro Munguía Fonseca, figlio della sorella di Carlos hijo Haydeé Fonseca Terán, è stato cacciato dalla magistratura.
Non si sa se Carlos Alberto Fonseca Amador, il fondatore del FSLN e «tayacán vencedor de la muerte», si stia rivoltando nella tomba in quella che fu la Plaza della fu Revolución. Di certo la vedova del fondatore del FSLN, María Haydee Terán, presenta un quadro clinico di alterazione emotiva a causa proprio di ciò che sta accadendo ai suoi figli e ai suoi nipoti.
È questa la vera «rivoluzione permanente» dell’orteguismo.
Inoltre, la sostituzione continua del personale diplomatico, dei ministri e dei funzionari pubblici è una vera e propria giostra quotidiana da oltre un anno (la “purga” nella magistratura aveva raggiunto di recente persino la presidenta della Corte Suprema di Giustizia, Alba Luz Ramos). Negli ultimi mesi sono pure avvenute numerose destituzioni di segretari politici locali del FSLN orteguista, per supposta corruzione. Qui si dovrebbe aprire un capitolo a parte: ammesso che davvero tutti gli accusati siano colpevoli, risulterebbe che il sistema si è finora retto sulla diffusa e tollerata corruzione a tutti i livelli (altra zappata sui piedi che Daniel e Rosario si sono dati da soli). Sia come sia, pure nelle file di quello che fu il FSLN, a tutti gli effetti, nessuno è al sicuro, neppure i più fedeli, quando si raggiungono i livelli di paranoia che si vivono a El Carmen, dove si sentono sempre più isolati e fanno di tutto per accrescere l’isolamento.
In Neolingua, la stessa Rosario nel suo quotidiano sproloquio del 9 agosto ha parlato della riorganizzazione del personale statale e pubblico: «hemos avanzado en el Reordenamiento, Rediseño y Validación del Funcionamiento de todas nuestras Instituciones». Le purghe nelle varie istituzioni in Nicaragua oggi si chiamano «riordinamento» e, stiano attenti tutti quelli ancora non «riordinati» (sinonimo di fedeli sostenitori di Rosario nella Neolingua) poiché «[Hemos] Avanzado, no estamos diciendo que hemos concluido».
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Mancando il consenso al FSLN frutto dell’egemonia (soprattutto culturale) esistente negli anni Ottanta del secolo scorso, l’ortego-chayismo non può che fare ricorso alla coercizione, all’uso della forza. Il che comporta la perdita di altro consenso, in una spirale che è destinata al totale isolamento. È quello che gli antichi alchimisti chiamavano Ouroboro, il serpente che si morde la coda.
Scomodando ancora il buon Gramsci, non c’è dubbio che l’attuale FSLN orteguista «è tecnicamente un organo di polizia e il suo nome di Partito politico è una pura metafora di carattere mitologico».
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Un amichevole suggerimento di lettura (in spagnolo) per Rosario, Daniel e quanti altri vivono a El Carmen: Christine Buci-Glucksmann, Gramsci y el Estado, Siglo XXI Editores, México D.F. 1979 (varie riedizioni successive).
Ammesso che siano in grado di leggere 500 pagine, comprendere cosa c’è scritto e ragionarci sopra.
Dovrebbero pure riflettere sull’indicazione che Machiavelli dava al Principe nel XVIII capitolo della sua opera: non soltanto deve essere forte come un leone ma pure scaltro come una volpe. «Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano» (coloro che basano il loro potere solo sulla forza e sulla violenza, non sono politici esperti).
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Per concludere con una nota di colore, come si dice in gergo giornalistico, da anni in Nicaragua non è neppure possibile ridere e scherzare, fare dell’ironia o della satira più o meno pubblica.
Steve Hideki Morales, un giovane attore comico, dal 2013 iniziò a pubblicare in una pagina di Facebook (Hideki Vision) alcune satire che avevano come protagonista Rosario Murillo. Dal 2014 ha iniziato a ricevere telefonate minatorie. Stando alle dichiarazioni dello stesso Hideki «Mi hanno detto soltanto che stavano chiamando dalla Segreteria del Frente Sandinista. Stiamo parlando con Hideki? Guarda, sarebbe meglio che che tu smettessi di fare questa satira, perché stai facendo qualcosa di sbagliato, astieniti dal farlo perché potresti essere in pericolo. Alcuni militanti o simpatizzanti potrebbero equivocare, per cui faresti bene ad astenersi dal continuare».
Ciò è assai più che una censura e dal 2016 Hideki vive in clandestinità. Fece comunque una breve apparizione all’interno della UCA (Universidad Centroamericana) nei giorni delle proteste del 2018.