Paolo Buffoni – Verso qualcosa

La raccolta di neuropoesie di Paolo Buffoni Damiani (Pabuda) dal titolo “Verso qualcosa” è una pubblicazione singolare sia per contenuto, sia perché i proventi andranno a finanziare le attività dell’associazione interculturale Todo Cambia.
Il neonato libro sarà presentato al pubblico in occasione del Reading Poetico Musicale  “Verso qualcosa di bello” martedì 21 giugno alle 19,30 in Via Oglio 21, Milano e l’organizzazione non poteva essere che di Pabuda et Les Enfants du Voudou.
Per festeggiare i dieci anni di vita di Todo Cambia, quale modo migliore poteva esserci, se non la gioia, l’ironia e la buona musica? Una conferma senza retorica, ma con un sorriso e tanta determinazione, di quanto l’instancabile lavoro di gruppo, la generosità e l’amore, possano tramutarsi in vera forza.
Sarà questo il filo conduttore della serata ed io mi auguro che chiunque si trovi in zona intervenga ad aggiungere partecipazione e condivisione a questa iniziativa davvero degna di attenzione.

clelia pierangela pieri

Inizio

da dove si comincerà?
dai petali, suppongo.
o dalle palpebre, magari.
nulla so: vado per ipotesi.
si comincerà
con delle piccolissime musiche
regalate al sistema nervoso centrale
per il tramite dei miei polpastrelli
e delle sue bellissime ginocchia.
si comincerà
respirando con un po’ d’affanno
a svelare pian piano
tutte le curiosità, trattenute
per attimi e attimi
nel nascosto dei polmoni.
all’inizio
ci si dovrà fermare un momento
a guardarsi, a studiare
la piega che fanno gli zigomi.
con ogni probabilità,
sarà bene cominciare
versando buon vino
sull’eccedenza
delle nostre attese.
cominciando, è sicuro,
niente ti garantisce
che presto non si finisca
per dubitare
della propria e altrui
assennatezza.

(Pabuda)

Due domande a Paolo Buffoni Damiani, alias Pabuda.

Perché scrivere neuropoesie?

Ho cominciato a scrivere filastrocche circa un anno dopo l’ictus del 2003. Rialzandomi dalla sedia a rotelle dopo un annetto di immobilità e di totale dipendenza da chi, amorevolmente, m’aiutava, mi sembrò d’esser nato una seconda volta, ma tutto era diverso dalla prima, come tutto sbilenco, difficile da capire, faticoso e un po’ triste. Scrivere quelle cose (all’inizio scrivevo quasi tutto in rima) era un’efficace e divertente terapia antidepressiva, un esercizio per “rimettere in pista” i miei neuroni danneggiati e, insieme, capire quel che avevo intorno e “domare” una specie di reazione vitale confusionaria e disordinata di fronte a uno scenario che non riconoscevo più.

Ora che sto meglio, continuo a scrivere per le stesse ragioni: per capire quel che mi gira vorticosamente intorno, per prendermi cura del “di dentro” e per divertirmi, anche quando scrivo cose drammatiche o tragiche.

Perché devolvere il ricavato a Todo Cambia?

Il ricavato delle vendite del libro andrà a Todo Cambia perché questa piccola ma vivace e instancabile associazione dal 2001 sì dà da fare per contrastare il razzismo e promuovere la convivenza pluriculturale in questo strambo paese.

Perché, nonostante in 10 anni le cose non siano migliorate un granché, la gente di Todo Cambia non si dà per vinta e continua a sognare. Però fa sogni molto pratici: la scuola d’italiano, lo sportello di consulenza, le iniziative culturali e formative, le vertenze, le lotte, le manifestazioni… senza dimenticare mai di sorridere.

Poi, c’è una ragione più intima (ma non è un segreto, la sanno tutti): io in questi 10 anni le mie cose migliori le ho date a Todo Cambia; in questi 10 anni Todo Cambia mi ha dato le cose migliori che ho ricevuto.

 Fine
 
non ho niente da aggiungere.
mica è una bella maniera
per cominciare una pagina:
dopo una riga già l’avvoltoio s’intravede:
s’avesse i baffi, ci giurerei, se li leccherebbe
l’avvoltoio ben apparecchiato per l’inaugurazione
 d’una assai mesta conclusione:
per chi legge, adesso, da leggere
non c’è veramente
più… niente.

 (Pabuda)

Dalla postfazione di Valeria Tore:

A me ’sta neuropoesia mi garba. Mi garba eccome. Anche Pabuda ci si diverte, a scriverla. Se glielo chiedete, lui tira fuori la brutta faccenda dell’ictus. Per impressionarvi e per fare un po’ lo spaccone cerca di convincervi del fatto che, davvero, a lui, dopo “la botta”, è rimasta in funzione solo una metà del cervello. Se gli date modo di ritenere che non avete proprio niente di meglio da fare che starlo ad ascoltare, vi sciorina le teorie della riabilitazione neuronale mono-specifica (non so se esiste veramente qualcosa del genere, ma il neuropoeta me l’ha descritta così:“prendendoli uno per uno, rieducare i neuroni danneggiati o specializzare i neuroni non specializzati, istruendoli e coccolandoli come all’asilo”) e scherza agrodolce con la storia della composizione compulsiva di rime e filastrocche: a dargli retta, in origine, sarebbe stata una specie di rappresaglia contro un incipiente tracollo ossessivo-depressivo e un’efficace alternativa alle intossicazioni farmacologiche e alle tentazioni alcoliche.

Pabuda, scrivendo, enumera e scandisce. Evidentemente ascolta molta musica, ma si sente lontano un chilometro che vorrebbe suonarla. A volte, lo fa: tamburellando sulla tastiera del computer. Io l’ho visto. S’illude d’avere la tastiera d’un pianoforte sotto le dita della mano destra. Invece, è solo quella d’un laptop. Ma, chi s’accontenta gode. Pabuda sembra godere assai suonando la sua neuropoesia: il tentativo, che nei momenti più fortunati gli riesce, è quello di ridurre al minimo indispensabile le mediazioni e le transazioni tra il sistema nervoso e le funzionalità esecutive della scrittura. Detto volgarmente: “pensare poco, calcolare niente”

Clelia

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