Patrizia Baldini: Vincent

Mi sono perso nella notte del mio tempo. Nulla è più. Io non sono quello che avrei voluto, o dovuto essere.

“Vincent!” urlava mia madre, quando bambino di sera restavo immobile per ore a fissare il mare. Vedevo lontane  le luci delle lanterne delle navi e dei fari. Osservavo il buio, era mio amico.

A mia madre non piaceva questo Vincent. Lei avrebbe preferito un figlio  vivace, più vivo di me. Avrebbe voluto per me amici che non fossero soltanto il buio del mare e le luci delle lanterne. Mia madre era una donna mondana. Aveva frequentato, a Parigi, gli atèlier degli artisti.

Io non so chi è mio padre. O meglio, lo sono stati in molti, miei padri. Quello biologico, però, è ancora un mistero. In certi momenti ho creduto che fosse Paul, mi voleva bene. Poi è arrivato Claude. Riusciva a farmi riflettere. Forse mio padre era lui. Non ho mai avuto certezze su chi mi ha generato.

Quel che è certo è che mia madre non avrebbe voluto un figlio. Chissà di quale errore ero stato il frutto?

Qualcuno mi ha sussurrato che, quando sono arrivato, lei ha visto in me il ritratto di uno strano personaggio che ormai era polvere per i vermi. Proprio così aveva detto: “Polvere per i vermi”. Forse avrebbe preferito che anche io fossi diventato “polvere per i vermi”? E così mi aveva dato il nome di questo artista, una maledizione per me, che sono un perdente.

Ho ricordi vaghi di Parigi, mia madre non mi nascondeva ai suoi amanti, così come non nascondeva a me i suoi amanti. Ero un bambino piccolo e fragile quando mi portava alle feste e nei salotti, dove lei parlava e civettava con gli amici. Lì ho imparato a bere vino e assenzio. Mia madre non me lo vietava. Avrebbe voluto che fossi nato già grande. E vivo. Non capiva che così stava invece uccidendo l’embrione di uomo che lei stessa aveva partorito.

Avevo otto anni e Annette, questo era il suo nome, invaghita di uno scapestrato scrittore normanno, si era trasferita a Deuville. Era giugno e la guerra imperversava.

Deuville non era certo l’ideale per mia madre. Non era una città mondana. La guerra non era però riuscita a minare la bellezza di Annette e di Deuville. Mi sono innamorato della sua luce trasparente, limpida e delle maree. Restavo ore ad ammirare il fluire e il defluire delle acque dal canale che ci divideva da Treuville. Gaston, il nuovo amante di Annette, mi incoraggiava a pensare. Non che ce ne fosse bisogno, la mia testa era in continuo fermento. Ero come la marea, dipendevo dalla luna.  I miei alti e bassi erano fluidi,  esattamente come quelli del mare.

Ho ricordi vaghi anche della guerra. Annette e Gaston frequentavano i pochi salotti rimasti e divenuti segreti. C’erano alcuni pittori di scarso talento, almeno così io credevo. Mi piacevano i colori che usavano, mi piaceva l’odore della trementina e degli oli che impiegavano per rendere trasparenti le paste colorate. C’era, nei loro dipinti, quella stessa luce che vedevo nell’aria e c’erano i colori del buio delle notti. Spesso scappavo da Annette e mi rifugiavo, oltre che sul molo, nell’atèlier di Claude. Lì rubavo i tubetti finiti, gli avanzi di trementina e i pennelli consumati che l’artista buttava sotto il tavolo. Correvo a casa, e mi chiudevo in soffitta, dove Gaston teneva i bauli con i vecchi vestiti di sua madre. C’erano mutande e camicie, lunghe gonne nere e pizzi bianchi. Strappavo pezzi di stoffa e imitavo Claude. Aprivo i tubetti, estraevo quel po’ di pasta che era rimasta e la diluivo con l’olio preso in cucina o con gli avanzi di trementina. i pennelli consumati scorrevano sulla tela rendendo liquidi i miei pensieri.

“Vincent!”

Strideva il mio nome nella bocca di Annette, quando veniva a cercarmi sul molo e io invece ero in soffitta, oppure quando ero sulla riva del mare e mi cercava in soffitta. Non ho mai capito perché si affannasse tanto a rincorrermi, visto quanto poco ero importante per lei.

La vita mi è scivolata accanto senza che io provassi per me stesso nessun interesse. L’ho assecondata, così come è venuta, senza inseguire sogni o ricordi. Non ho voglia di raccontarmi, non mi servono i ricordi e non voglio regalarli a chi legge queste poche righe. Vi lascio soltanto un pensiero, che va ad Annette e alla figlia che ho voluto chiamare come lei, ma che non ho mai conosciuto e riconosciuto. Sarebbe piaciuto a mia madre il Vincent che sono diventato? Ho percorso le stesse sue strade. L’eredità di Claude, il vino e l’assenzio mi sono entrati nel sangue. Ho dipinto ovunque, ho delirato e spruzzato i colori al vento. Ricadendo a terra hanno impresso i miei pensieri su stracci e canovacci.

Ho amato le donne e ho lasciato la madre di Annette tre giorni dopo la nascita della piccola, così come mio padre aveva abbandonato Annette quando lei mi portava ancora nel suo grembo. Io come mio padre, mia figlia Annette come io figlio di Annette.

Non lascio testamenti ora che, a quasi ottant’anni aspetto di diventare polvere, così come aveva sperato mia madre il giorno in cui sono venuto in questo mondo. Ciò che sto scrivendo sono soltanto i pensieri di un uomo arrivato dove non esistono più confini. Oggi so perché mia madre mi ha chiamato Vincent e chi era l’uomo di cui porto il nome. Come lui ho scelto di completare il mio cerchio e di chiuderlo ad Arles. Oggi vivo in un mas, sulle rive del Rodano.

Gli elementi della natura rincuorano il mio spirito inquieto. Resto a guardare le sfumature della Provenza e ascolto le acque tranquille o tumultuose del fiume. Ho inondato di colori l’esterno della mia casa. Le finestre hanno le tonalità tipiche di questa terra e grappoli di fiori sono incisi con grandi pennellate sui muri. Aspiro i profumi della lavanda nei campi e delle erbe nei covoni di fieno. Dentro casa regna ovunque il mio amico buio. Soltanto l’atèlier inonda di luce, della luce dei quadri. I gialli, gli azzurri, i verdi ed i rossi spiccano il volo nell’aria di questa stanza. Qui i pennelli corrono insicuri sulla tela, ora come quando ero bambino.

Ogni tanto vado alla ricerca di Vincent e allora mi inoltro nei vicoli di Arles. Le mie orecchie percepiscono il vocio multiculturale e i clacson delle auto nella confusione della città di oggi. Respiro gli odori delle muffe che provengono dai muri delle case stanche del centro. Ma ritrovo Vincent anche nelle piazzette e nei bistrot, nelle fanciulle che passeggiano o che si fermano a leggere un libro sulle panchine, sotto i platani.  Le memorie di ieri si alternano al presente in una continua altalena,  la mia mente perde gli incastri  e il passato e l’oggi divengono un tutt’uno, inseparabile. In quei momenti non so più quale Vincent sono, se quello di cui porto il nome o se il bambino che stava ore in silenzio a guardare le maree. Oppure sono forse il padre che ha abbandonato Annette così come mio padre l’aveva fatto con me e Annette?

Mi fermo e chiudo gli occhi. Rileggo con la mente gli appunti che ho scritto. Li lascio decantare, in attesa di decidere il finale della mia storia. Tutto dipende da me, da quello che vorrò dare al mio futuro.

Riprendo la penna e in silenzio traccio un cerchio sul foglio. Lascio uno spiraglio, non lo chiudo. C’è ancora vita per me.

Redazione
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2 commenti

  • Scrivo per me stessa e per chi ha la costanza di seguirmi in questa avventura.
    Avventura bella, serena, con alcune grandi soddisfazioni.
    Vincent ha vinto il primo premio nella sezione “racconti” del concorso letterario internazionale “Profumo di marzo”. Nello stesso concorso ha vinto anche il primo premio assoluto ed ho ricevuto inoltre tre menzioni speciali dalla giuria per due poesie e per tutto il lavoro prodotto.

  • Forse c’è un Vincent in ognuno di noi che vive nascosto al buio e in silenzio.. L’ho sentito molto vicino questo tuo personaggio, anzi era come se parlasse da dentro di me. Bellissimo, il premio è davvero meritato per quello che mi riguarda. Un abbraccio Patrizia, Hannah

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