Panico (di Pabuda)
sembra serpeggiare
il panico
laggiù, in Transatlantico.
giornalisti pigrissimi
– certuni già alticci –
si guardano attorno, spersi
e non trovano
certe facce abituali:
brutti ceffi, ganzi noti,
loschi figuri lisi,
ma adusi,
esperti, solerti e abituati.
al cesso, invece,
incontrano degli sconosciuti
che non san rispondere alle domande,
alle strizzate d’occhio, agli ammiccamenti.
e – soprattutto – ‘sti novizi se ne stanno confusi,
in soggezione e imbambolati
di fronte ad alcuni modernissimi strumenti
(mai visti, per dire, quando ti fermi a pisciare
all’autogrill!): come quelli
per razionare colatine di sapone liquido ma denso
come il moccio del naso.
addirittura, si spaventano con quegli aggeggi
che sputano aria calda o caldissima:
mica immaginano che servono soltanto
a seccar mani pulite e umidicce!
alla buvette, insomma…
all’onorevole taverna dei deputati,
sbracati, per terra distesi
tra i tavoli rovesciati le cicche le cartacce
rimangono
dei leader ben navigati
che, nonostante il puzzo di birra marcia
che impregna la moquette i divanetti e le pareti
degli ambigui separés,
s’imbarcano – come ai vecchi bei tempi –
nell’elaborazione ed esternazione
di raffinate tattiche e audaci strategie.
quando li si interroga al riguardo
risultan poco comprensibili:
ma non è il politichese stretto il problema:
son quei rutti, quei singhiozzi, quei singulti
che devastano ogni retorica
rendendola del tutto inintelligibile!
meglio girare alla larga, dice un elegante reporter:
conosco un vecchio bordello,
sgangherato ma economico…
molto più tranquillo e pulito
di ‘sto palazzo del menga!
torneremo più avanti,
quando sarà passata
a tutti quanti – secondo i casi –
la sbronza e la cagarella.