Osvaldo Bayer, l’indomito ribelle

Lo scrittore argentino era nato il 18 febbraio 1927. Militante per la giustizia sociale fino all’ultimo giorno della sua vita (Il 24 dicembre 2018) insieme a Rodolfo Walsh rappresenta una delle voci controcorrente del suo Paese.

di David Lifodi

Osvaldo Bayer ha vissuto molte vite: giornalista, intellettuale, scrittore, romanziere, insegnante, tifoso di calcio del Rosario Central, ma soprattutto anarchico. La sua vita è stata all’insegna della coerenza politica e del rigore morale, in prima linea in tutti i conflitti sociali che hanno attraversato l’Argentina nei 91 anni durante i quali è stato in vita.

Bayer è scomparso alla vigilia di Natale, il 24 dicembre 2018: un paradosso, per un ateo come lui, che aveva in odio il consumismo sfrenato tipico di quel periodo dell’anno. La morte di Osvaldo rappresenta un duro colpo per tutti coloro che ancora si ostinano a sperare in un mondo migliore. La sua figura era imprescindibile in occasione delle marce delle madres de la Plaza de Mayo e di ogni gruppo o movimento che rivendicava la giustizia sociale. “Non si può parlare di democrazia, mentre ci sono ragazzi che muoiono di fame”, disse una volta parlando del suo paese, l’Argentina, che pure, in epoca kirchnerista sembrava aver intrapreso dei timidi progressi sulla strada dei diritti civili, politici e sociali.

Nato il 18 febbraio 1927 nella provincia di Santa Fe, Bayer è uno di quei personaggi che ha fatto la storia dell’America latina. Pur senza militare in alcuna organizzazione politica, lo scrittore appariva sulla scena ogni volta che c’era da difendere i diritti degli oppressi, tanto da essere soprannominato significativamente el vindicator. Dopo aver studiato storia in Germania negli anni Cinquanta, Bayer tornò in Argentina e, stabilendosi in Patagonia, raccontò la mattanza degli operai in sciopero di cui si rese responsabile l’esercito del suo paese tra il 1920 e il 1921 grazie ad un impegnativo lavoro documentaristico e storiografico. Nel 1975, dopo aver pubblicato il celebre La Patagonia rebelde, fu costretto a tornare di nuovo in Germania, stavolta in esilio, a causa delle minacce ricevute ancora prima che il regime militare, il 24 marzo 1976, si instalasse con la forza alla Casa Rosada. Lo scrittore tornerà in Argentina soltanto nel 1983, quando era già caduta la dittatura, che peraltro aveva provveduto a bruciare i suoi libri e a censurare il film tratto da La Patagonia rebelde.

Bayer fece scoprire agli argentini le battaglie per l’ambiente, quelle delle donne e dei popoli originari in un territorio, la Patagonia, sterminato e poco conosciuto anche dai suoi stessi connazionali. Tra le sue opere più conosciute anche Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia, dedicato alla storia dell’anarchico italiano che emigrò in Argentina (quando il fascismo giunse al potere in Italia) e fu giustiziato nel 1931, Los anarquistas expropriadores e Qué debemos hacer los anarquistas (quest’ultimo uscito nel 2014).

Bayer ha dedicato la sua vita alla difesa della Patagonia. Poco era cambiato, negli anni Duemila, rispetto al 1920, quando lo scrittore la descrisse come “una terra argentina lavorata da peones cileni e sfruttata dai latifondisti”. Lo sterminio dei popoli indigeni, raccontato da Bayer in un reportage giornalistico già nel 1963, avrebbe rischiato di ripetersi nel 2003, quando il giornalista condusse una battaglia a fianco degli abitanti della cittadina di Esquel affinché non fosse aperta una miniera per l’estrazione dell’oro. Tuttavia, la sua preoccupazione non era di carattere soltanto ambientalista, bensì aveva un orizzonte più strettamente politico, quello legato all’esproprio della terra da parte dell’oligarchia terriera a scapito dei pueblos originarios. Del resto, già nel 1958, su La Chispa, un giornale fondato dallo stesso Bayer, raccontò il furto della terra di Cushamen denunciando i traffici di Julio Telleriarte, deputato dell’Unión Cívica Radical.

Anche le rivendicazioni delle donne occuparono un ruolo di primo piano nella vita di Osvaldo Bayer, a partire dalla sceneggiatura del film Sin querer, dedicato alla storia di una mapuche in cerca del padre desaparecido, e dal suo ultimo libro (suo primo romanzo) Rainer y Minou, in cui narra la vita di una ragazza che si autodefinisce come ebrea vittima dei nazisti, ma in realtà argentina, che si innamora del figlio di un criminale del Reich. E ancora, Las putas de San Julián, opera teatrale censurata nel 1974 e rappresentata a teatro soltanto venti anni dopo.

Anche a seguito del suo ritorno in Argentina, Bayer chiarì che non avrebbe mai perdonato il regime militare, promettendo che lo avrebbe denudato e reso ridicolo di fronte alla storia, e così ha fatto. La storia, per lui, era il tramite per rendere omaggio agli ideali degli oppressi e dei resistenti del suo paese. Di indole anarchica fin da giovane, lo scrittore rifiutò di fare il servizio militare e, per punizione, fu costretto a pulire per diciotto mesi gli uffici dei militari di alto grado.

La sua vita è piena di aneddoti di ogni tipo, impossibile raccontarli tutti, ma a Bayer piaceva ricordare, una volta rientrato dall’esilio, ciò che gli disse un militare all’aeroporto bonaerense di Ezeiza, nel 1976, quando lo scrittore stava per lasciare il paese: “Lei sta per lasciare definitivamente il nostro paese, non tornerà più a calpestare il territorio della nostra patria”. E invece Osvaldo Bayer ce la fece perché, come amava dire il suo amico Osvaldo Soriano, era un osso duro da rodere.

Di fronte a Mauricio Macri, l’attuale presidente argentino, più volte Bayer disse che la ribellione sarebbe proseguita. Hasta siempre, viejo rebelde.

 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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