Pena di morte: brutte storie da Missouri e Iran
Dal «Foglio di collegamento» del comitato Paul Rougeau
CARMAN DECK UCCISO IN MISSOURI DOPO VARI PROCESSI INGIUSTI
L’esecuzione di Carman Deck è stata portata a temine 26 anni dopo il duplice omicidio di cui fu accusato, a conclusione di un lungo e altalenante procedimento giudiziario.
Alle 18:10’ del 3 maggio, nel carcere di Bonne Terre in Missouri, Carman Deck, condannato alla pena capitale per duplice omicidio, è stato messo a morte con un’iniezione letale.
Il suo iter giudiziario fu travagliato e intriso di gravi pecche e lacune.
Deck era stato accusato di aver sparato alla nuca a due anziani coniugi, James e Zelma Long, per derubarli, nel 1996, quando aveva 30 anni. La polizia affermò che aveva confessato le uccisioni, ma la difesa di Deck sostenne al processo che si era trattato di una falsa confessione.
La prima condanna di Deck fu annullata in appello a causa di un errore nelle istruzioni fornite alla giuria.
Fu poi nuovamente condannato a morte, ma anche questa seconda condanna fu annullata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, con la motivazione che i giurati potevano essere stati influenzati negativamente dal fatto che Deck fu portato e tenuto in catene in tribunale durante il processo.
Una terza giuria lo condannò nuovamente a morte nel 2008, ma un giudice federale annullò la sentenza, concordando con la difesa di Deck che non c’erano prove sufficienti per giustificare una condanna alla pena capitale.
Nel 2020, una corte d’appello federale ritenne erronea la decisione del giudice e ripristinò la condanna a morte. Ulteriori ricorsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti furono respinti.
«Stasera è stata fatta giustizia» ha dichiarato Anne Precythe, direttrice del Dipartimento penitenziario del Missouri.
Elizabeth Carlyle, un’avvocatessa di Deck, ha invece definito la sua esecuzione «ingiusta e immorale» dicendo che da bambino Deck «aveva subito abusi, era stato trascurato e abbandonato, fattori che costituivano circostanze attenuanti, tanto che la Corte Suprema del Missouri li aveva definiti sostanziali».
«I familiari stretti gli hanno insegnato a rubare, portandolo a una pena detentiva che lo ha trasformato da ladro non violento nella persona che ha commesso due terribili omicidi» ha aggiunto la Carlyle. La terza giuria non sentì nessuno che potesse testimoniare della sua “orribile infanzia”. «A causa dell’eccessivo ritardo per colpa dello Stato del Missouri, la giuria non sentì un solo testimone dal vivo che conoscesse Carman prima del crimine» ha detto la Carlyle. «Questo processo fallito non fornisce motivazioni sufficienti per giustificare la morte di Carman. L’ergastolo senza la possibilità di liberazione sarebbe stata una punizione giusta e adeguata».
I membri della famiglia Long hanno assistito all’esecuzione, mentre nessun familiare di Carman Deck era presente.
DJALALI È ANCORA VIVO MA IL BOIA È SEMPRE VICINO (*)
Il ricercatore iraniano Ahmad Reza Djalali, arrestato nel 2016 mentre si trovava nel suo Paese per tenere un ciclo di conferenze e condannato a morte, doveva essere impiccato entro il 21 maggio ma è ancora vivo. La sua sorte rimane comunque del tutto incerta.
L’impiccagione del ricercatore iraniano Ahmad Reza Djalali (1) era prevista entro la fine del mese di Ordibehesht del calendario persiano, ovvero entro il 21 maggio.
«Quella data è passata ed è finito un incubo, ma ne è subito iniziato un altro perché già sappiamo che la magistratura di Teheran ha terminato la procedura di revisione del suo caso e il cappio del boia potrebbe stringersi ben presto attorno al collo del ricercatore universitario», commenta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.
Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International sulla pena di morte, «dal 2017 in Iran si è registrato un aumento delle condanne capitali: si è passati da almeno 246 esecuzioni nel 2020 ad almeno 314 nel 2021, con un aumento percentuale del 28%.
Il dato è il più alto registrato nel Paese dal 2017. La parte più consistente di queste esecuzioni (42%) è costituita da esecuzioni di condannati a morte per reati di droga (132 in totale), il cui ammontare è cresciuto più di cinque volte rispetto al 2020».
Quella di Djalali è però tutta un’altra storia. Nato cinquant’anni fa nella località di Sarab nella regione iraniana dell’Azerbaigian, Ahmad Reza Djalali è specializzato in medicina di emergenza e ha svolto ricerca in diversi istituti europei, tra cui l’Università degli Studi del Piemonte orientale, il centro Crimedim di Novara, la Vrije Universiteit di Bruxelles e l’Istituto Karolinska di Solna, a pochi chilometri da Stoccolma.
Era stato arrestato nel 2016 mentre si trovava in Iran su invito delle Università di Teheran e Shiraz. Sotto tortura, aveva confessato di essere una spia al soldo dello Stato ebraico e di aver indicato al Mossad due scienziati nucleari, poi uccisi nel 2010.
Nel gennaio 2017 era stato trasferito nella sezione 15 del tribunale rivoluzionario di Teheran con l’accusa di spionaggio. Senza avvocato, al quale era stato impedito di presenziare alle udienze, nell’ottobre dello stesso anno il ricercatore era stato incarcerato nella prigione di Evin e condannato a morte per impiccagione con l’accusa di «corruzione sulla terra».
Dopodiché, nel luglio 2019 era stato trasferito in un luogo ignoto in attesa dell’esecuzione.
In questi anni sono stati numerosi gli appelli a favore di Djalali. Si è anche ipotizzato uno scambio con un detenuto iraniano, Hamid Nouri, che un tribunale svedese potrebbe condannare all’ergastolo il prossimo 14 luglio anche se nega ogni capo d’accusa e dice trattarsi di un caso di omonimia.
Si tratterebbe di un ex funzionario della magistratura iraniana, arrestato nel 2019 all’aeroporto di Stoccolma e recentemente sotto processo in Svezia per il suo presunto coinvolgimento nell’esecuzione di massa di dissidenti negli anni Ottanta nelle carceri iraniane.
Il portavoce della magistratura di Teheran, Massoud Setayeshi, ha però escluso l’ipotesi di uno scambio di prigionieri: «Non c’è alcun piano per scambiare Nouri con Djalali e quest’ultimo verrà giustiziato a tempo debito».
In Italia il caso di Djalali è noto perché il ricercatore iraniano aveva lavorato all’Università del Piemonte orientale, a Novara, dove non si erano però concretizzate opportunità. Si era trasferito in Svezia, che nel 2018 gli concesse la cittadinanza.
Durante la presidenza del moderato Rohani, il ministro degli Esteri svedese Ann Linde aveva chiesto al suo omologo Javad Zarif di intercedere, ma il portavoce del ministero di Teheran aveva risposto: «Sfortunatamente, le informazioni a disposizione delle autorità svedesi sul caso di Djalali sono incomplete e false». In ogni caso, ha aggiunto, «la magistratura è indipendente dall’esecutivo».
In carcere, Djalali ha acquisito la cittadinanza svedese, ma dal punto di vista legale vale ben poco: l’Iran non riconosce la doppia cittadinanza. Di pari passo, non serve granché la cittadinanza onoraria conferita dal Comune di Novara, dopo che Djalali era detenuto nelle carceri iraniane da tre anni.
Secondo Noury, «ora la palla passa alla diplomazia europea, in particolare a quella dei Paesi in cui Djalali ha lavorato: Italia, Belgio e Svezia. Ad avere un ruolo prioritario saranno Bruxelles e Stoccolma, perché nelle loro carceri ci sono prigionieri iraniani che gli ayatollah e i pasdaran vorrebbero liberare. Da anni l’Iran arresta iraniani che hanno acquisito una seconda cittadinanza europea, con l’obiettivo di scambiarli con altri iraniani detenuti nel vecchio continente. Questa strategia è inaccettabile, le persone non possono diventare pedine».
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(*) Articolo di Farian Sabahi pubblicato su il manifesto il 29 maggio
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Vedi i nostri articoli sul caso di Ahmad Reza Djalali nei numeri 235, 244, 246, 260, 262 (nel notiziario) e 281.
PRESENTAZIONE DEL «FOGLIO DI COLLEGAMENTO»
Invio il nostro Foglio di Collegamento il cui sommario è qui sotto. Vi ricordo che gli articoli comparsi nei numeri precedenti del Foglio di Collegamento, ai quali rimandano le note in calce ad alcuni articoli di questo numero, si trovano nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org
In questo numero si parla della pena di morte negli Stati Uniti, anche se in questo grande Paese il fenomeno della pena capitale è soggetto a un lento ma inarrestabile declino. Molti articoli si occupano dell’Iran, Paese in cui la pena di morte prospera e sembra inarrestabile.
Trovate anche un avviso per chi corrisponde con i detenuti in Florida, importante in quanto il regolamento per l’invio della corrispondenza è stato completamente modificato e, se non si seguono le nuove istruzioni, le nostre lettere non verranno più recapitate.
Vi ricordo la pagina Facebook Amici e sostenitori comitato Paul Rougeau contro la pena di morte
Nella pagina trovate articoli scritti da organizzazioni abolizioniste in tutto il mondo, nonché appelli che potete firmare e diffondere.
Giuseppe Lodoli per il Comitato Paul Rougeau
FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU: numero 294 – maggio 2022
SOMMARIO
L’Arizona uccide il navajo Clarence Dixon, cieco e malato di mente
Carman Deck ucciso in Missouri dopo vari processi ingiusti
Melissa Lucio dopo essere scampata alla morte in Texas intravede la possibilità di essere liberata
Djalali è ancora vivo ma il boia è sempre vicino
Il mio fratello Juan
Avviso importante per chi corrisponde con detenuti in Florida
Notiziario: Bielorussia, Iran, Repubblica Centroafricana, Russia
Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 maggio 2022
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