“Parete proprio morti”. Il genio di Carmelo Bene

Riccardo Fiore per Diogene*

A distanza di ventuno anni dalla morte, al salone del libro di Torino si è parlato ancora, e per fortuna, del genio Carmelo Bene. Ma chi era esattamente Carmelo Bene per la cultura italiana?

“e allora se l’idea della morte m’è così lontana,
vuol dire che la vita mi ha in balìa,
vuol dire che la vita mi reclama,
e allora: vita mia, a noi due!”

Recitava così Carmelo Bene in “Un Amleto di Meno”, glorioso film del 1973.
Infatti lui, CB, della sua vita ha fatto sempre quello che credeva, fregandosene di critica, critici ed editorialisti. La sua vita l’ha amata, l’ha disprezzata, l’ha vissuta nel vero senso della parola ma soprattutto l’ha rivoluzionata.

Maria Luisa Bene, sorella di CB racconta una sera di Marzo del 2009 a Maurizio Nocera, Piero Rapanà, Mauro Marino e Valentina Sansò che quando Carmelo debuttò nel ’59 al teatro delle arti di Roma, i suoi genitori partirono da Lecce e lei da Bologna per vedere la “prima” di Carmelo. La prima opera di CB fu il Caligola. Camus era rimasto insoddisfatto dall’interpretazione di Gèrad Philipe, per cui CB andò a Parigi a chiedergli i diritti. Camus però si trovava alla Fenice, a Venezia. Così CB tornò a Venezia lo cercò in albergo assieme al regista Alberto Ruggero. Camus chiese loro: «Chi dei due sarà Caligola?».«Io, maestro» rispose Carmelo – aggiungendo – «Abbiamo un grosso problema, non abbiamo molto denaro per i suoi diritti». «Vi cedo i diritti, in cambio di un posto in platea la sera della prima» fu la sua risposta. Purtroppo non lo vide mai, perché morì prima.
Ecco appunto cos’è il genio. Fare una prima teatrale e ricevere i diritti direttamente da Camus in cambio di una poltrona in platea.

In Marocco un altro genio come Pier Paolo Pasolini lo chiama per le riprese di “Edipo re” e CB, verso la fine degli anni 70 comincia a disarmare e innovare quel teatro troppo classico e troppo spesso “di stato”. Crea ammirazione e dissenso, adorazione e scandalo per tutti i suoi testi che rivedevano e svecchiavano la drammaturgia dei grandi autori, da Collodi a Shakespeare, da Campana a Majakovskij.

L’appellativo di “genio” s’è sciupato solo dopo la sua morte, quando la falsa e ambigua memoria riabilita e intreccia elogi che dovevano essere spesi decenni prima. Durante gli “Uno contro tutti” del Maurizio Costanzo Show tentava di convincere giornalisti e opinionisti che erano lì per criticarlo, o in cuor loro per adorarlo, di non “essere se stesso” di “non esistere” e di “essere ormai un classico” con cui tutta quella platea, accorsa ai suoi piedi, non avrebbe potuto dialogare. Franco Citti, sempre in quell’occasione, desiderava non solo essere “qualche fila più indietro” per non essere confuso con quei giornalisti che, come convenivano i
due, uccisero Pier Paolo Pasolini, ma soprattutto avrebbe voluto essere come lui, un “fuori-stato”, un “senza-io”.

Nel suo territorio, in quel “Sud del sud dei santi”, tra il silenzio pressoché totale della cultura istituzionale, finisce di consumarsi la figura del grande genio del teatro italiano. Mentre le eredi litigano, la sua abitazione di Santa Cesarea viene tragicamente venduta; nella sua Otranto non gli è stata dedicata neanche una piccola viuzza arrampicata nel centro storico; a Campi Salentina, suo paese natale, esiste solo una piccola targa che anche i suoi più fedeli ammiratori faticano a trovare; infine il Comune di Lecce, al posto di dedicargli un teatro, gli dedica uno squallido parcheggio di autobus vicino al cimitero… come se volessero far partire la scomoda figura del grande maestro per altri luoghi.

Un “genio”, sinonimo di arte e grande drammaturgia, ammirato ancora oggi a distanza di anni in tutto il mondo, ma poco e niente in questa “Italietta” come lui la definiva con “troppa puzza di Dio”. Mamma Rai si salva, come spesso ci ha abituato, sempre in calcio d’angolo e solo a vent’anni dalla sua morte ritrova, ogni tanto, la sua missione di servizio pubblico mandando in onda su canali secondari e ad orari improbabili alcune opere del genio salentino.

Servirebbe ricordare oggi come non mai, tra guerre, catastrofi politiche e naturali e Ministri della Repubblica improbabili che parlano solo per dare aria alla bocca, il suo più grande insegnamento sull’importanza del linguaggio. Giusto per farci ritornare con i piedi per terra.

“Il linguaggio vi fotte, vi trafora, vi trapassa e voi non ve ne accorgete.
Voi sputate su Einstein, voi sputate sul miglior Freud e sull’aldilà dei principi di piacere.
Voi impugnate e applaudite l’ovvio, ne avete fatto una minchia di quest’ ovvio
in cambio della vostra. Ma io non vi sfido! Non vi vedo!” 

*diogeneonline.info 

ciuoti

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