Padri: fatica, fuga o cosa?
Una recensione – in lieve ritardo – ad «Astropapà» (ovvero «Il ruolo paterno tra stereotipi del passato e identità future») sulla rivista «HP-Hacca Parlante» (*)
«Hp-Accaparlante» è la rivista del Centro Documentazione Handicap di Bologna. E’ indirizzata «a quanti si occupano di attività educative, i cui contenuti sono intrecciati alle professioni, ai vissuti e agli strumenti di chi vive e opera in stretto rapporto con persone e situazioni svantaggiate. HP racconta esperienze e buone prassi a livello nazionale, storie e persone, propone attività e progetti, dà visibilità alla solidarietà creativa in un laboratorio di idee e suggestioni». (qui Hp-Accaparlante, la rivista del Centro di Documentazione … per saperne di più)
Una bella rivista che esiste da oltre 30 anni. Senza tabù: parlare della sessualità di persone disabili è tuttora considerato impossibile da tanta gente che si crede “per bene”.
Il numero 1 del 2015 (88 grandi pagine per 10 euri) è uscito con la nuova casa editrice Quintadicopertina (complimenti per il nome geniale). Oltre alle solite rubriche – dove segnalo una discussione sul «concetto di limite» per le vignette satiriche sulla disabilità – il dossier «Astropapà» ovvero «Il ruolo paterno fra stereotipi del passato e identità future») curato da Roberto Parmeggiani con le illustrazioni di Attilio Palumbo.
Si parte con «una provocazione» cioè chiedendosi «A cosa serve il padre?». Perché «è scontato che la madre serva a qualcosa». Parmeggiani ricostruisce un complesso cammino storico: prima «l’ignoranza della paternità»; poi «la soluzione tutta culturale» con la proibizione dell’incesto; «facendo un lungo salto temporale arriviamo al secolo scorso» ovvero al «padre padrone, detentore del potere, capofamiglia» che vuol anche dire: «poco tempo da dedicare alle cose di casa, interventi di livello familiare incentrati sull’ordine e le punizioni, nessuno spazio per la dimensione emotiva e le relazioni affettive».
E oggi?
«Prendetevi un minuto per pensarci».
La sincera risposta di Parmeggiani è «Boh». Se si scarta «il mammo», ci si trova di fronte «il vuoto» oppure… «una vera e propria occasione», trovare un ruolo «che non si contrapponga a quello materno ma lo completi». Inizia qui un interessante ragionare che non sarebbe semplice (né corretto) riassumere. Vi invito a leggerlo specie se siete padri (io ormai vado per la nonnità, almeno potenzialmente). Ovviamente è più facile analizzare e raccontare che indicare risposte, anche perché in una fase di sconvolgenti cambiamenti storici – ne dico uno? Per procreare si può fare a meno del maschio – la ridefinizione dei ruoli di certo non sarà un processo di breve durata.
Parmeggiani ci aiuta a ragionare ricordando alcuni «archetipi del maschile in letteratura»: l’Ulisse di Omero e di Pessoa; l’imperatore Adriano (che scrive al diciassettenne Marco) della Yourcenar; «L’uomo sottomesso» di Franz Kafka; l’uomo che vuole assumere «vesti femminili» in «Kitchen» di Banana Yoshimoto. Ci sono poi belle citazioni di Andrea Canevaro e dell’indiano Cervo Mite. Fin qui il discorso è generale, cioè vale per tutte le famiglie, ma adesso la monografia entra nel merito delle relazioni di padri con figli e figlie che hanno «bisogni speciali», cioè in situazioni di disabilità. Parmeggiani offre tre parole su cui riflettere: «responsabilità, rituali, resilienza».
Il dossier prosegue con «Padri di figli/e disabili» di Fabio Bocci che, fra l’altro, dà conto di una ricerca esplorativa. Le «interviste con i papà» sono esemplari, avvincenti in alcuni punti, contraddittorie fra loro: personalmente è la parte del dossier che mi ha più stimolato.
La riflessione si chiude «dando la parola ai figli»
Un bel dossier.
Qualcosa manca e ovviamente non lo dico per criticare (ci sarebbero volute molte altre pagine) ma per auspicare approfondimenti. Secondo me due temi devono completare questo utile di riflessione: il primo sulle famiglie omogenitoriali; il secondo sulla “catastrofe sociale” che è sotto i nostri occhi. Forse quest’ultima mia sollecitazione va spiegata: molto spesso le nostre analisi ignorano che molti padri e madri sono così travolti dalla “crisi economica” – impoverimento, distruzione del Welfare State, perdita di certezze con conseguenti malesseri anche gravi – da non avere spesso la possibilità (persino il tempo) di essere “presenti”. Tanto per indicare un riferimento rimando a Ancora su «L’epoca delle passioni tristi»… qui in “bottega”. Sarebbe un discorso lunghissimo e dunque lo abbandono, almeno per ora, ma se qualcuna/o di voi maliziosamente mi facesse una domanda («scusa db, tu che sei “esperto” di fantascienza e dunque di domani, perché non ci disegni qualche scenario sui futuri prossimi possibili?») potrei forse esimersi dal rispondervi?
(*) Questa sorta di recensione va a collocarsi nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita e probabilmente continuerà a capitarmi di non parlare tempestivamente in blog di alcuni bei libri pur letti e apprezzati. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro, dai banali impicci del quotidiano +1, +2 e +3… o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche collega una recensione che poi rimaneva sospesa per molti mesi fino a “morire di vecchiaia”. Ogni tanto rimedio in blog a questi buchi, appunto chiedendo venia. Però, visto che fra luglio e agosto ho deciso di recuperare un bel po’ di queste letture e di aggiungerne altre, mi sa che alla fine queste recensioni recuperate e fresche terranno un ritmo “agostano” quasi quotidiano, così da aggiornare in “un libro al giorno toglie db di torno” quel vecchio detto paramedico sulle mele. D’altronde quando ero piccino-picciò e ancora non sapevo usare bene le parole alla domanda «che farai da grande?» rispondevo «forse l’austriaco (intendevo dire “astronauta” ma spesso sbagliavo la parola) oppure «quello che gli mandano a casa i libri, lui li legge e dice se van bene, se son belli». Non sono riuscito a volare oltre i cieli, se non con la fantasia; però ogni tanto mi mandano i libri … e se no li compro o li vado a prendere in biblioteca, visto che alcuni costano troppo per le mie attuali tasche. «Allora fai il recensore?» mi domandano qualche volta. «Re e censore mi sembrano due parolacce» spiego: «quel che faccio è leggere, commentare, cercare connessioni, accennare alle trame (svelare troppo no-no-no, non si fa), tentare di vedere perché storia, personaggi e stile mi hanno catturato». Altra domanda: «e se un libro non ti piace, ne scrivi lo stesso?». Meditando-meditonto rispondo: «In linea di massima ne taccio, ci sono taaaaanti bei libri di cui parlare perché perder tempo a sparlare dei brutti?». (db)