Ottone Bismarck e chi crede nelle leggi
In «Ci manca(va) un Venerdì» – numero 140 – l’astrofilosofo Fabrizio Melodia sgattaiola fra Petronio e Calamandrei, Saint Just e Vico, Platone e Giordano Bruno
«Meno le persone sanno di come vengono fatte salsicce e leggi, meglio dormono la notte» si lasciò scappare il fondatore dell’Impero Tedesco nonché primo Cancelliere del medesimo, il sagace Ottone di Bismarck, “Otto” per gli amici.
Con i tempi che corrono sono più matti coloro che ripongono fiducia nelle salsicce dei supermercati o quelli che si fidano delle leggi (che determinano anche come debbano essere prodotte le salsicce).
O forse, più prosaicamente «Che possono le leggi, là dove solo il denaro ha potere, | o dove la povertà non ha mezzi per vincere? | Persino quei filosofi, che passano i giorni gravati dalla cinica bisaccia, | finiscono anch’essi col vendere a fior di quattrini i loro assiomi. | Pertanto anche un procedimento legale è merce da mettere a mercato, | e anche il cavaliere che siede in giudizio non sdegna di farsi comperare»: così afferma Petronio, che nel “Satyricon” ebbe modo d’irridere la corrotta società romana, lasciandoci una testimonianza indelebile sul malcostume.
Se qualcuno dovesse mettere mano alla natura stessa della legge potrebbe venir nauseato dai “procedimenti chimici” e dalle necessità giuridiche … della società dei consumi, come da Capitalismo dominante.
Già il filosofo Giambattista Vico ebbe modo di osservare: «I deboli vogliono le leggi; i potenti le ricusano; gli ambiziosi, per farsi séguito, le promuovono; i principi, per uguagliar i potenti co’ deboli, le proteggono».
Parrebbe dunque che la legge debba essere prodotta per garantire la forza ai forti, facendo in modo che i deboli vogliano sottomettersi ad esse per tenere a bada i potenti, mentre seguono ambizioni e corse al potere.
In sostanza un bel caos primigenio, come da lapidaria frase del fervente cittadino francese (di madre rivoluzione) Louis Antoine de Saint Just: «E’ la forza che fa la legge».
Ritornando per l’ennesima volta al buon Platone: ricordando il pensiero del sofista Trasimaco, ebbe modo di affermare che la giustizia è solo e altro non può essere che l’utile del più forte.
Nel precedente post bottegardo, si era posta la questione della «servitù volontaria» di cui il filosofo francese Etienne de la Boetie si era fatto interprete: quanto di questa natura vessatoria e conservatrice delle leggi dovrebbe incorrere nella servitù volontaria di coloro che relegano la propria libertà?
Giordano Bruno – noto filosofaccio che spesso trova posto in codesta bottega – va decisamente nella direzione più positiva: «Il fine delle leggi non è tanto di cercar la verità delle cose e speculazioni, quanto la bontà de’ costumi, profitto della civilità, convitto di popoli e prattica per la commodità della umana conversazione, mantenimento di pace e aumento di republiche» mettendo però in risalto che le leggi, in questo caso, non sarebbero un utile economico per i potenti ma per la conservazione della razza umana, per l’aumento della cultura e la prosperità di tutti. Un modo assai positivo di intendere le leggi: forse l’unico possibile se vogliamo fare in modo che il mondo viva in pace e in armonia?
A concludere ecco la voce di Piero Calamandrei: «Signori giudici, che cosa vuol dire libertà, che cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi: che il popolo senta le leggi dello Stato come le sue leggi, come scaturite dalla sua coscienza, non come imposte dall’alto. Affinché la legalità discenda dai codici nel costume, bisogna che le leggi vengano dal di dentro non dal di fuori: le leggi che il popolo rispetta, perché esso stesso le ha volute così».
Difficile? Possibile?