Paraguay: alle radici della crisi istituzionale
Il 1 aprile l’incendio del Congresso per protestare contro la riforma che consente la rielezione di presidenti ed ex presidenti. Alleanze trasversali, a destra e a sinistra, in vista delle presidenziali 2018.
di David Lifodi (*)
A poco più di una settimana dall’incendio del Congresso paraguayano le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, è interessante capire cosa si nasconde dietro ad una crisi istituzionale descritta con fin troppa sufficienza come una delle tante rivoluzioni che hanno caratterizzato la storia dell’America latina. Ciò che ne emerge, invece, è una situazione assai complessa.
Nell’ultima settimana di marzo, il presidente Horacio Cartes, esponente del Partido Colorado, legato a doppio filo ad esponenti del narcotraffico e responsabile di aver instaurato nel paese una sorta di democratura, aveva deciso di dichiarare lo stato d’assedio in tutto il paese a seguito delle proteste scaturite dalla volontà del Congresso di votare una legge che permettesse la rielezione di presidenti ed ex presidenti già alla guida del Paraguay nel passato. Alcuni sostengono che l’assedio al Congresso e gli scontri che ne sono derivati siano stati, in qualche modo, indotti dallo stesso Cartes come pretesto per giustificare la sua eventuale rielezione. Ad esempio, il 17 agosto 2013, a seguito dell’uccisione di cinque agenti nel dipartimento di San Pedro, per i quali fu incolpata, senza prove, la misteriosa formazione guerrigliera dell’Ejército del Pueblo Paraguayo, Cartes ne approfittò per assumere sotto il proprio comando il controllo delle politiche di sicurezza interna e della difesa nazionale. Subito dopo gli scontri, non a caso, Cartes si è affrettato a dichiarare che avrebbe fatto di tutto per far rispettare l’ordine nel paese. Nel corso degli incidenti scaturiti nei pressi del Congresso, occorre ricordare che è stato assassinato Rodrigo Quintana, dirigente della gioventù liberale che fa capo al Partido Liberal Radical Auténtico (Plra), mentre sono rimasti feriti, a seguito di un’aggressione, altri due esponenti di peso del partito, Edgar Acosta e Efraín Alegre. Il Plra è stato il partito che ha avuto un ruolo di primo piano nel golpe che, con l’aiuto degli Stati uniti, ha destituito l’ex vescovo Fernando Lugo, tradito dal suo vice Federico Franco, il quale lo aveva sostituito alla guida del paese. Lugo era a capo di una coalizione di centro sinistra che, per la prima volta, aveva spezzato l’alternanza conservatrice tra blancos e colorados in un paese che ha vissuto l’infinita dittatura stronista.
La proposta di far svolgere un referendum per ratificare la possibilità che gli ex presidenti potessero ricandidarsi nel 2018, proveniente da Cartes, era stata recepita sia dai liberali sia dallo stesso Lugo e dalla coalizione di centrosinistra del Frente Guasu, che aveva intravisto, in questo modo, la possibilità di far tornare alla guida del Paraguay l’ex monsignore, esponente di spicco della Teologia della Liberazione. Tutti i sondaggi danno il Frente Guasu come primo partito e per questo la formazione politica di Lugo, a partire dall’ex presidente in persona, avevano scelto di stipulare questa sorta di patto con il diavolo. I disordini scoppiati nei giorni scorsi, secondo il Frente Guasu, sono stati orchestrati dall’oligarchia, che vede con timore un eventuale ritorno di Lugo alla guida del paese, anche se peraltro l’ex vescovo dei poveri nel suo precedente mandato, interrotto in maniera del tutto illegale, non era riuscito a fare granché, costretto ad allearsi con le destre, a partire da quel Partido Liberal Radical Auténtico che poi avrebbe partecipato attivamente alla sua destituzione. Sarebbero state le barras bravas, i gruppi che di solito occupano le gradinate degli stadi, ad essere state assoldate dall’oligarchia per creare disordini ed impedire un eventuale rielezione di Lugo, ma anche del destrorso Cartes, almeno secondo il Frente Guasu. A sostenere la necessità di impedire un referendum da cui in teoria potrebbe uscire anche la rielezione di Cartes i padroni della stampa mainstream, a partire dall’influente potentato economico di Zucolillo, il quale vede come il fumo negli occhi il potere di un presidente divenuto suo concorrente, visto che controlla 12 quotidiani, oltre a radio, televisioni e siti web.
Di fronte a questa strana alleanza tra cartistas e Frente Guasu, la sinistra ha finito per dividersi. Ad esempio, il Frente de Trabajadores ha definito “vergognosa” l’alleanza tra Lugo e Cartes, anche se diretta a riportare alla presidenza l’ex vescovo, poiché proprio Cartes, insieme ai liberali e al loro leader, Blas Llano, architettò il colpo di stato contro lo stesso Lugo. Effettivamente, la strategia del Frente Guasu è assai rischiosa. Cartes, se rieletto, si porrebbe sulla strada già intrapresa da Macri e Temer in Argentina e Brasile, proseguirebbe nel mantenere ferma la sua posizione a favore dell’esclusione del Venezuela bolivariano dal Mercosur e, infine, darebbe ancora maggior impulso alla sua Ley de Alianza Público-Privada, che è servita per aprire il paese alle multinazionali e a privatizzare i servizi pubblici, con buona pace delle disuguaglianze sociali che affliggono il paese e della riforma agraria più volte richiesta dai campesinos. Proprio in questo contesto scaturì l’occupazione delle terre del 15 giugno 2012, casus belli che servì alle destre per destituire Lugo e infliggere delle pene detentive enormi ai contadini senza terra dopo un processo farsa.
L’attuale situazione politica paraguayana, a seguito dell’incendio del Congresso, risulta tuttavia assai complessa. Da un lato due fazioni di destra, una a favore di Lugo (quella colorada) ed una contraria (liberali più oligarchia e terratenientes), dall’altro diverse anime della sinistra, alcune delle quali colpevolmente troppo vicine al cartismo. Ad esempio, il partito Avanza País accusa il Frente Guasu, convinto che sia impossibile sconfiggere Cartes e il suo codazzo fatto di potentati economici e corruzione sul suo stesso terreno, ritenendo imperdonabile la comunanza di intenti tra Lugo e Cartes e dichiarando la sua intenzione di presentare un proprio candidato per le presidenziali del 2018, l’attuale sindaco di Asunción Mario Ferreiro. Ancora diversa è la posizione della Federación Nacional Campesina, che denuncia le violenze di cui è vittima, ma che ritiene inutile partecipare alla competizione politica.
Attualmente, i sondaggi attribuirebbero a Lugo circa il 50% dei consensi contro il 12% di Cartes. La probabile approvazione, da parte del Congresso, delle legge che permetterà l’eventuale rielezione di uno dei due candidati (per non parlare di un altro ex presidente Nicanor Duarte, desideroso di tornare in campo), potrebbe scatenare nuovi scontri, ma, in una situazione in cui le destre continentali sono all’attacco in tutta l’America latina, sarebbe opportuna un’unità che dovrebbe dare maggior slancio a quel campo progressista sudamericano attualmente minacciato da più fronti.
(*) tratto da Peacelink – 10 aprile 2017