Parliamo di editoria…
Una notizia curiosa.
di Mauro Antonio Miglieruolo
Lo scherzo giocato dal Sunday Times all’industria editoriale Britannica. L’illustre quotidiano ha inviato a 20 Case Editrici e Agenzie Letterarie i primi capitoli di due libri che al loro apparire negli anni settanta (non dunque recentissimi, ma neppure dell’età della pietra) avevano ottenuto critiche entusiastiche.
Uno dei due libri aveva poi vinto un premio letterario e l’autore dell’altro, Naipaul, era stato successivamente insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Non gli ultimi arrivati, dunque, ma anzi due autori che ci si aspettava ricevessero una larga messe di consensi. Invece nulla, tutte e 20 le imprese editoriali avevano bocciato e respinto senza misericordia le proposte ricevute; né, pur avendo tra le mani un Premio Nobel (che si suppone dovrebbe essere ben conosciuto) sono state in grado di riconoscere che si trattava di materiale oltre che ottimo anche già edito.
E pensare che un esperimento simile, era stato tentato anni prima, con analoghi sconfortanti risultati. L’incapacità dell’industria editoriale di governare la materia di cui tratta è evidentemente arrivata a un punto di totale incapacità e impotenza.
Prima legittima domanda: ma i selezionatori delle Case Editrici leggono? O leggono – superficialmente – solo quel che giunge in redazione? Sembra che non leggano neppure quello. Sono in molti a sostenerlo; e che per le pubblicazioni si affidino alle Agenzie di Lettura (che si fanno pagare profumatamente il servizio da parte degli aspiranti scrittori); o alle segnalazioni di autori già affermati (alias raccomandazioni). Un amico mi ha confidato anni fa di aver verificato personalmente questa prassi mettendo in circolazione un suo elaborato. Prima però aveva provveduto a unire insieme le prime pagine con una piccola goccia di colla. Ebbene i dattiloscritti gli sono erano stati restituiti tutti intonsi e uno addirittura senza neppure aprire il plico che lo conteneva. Aggiungo la mia esperienza in merito: anni fa, quale risposta all’invio di un romanzo, una casa editrice specializzata in fantascienza, presso la quale verosimilmente dovevo essere conosciuto (non ne faccio il nome per carità di patria), ha risposto con una missiva nella quale “consigliava” esattamente quanto sopra (raccomandazione o ricorso all’agenzia di lettura). Più una terza opzione: quella di ricorrere all’editoria a pagamento. Loro non intendevano più prendere in esame il materiale arrivato in redazione.
Potrebbe esserci di peggio?
La verità è che le vecchie Case Editrici che facevano cultura oltre che profitti, che erano interessate a crescere insieme agli autori che pubblicavano, che si affidavano alla eccellenza dei loro cataloghi piuttosto che al rientro immediato dei capitali investiti (un buon libro fa guadagnare sempre, uno cattivo al massimo una sola volta) sono praticamente scomparse. L’industria editoriale odierna, in particolare la grande industria editoriale, è del tutto indifferente alla qualità dei libri e pertanto è diventata anche inabile a valutarne il valore. Anzi si dimostra addirittura fobica nei confronti dei libri di valore, perdendo in questo modo le occasioni per rendere un buon servizio a se stessa e ai lettori. È nello spazio di eccellenza abbandonato dall’Editoria Importante che il piccolo e medio editore trova le proprie fortune. Clamoroso il caso Feltrinelli che negli anni sessanta fondò le proprie fortune puntando sui testi rifiutati dalle altre edizioni (testi eccellenti, spesso veri e propri capolavori). Il motto non detto, ma praticato, sembra essere: “pochi, maledetti e subito” e “dopo di me il diluvio”.
Ne consegue un livellamento al basso tale che contribuisce a produrre il progressivo senso di estraneità di molti nei confronti del libro e della cultura in genere. Specialmente in Italia si legge troppo poco e sempre meno. Come, d’altra parte, dar torto a questi NON lettori se si considera che il 90% di ciò che si pubblica, secondo Sturgeon (opinione che sottoscrivo), propria per la sciatteria editoriale, è pattume?
La morale di tutto questo? Una lezione sull’avidità e sulla sterilità dei valori in circolazione (denaro e successo). Perdere di vista lo scopo per fissarsi esclusivamente sul guadagno non solo impoverisce professionalmente, ma alla lunga si traduce in un ostacolo specifico nei confronti della stessa capacità di guadagno.
L’avidità non contenuta si volge contro se stessa, vanifica i suoi propri fini; e finisce con divorare l’integrità dell’individuo o del gruppo che se ne fa portatore e vittima. Anche per questa via possiamo comprendere allora che il collocarsi in una prospettiva positiva, il voler rendere un servizio alla comunità di cui si è parte, è il modo migliore per rendere un servizio anche a se stessi. Per la propria crescita umana e per venire incontro ai bisogni materiali che comporta l’esistere.
Avevo due librerie:mi hanno ipotecato tutto tranne la Dignita ed una sono stato maledettamente costretto a chiuderla:ma quella di Tuscania,splendido country Etrusco(cazzarola unite guduria di lettura e di cibo che con 20 euri ve magnate funghi e tajate coi tartufi et caetera…eccccheccccavolo!) piuttosto me depilo e vado a battere il marciapiedi(scherzo che nun me se carca nisciuno),per fortuna ho un lavoro che mi piace e posso continuare a tenerla aperta(a proposito faccio l’enologo…uffauffafffaa da contratto oltre a fare il vino son costretto a bere sul lavoro…che fatiga! eheheh invidia eh?….huhuhihihohoh)
mi spiace tu sia costretto a bere sul lavoro. Libertà vorrebbe che uno possa non dico anche per la strada, ma almeno in casa!
miglieruolo