«Parliamo con Eva Klotz»
Nazionalismi, terrorismi, torture. Intervista di Gianni Sartori (*) con una breve nota storica introduttiva
Mentre si continua a parlare di micronazioni, di terrorismi e dell’Italia senza una legge contro la tortura – tre temi che, come vedrete, qui si incrociano o si sfiorano – può essere interessante rileggere alcuni passaggi di una intervista fatta da Gianni Sartori a Eva Klotz nel novembre 2013. Eva Klotz è stata, fra l’altro, consigliera comunale e poi provinciale a Bolzano. Lavora, in modo pacifico, per la riunificazione di Nord e Sud Tirolo che, come è noto, per gli italiani è invece l’Alto Adige. Ma Eva Klotz è anche figlia di un terrorista, secondo la visione della maggior parte degli italiani, il quale però è un “patriota” secondo molti austriaci; un Cesare Battisti a rovescio si potrebbe dire. Nel leggere l’intervista di Gianni Sartori qui sotto può essere utile un breve riassunto storico sul dopoguerra. In quello che si decise di chiamare Alto Adige fra il 1956 e il 1966 vi furono oltre 300 attentati degli “indipendentisti tirolesi” a centrali elettriche, tralicci, stazioni ferroviarie. Fra il 1964 e il 1967 vi furono anche 9 vittime fra carabinieri, finanzieri, guardie di frontiera. Mentre i terroristi sudtirolesi venivano individuati e talvolta arrestati, i trattati che garantirono all’Alto Adige/Sud Tirol una certa autonomia tolsero agli “indipendentisti” parte dei sostegni persino fra gli Schuetzen, cioè quei «tiratori scelti» che si considerano depositari dei valori patriottici sudtirolesi. Rimane su quei fatti anche l’ombra della tortura praticata dai carabinieri italiani. Accusa rilanciata più volte anche negli ultimi anni secondo cui la prima vittima fu Franz Hoefler, di 28 anni di Lana, paese fra Bolzano e Merano; arrestato per la «Feuernacht», la notte dei fuochi dell’11 giugno 1961, morì all’ ospedale secondo gli Schuetzen «in seguito alle torture subite nella caserma dei carabinieri e in carcere». Dopo di lui, 44 “irredentisti” sudtirolesi denunciarono poliziotti e carabinieri per pestaggi e torture. Ma i 19 agenti, mandati sotto processo, furono assolti a Trento nel 1963, e anzi ottennero encomi e riconoscimenti dal governo italiano mentre lo stesso anno a Milano 91 sudtirolesi, – «terroristi» o invece «combattenti per la libertà» a seconda dei punti di vista per loro – vennero condannati a 431 anni di carcere. Un altro punto dolentissimo è che nessun governo italiano si sia mai pubblicamente scusato per i molti delitti del fascismo in Alto Adige. In “bottega” trovate una btreve “scordata”: 15 luglio 1923: inizia l’italianizzazione forzata del Sudtirol. Ricordo che l’anno scorso Wu Ming 1 ha pubblicato – qui una mia recensione: Memorie selettive e matasse piene di nodi – «Cent’anni a Nordest: viaggio tra i fantasmi della “guera granda”» che molto aiuta a capire l’intreccio di nazionalismi, nostalgie, leghismi speculazioni in quelle zone; mi sento di consigliarlo a chiunque. (db)
L’intervista di Gianni Sartori a Eva Klotz
A proposito di Prima Guerra Mondiale. In Italia si vanno preparando i “festeggiamenti” per il primo centenario del grande macello patriottico. Un tuo commento in proposito…
«All’epoca tutti i maschi tirolesi tra i 18 e i 48 anni vennero arruolati nonostante gli Schutzen fossero una milizia di difesa territoriale. Così il fior fiore della nostra gioventù venne inviato a combattere in Galizia, sul fronte orientale. Nel 1915, con l’imprevista entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria, a difendere il territorio tirolese rimanevano soltanto i giovanissimi (letztes aufgebot, l’ultima leva) e gli anziani. Nessun militare italiano aveva comunque messo piede in Tirolo sino alla fine del conflitto, quando il confine era ancora sotto il lago di Garda. Per l’Austria l’armistizio cominciava il 3 novembre, ma l’Italia proseguì la guerra per altre 36 ore facendo 300mila prigionieri che avevano già deposto le armi. Questi fatti e la successiva divisione del Tirolo rappresentano il centro delle nostre celebrazioni. Naturalmente la tragedia complessiva della guerra con i suoi milioni di morti viene considerata con tutta l’attenzione e il rispetto che merita».
L’anno scorso è stata pubblicata l’edizione in lingua italiana del tuo libro («Georg Klotz una vita per l’unità del Tirolo»). Emerge con chiarezza non solo la grande umanità e l’amore disinteressato di tuo padre per la libertà e i diritti dei popoli, ma anche il clima da “guerra sporca” (torture, squadre della morte…) che negli anni sessanta prefigurava la futura “strategia della tensione” e le stragi di Stato (Piazza Fontana, Brescia, Italicus…). E‘ probabile che anche il Sud-Tirolo (come l’Irlanda del Nord e il Paese Basco) sia stato un “laboratorio repressivo” di sperimentazione politico-militare nei confronti di una comunità non omologata. Non sarebbero mancate infiltrazioni e strumentalizzazione da parte dei servizi segreti come aveva documentato Gianni Flamini («Brennero Connection. Alle radici del terrorismo italiano»( Editori Riuniti, 2003). Pensi che tuo padre ne fosse consapevole?
«Dopo i tragici avvenimenti della notte tra il 6 e il 7 settembre 1964, quando Luis Amplatz venne assassinato dall’infiltrato e rinnegato Christian Kerbler, mio padre si era reso conto di “trovarsi ormai circondato”. Era sicuramente “consapevole della presenza di spie”, ma non avrebbe mai pensato che vi potesse “essere un traditore su tre persone riunite”. Mio padre morì nel gennaio 1976 e nel dicembre dello stesso anno Kerbler venne arrestato in Gran Bretagna. Chissà, forse dopo la morte di Georg si era “rilassato”, aveva abbassato la guardia. Nonostante la formale richiesta di Londra, sia l’Italia che l’Austria non ne chiesero l’estradizione e alla fine Kerbler venne rilasciato facendo perdere definitivamente le tracce. Evidentemente nessuno voleva un processo da cui potevano emergere aspetti non chiari dell’operazione del settembre 1964 (NOTA 1). Quindi, pur non conoscendo tutti i retroscena, possiamo intuire quale sia stato il ruolo dei servizi segreti. Nel caso di mio padre, non escludo accordi intercorsi per eliminare una figura ormai “scomoda” non solo per Roma».
In questo colgo un’analogia con Ernesto Guevara (penso alla foto del “Che” esposta nel tuo ufficio a Bozen) che alla fine venne abbandonato e sacrificato in quanto “scomodo”, oltre che per Washington, anche per Mosca. Tornando al Tirolo, qualche ombra sembra gravare anche sulla figura di Fritz Peter Molden che in precedenza aveva appoggiato la lotta di tuo padre. Se non ricordo male, Molden era stato un agente dei servizi segreti americani durante la guerra e poi il marito di Eleanore Dulles, sorella di John Foster Dulles, segretario di Stato statunitense e di Allen Dulles, direttore della Cia. Stando a quanto riporta Gianni Flamini, in un’intervista del 1991 Molden riconosceva di aver preso parte all’organizzazione di “stay-behinds nets” (l’equivalente della Gladio italiana) e che l’organizzazione clandestina sapeva in anticipo degli attentati.
«Fritz Molden, oltre che editore, è stato un grande giornalista. Potremmo definirlo l’Indro Montanelli austriaco. Ancora negli anni sessanta, a spese proprie, aveva realizzato un’indagine con l’Allensbacher Institut da dove emergeva che la maggioranza dei sud-tirolesi (l’82%) auspicava un futuro separato dall’Italia. E ben il 26% era favorevole anche alla resistenza armata. Per molti anni Molden aveva finanziato la resistenza tirolese per poi ritirarsi dall’impegno quando erano emerse divergenze e posizioni contrastanti. Una parte del movimento voleva limitarsi ad azioni propagandistiche, le “notti dei fuochi”, di valore simbolico. Un’altra componente, fra cui mio padre e una parte del BAS (Benfreiung Auschus Sudtirol, Comitato per la liberazione del Sudtirolo) avrebbe voluto andare fino in fondo, altrimenti, sostenevano “era meglio neanche aver cominciato”. A questo punto Molden si era ritirato convinto che “se le cose andranno così vi faranno fuori…”. Personalmente ho sempre pensato che in qualche modo si sentisse in colpa nei confronti di mio padre (NOTA DUE)».
NOTE DI GIANNI SARTORI
1 – Non poche le ombre sull’operazione che portò all’uccisione di Amplatz e al ferimento di Klotz. Stando al diario del generale Manes pubblicato nel 1991 “la pistola usata per uccidere Amplatz era del maresciallo della compagnia di Bressanone” e secondo il senatore Boato “Kerbler fu fatto fuggire all’estero dai carabinieri”.
2 – Tra gli episodi (ricordati anche da Gianni Flamini) a conferma dell’intervento dei servizi segreti, le attività di alcuni fascisti italiani (tra cui Sergio Tazio Poltronieri, legato al Sifar) che compirono attentati in Austria. Recentemente è uscito un libro su Cima Vallona, basato su ricerche di archivio, in cui si sostiene l’innocenza delle persone giudicate e condannate all’ergastolo (ma rifugiate in Austria senza che l’Italia ne abbia mai chiesto l’estradizione). All’epoca la polizia italiana impedì a quella austriaca di compiere il minimo sopralluogo sul luogo dell’attentato (nel territorio di San Nicolò Comelico) costato la vita a un carabiniere, un alpino e due paracadutisti. Anche la proposta austriaca di istituire una commissione mista di indagine venne rifiutata. Secondo Corrado Galimberti, uno degli imputati, Peter Kienesberger “era sul libro paga dei servizi segreti italiani”. Inoltre, in base alla documentazione dell’avvocato Peppino Zangrando, a una decina di chilometri dal luogo dell’attentato si celava un deposito Nasco della Gladio. Un altro preannuncio della “strategia della tensione”? Va comunque sottolineato che Georg Klotz si era sempre dichiarato contrario all’uccisione di persone.
(*) NELLE FOTO: Eva Klotz in alto e poi di nuovo lei con un cartello dal movimento Süd-Tiroler Freiheit che dice «L’Alto Adige non è Italia».