Paulo Freire c’è
di Roberto Mazzini (*)
Reinventiamolo per reinventare un altro mondo inedito
Chi era Paulo Freire? E perché importa oggi il suo pensiero a più di mezzo secolo di distanza? Cosa c’entra il Brasile anni ‘50 del ‘900 con l’Italia anni ‘20 del nuovo secolo?
Pochi conosceranno Freire e la sua pedagogia della coscientizzazione.
Dal maieutico Socrate che sa di non sapere e chiede, usando la domanda per svelare l’ignoranza dei potenti del tempo, arriviamo a Freire che usa le domande per accrescere la coscienza dei contadini brasiliani senza terra.
Paulo Freire (che era nato il 19 settembre 1921) inizia negli anni ‘50 a lavorare all’alfabetizzazione dei contadini nella zona più “arretrata” del Brasile, in nordest.
Inizia in modo classico, insegnando quel che sa, trasmettendo la sua conoscenza a chi sembra non averne alcuna.
Da sensibile e attento osservatore scopre che questo metodo non funziona, o meglio è funzionale a mantenere l’oppressione, anche arrivando con buone intenzioni, magari addirittura portato da chi vuole liberare il popolo dalle oppressioni.
Ritiene che il metodo liberatorio non possa usare la stessa forma comunicativa dall’alto al basso, dei metodi dominanti.
Pensa che «nessuno libera nessuno, non ci si libera da soli, ci si libera insieme in solidarietà».
Elabora pian piano un altro metodo, la pedagogia della coscientizzazione, dove contrappone il metodo trasmissivo-bancario-depositario, a quello problematizzante.
Come si fa praticamente?
Non c’è una ricetta unica. Freire insiste che il metodo va ogni volta reinventato in base al contesto, lui stesso lo farà, andando a lavorare in Africa, in Europa, nelle Americhe.
La base originale è strutturata in alcune fasi:
1) ricerca dell’universo tematico: una ricerca sul campo, andando dove le persone vivono, raccogliendo frasi, espressioni particolari, problemi più sentiti che daranno origine nella cellula alfabetizzatrice alla scoperta delle parole chiave e dei temi generatori, quei temi che possono appassionare la comunità e consentire di fare un salto di coscienza.
2) codifica dei temi in quadri e immagini chiave.
3) discussione di queste immagini nel gruppo, attraverso il dialogo, per de-codificarle, ovvero capirle in modo approfondito.
Infatti Freire distinguerà fra una coscienza ingenua, magica, fatalista (che non si pone nessun problema, e vegeta invece che vivere in senso pieno, accettando la realtà così com’è) e la coscienza semi-transitiva, quella che scopre che il mondo è modificabile, ma analizza i problemi in modo meccanico, dicotomico, semplicistico per arrivare alla coscienza critica, transitiva, dove l’alfabetizzando capisce i meccanismi oppressivi, si fa una visione chiara del mondo e studia come cambiarlo.
La chiave di questo processo non è la trasmissione di nozioni ma il dialogo, basato sull’ascolto dell’altro e le domande che aiutano ad approfondire la conoscenza: interrogativi posti a un gruppo in crescita a cui si risponde insieme.
Per questo la sua eredità oggi va oltre il lavoro con gli analfabeti, perché il processo di coscientizzazione riguarda tutte/i, soprattutto gli oppressi di vario tipo che se non sono più i contadini analfabeti del nordest brasiliano, possono essere:
– i richiedenti asilo e migranti nei centri di accoglienza o nelle scuole di italiano per stranieri
– i giovani e ragazzi a rischio dei quartieri degradati di varie città
– gli studenti delle scuole a cui sarebbe utile una educazione non trasmissiva
– i detenuti che seguono percorsi di formazione
– le donne migranti che partecipano a varie iniziative di socializzazione ed empowerment
– i pazienti psichiatrici nelle attività riabilitative
– le donne vittime di violenza domestica
– le persone LGBT*
… e ancora.
Gli oppressi di oggi possono usufruire di Freire per rendersi conto di non essere sole, per indagare le proprie “situazioni limite”, trovare le “parole e temi generatori” e scoprire “l’inedito possibile”, quel che ancora non c’è ma si intravede come possibilità.
Senza fare di lui un mito, credo che la pedagogia di Freire e dei suoi seguaci sia un valore importante per un altro mondo possibile, che eviti gli errori del socialismo realizzato e dei vari tentativi rivoluzionari, dove alle élite sconfitte, si sono sostituite nuove élite, senza realmente rompere l’oppressione.
Un movimento per il cambiamento sociale radicale credo debba basarsi su questo approccio, formare i propri militanti perché si rapportino in modo dialogico ai gruppi oppressi, alla loro potenziale base sociale, onde evitare le derive populiste, il ripiegarsi degli oppressi al sostegno di movimenti e partiti razzisti, ma anche per rivendicare una autonomia dei movimenti, da chi li vorrebbe dirigere in quanto si sente investito di una maggiore intelligenza politica.
Non è un caso se la sinistra in Italia è praticamente scomparsa, fra opportunismi, settarismi, subordinazione al pensiero dominante o ribellismo di élite. Un po’ di coscientizzazione non farebbe male alle sinistre italiane vecchie-nuove
Come dice Freire, l’oppresso può essere colonizzato dall’oppressore, portarlo dentro di sé: invece di rompere la dinamica oppressiva, desiderare di sostituire l’oppressore; mettersi “un poliziotto dentro la testa” è l’espressione che usa Augusto Boal (suo connazionale e contemporaneo, traduttore dell’approccio di Freire in ambito teatrale) con il Teatro dell’Oppresso.
(*) di Giolli coop.
“scoprire “l’inedito possibile”, quel che ancora non c’è ma si intravede come possibilità”
Il sempre prezioso Roberto Mazzini…
Da leggere le riflessioni di Paolo Vittoria su ilmanifesto.it/paulo-freire-un-alfabeto-di-speranza dove si segnala che è al via su Spreaker, Spotify, Apple e le altre piattaforme un ciclo di podcast realizzato per «il manifesto» che narra il pensiero del grande educatore brasiliano, a 100 anni dalla nascita, attraverso luoghi, voci, testimonianze. Il titolo è «Leggere il mondo con Paulo Freire, alla scoperta della pedagogia degli oppressi». Il ciclo a cura di Paolo Vittoria (regia di Andrea De Rosa, sound design Luigi Petrazzuolo, voce narrante Paolo Vittoria, con la partecipazione di Marco Boccitto e Pierfrancesco Di Mauro, musiche Alessio Arena, prodotto in collaborazione con Upside e Apogeo Records per il manifesto) consiste in 4 puntate da 10 minuti ciascuna. In forma leggera ma profonda, i podcast vogliono aprire percorsi affinché si possa (ri)scoprire e (re)inventare Paulo Freire. La prima puntata è disponibile da oggi.