Pena di morte: gli Usa e il boia

4 articoli dal «Foglio di collegamento» del comitato Paul Rougeau. A seguire la presentazione e il sommario del numero 286 con le istruzioni per chi vuole sostenere il comitato

FLOWERS CITA IN GIUDIZIO L’ACCUSATORE CHE LO HA PERSEGUITO 6 VOLTE

È comprensibile il desiderio di vendetta di un innocente che fu condannato a morte e rimase in carcere per 23 anni? Curtis Flowers ha già ricevuto un congro indennizzo finanziario (vedi foglio numero 281) ma ha citato in giudizio 4 persone che con caparbietà perseguirono la sua condanna a morte.

Il nero Curtis Flowers è stato processato 6 volte con l’accusa di aver ucciso quatto persone in un negozio di mobili di proprietà di bianchi a Winona, nel Mississippi.

Curtis Flowers, fu condannato a morte e rimase in prigione per 23 anni prima di essere scagionato nel 2020 (1).

In una denuncia presentata il 3 settembre 2021 ad una corte federale (2), il team legale di Flowers sostiene che l’accusatore, un investigatore dell’ufficio del Pubblico Ministero e 2 agenti di polizia coinvolti nelle indagini violarono la Costituzione degli Stati Uniti, nonché la Costituzione del Mississippi e diverse leggi dello stato del Mississippi.

Il ricorso di Flowers va contro l’Accusatore Distrettuale del Quinto Circuito, Doug Evans, che ha perseguito Flowers sei volte, contro John Johnson, un ex investigatore che lavorava con Evans, nonché contro gli agenti dalla polizia stradale Jack Matthews e Wayne Miller. Nel ricorso si asserisce che il caso intentato contro Flowers “non ha mai avuto senso” e che “la mancanza di solide prove contro Flowers rende gli accusati colpevoli di aver inventato un caso che non doveva mai essere aperto”.

Nel corso di due decenni e sei processi, Evans ha sistematicamente rimosso i potenziali giurati neri dal caso di Flowers, processando ripetutamente Flowers, che è nero, davanti a giurie composte quasi esclusivamente da bianchi. Flowers è stato imprigionato e condannato a morte quattro volte, ma ogni condanna è stata annullata per la cattiva condotta di Evans.

Due dei processi di Flowers si sono conclusi con giurie sospese, con giurati bianchi che votavano a favore della condanna e giurati neri che votavano per l’assoluzione. Un’indagine di APM Reports ha scoperto che l’ufficio di Evans escludeva gli Afroamericani con una velocità di 4 volte superiore rispetto a quella con cui rimuoveva i giurati bianchi.

Poco prima del secondo processo di Flowers, la casa dei suoi genitori fu bruciata e a sua madre fu fatta da un bianco la minaccia che: “Se avessero rilasciato quel negro, un’altra casa sarebbe stata bruciata”. Alla fine, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la condanna di Flowers nel suo sesto processo per la discriminazione razziale compiuta da Evans nella selezione della giuria. Poi il Procuratore Generale del Mississippi ha tolto il caso ad Evans e le accuse sono cadute.

Curtis Flowers non potrà mai recuperare i 23 anni della sua vita trascorsi in prigione quando avrebbe dovuto essere a casa con la sua famiglia e i suoi amici”, ha detto in una nota Kaitlyn Golden, uno degli avvocati che rappresentano Flowers. “La legge consente a persone innocenti di intentare azioni legali contro i funzionari statali responsabili di cattiva condotta, una condotta che abbia portato ad un’ingiusta detenzione”.

Fin dall’inizio, Flowers è stato un sospetto improbabile. Il crimine era complesso e le prove indicavano che l’autore aveva competenza nelle armi da fuoco e probabilmente un passato criminale. Flowers non aveva precedenti penali, nessuna esperienza di armi da fuoco e nessun motivo plausibile per compiere il delitto. Fu interrogato e alla fine arrestato semplicemente perché aveva trascorso tre giorni e mezzo lavorando nel negozio di mobili dove avvenne il delitto.

Nel ricorso si afferma che alcuni investigatori tennero una cattiva condotta nel costruire il caso contro Curtis Flowers, incluso il “fare pressione sui testimoni per far loro affermare di aver visto Flowers in luoghi particolari nel giorno degli omicidi, utilizzando indebitamente una serie di foto per convincere un testimone a incriminare Flowers, non riuscendo a indagare a fondo su altri sospetti che avevano molte più probabilità di aver commesso gli omicidi attribuiti a Flowers […] e persuadendo un criminale in carriera ad affermare falsamente che Curtis Flowers aveva confessato in prigione.”

Mentre gli appelli di Flowers andavano avanti l’agenzia investigativa APM Reports scopriva prove della sua innocenza, inclusi fatti che portavano ad un altro sospetto e l’ammissione del testimone principale dell’accusa, l’informatore carcerario Odell Hallmon, che aveva mentito quando testimoniò che Flowers aveva confessato gli omicidi.

Nonostante la costante affermazione dell’accusatore Doug Evans nel corso degli anni che non c’erano altri sospetti oltre Curtis Flowers”, dice il legislatore “c’erano molteplici sospetti alternativi, comprese persone con storie di violenza, omicidio e furti commerciali”.

Nel giugno del 2019, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la condanna di Flowers nel suo sesto processo, rilevando che lo “sforzo implacabile e determinato di Evans di liberare la giuria dagli individui di colore, suggerisce fortemente che si volesse processare Flowers davanti ad una giuria con il minor numero possibile di giurati neri, possibilmente davanti a una giuria composta solo da bianchi”.

Dopo che Evans ha indicato che intendeva processare Flowers una settima volta, due società per i diritti civili hanno chiesto un’ingiunzione per impedire al suo ufficio di impegnarsi in una selezione discriminatoria della giuria. Gli avvocati di Flowers si sono anche impegnati per rimuovere Evans dal caso, portandolo a ritirarsi volontariamente e a lasciare il caso al Procuratore Generale del Mississippi Lynn Fitch. Nel Settembre 2020, Fitch ha fatto cadere le accuse contro Flowers, scrivendo che “data la totalità delle circostanze è nell’interesse delle giustizia che lo stato non chieda un settimo processo contro Flowers, cosa senza precedenti”.

(1) Vedi numeri 260, 267, 281

(2) Si tratta della United States District Court for the Northern District of Mississippi

Julius Jones da giovane

CHIESTA LA GRAZIA PER JONES CONDANNATO A MORTE IN OKLAHOMA

Julius Jones, che fu arrestato a 19 anni di età nel 1999 e condannato a morte per omicidio, si dichiara innocente. Un’enorme mobilitazione popolare in suo favore ha indotto la Commissione per le Grazie dell’Oklahoma a raccomandare al Governatore Kevin Stitt la commutazione della sentenza capitale di Jones in ergastolo con la possibilità di liberazione sulla parola. La commutazione della sentenza capitale comporterebbe la liberazione di Jones in tempi brevi.

La Commissione per le Grazie dell’Oklahoma il 13 settembre ha votato per raccomandare al Governatore Kevin Stitt la commutazione della sentenza capitale di Julius Jones (1).

La Commissione, con 3 voti contro 1, ha raccomandato che la sentenza capitale di Jones sia commutata in ergastolo con la possibilità di liberazione sulla parola. I membri della Commissione Adam Luck, Larry Morris and Kelly Doyle hanno votato a favore del condannato, mentre Richard Smothermon ha votato contro.

Se la sua condanna verrà commutata, Jones potrà tornare presto in libertà dato che ha già passato molto tempo in prigione. Egli fu arrestato nel 1999 quando aveva 19 anni.

Il Governatore Kevin Stitt ha la facoltà di decidere se accogliere o meno la raccomandazione del Board.

Il governatore svolge il suo ruolo in questo processo seriamente e prenderà in considerazione il parere della Commissione per le Grazie dell’Oklahoma come egli fa in ciascun caso,” ha dichiarato l’ufficio di Kevin Stitt. “Non rilasceremo nessun altro commento fino a quando il governatore non avrà deciso”.

Ricordiamo che Jones, che ora ha 41 anni, è stato condannato a morte nel 2002 per aver ucciso con un’arma da fuoco Paul Howell, un uomo d’affari di Edmond, e che negli ultimi tempi si è verificata un’enorme mobilitazione in suo favore. Il 25 febbraio u. s. i suoi sostenitori hanno consegnato alla Commissione per le Grazie e per il Rilascio sulla Parola oltre 6 milioni di firme di persone che chiedevano la grazia per lui.

Molte persone note si si sono espresse in favore di Julius Jones, tra di esse Kim Kardashian che è pure andata a visitarlo in prigione.

La verità è che non ho ucciso Howell,” ha scritto Jones in una lettera inviata alla Commissione per le Grazie in aprile allorché si esaurì il suo iter legale. “Non ho partecipato in alcun modo a quell’omicidio. La prima volta che ho visto Howell è stato in televisione quando si parlò della sua uccisione.

  1. Sul caso di Julius Jones vedi articolo nel n. 285

CONCESSA LA GRAZIA POSTUMA AI SETTE NERI DI MARTINSVILLE

I parenti di sette giovani uomini di colore messi a morte in Virginia nel 1951 sono riconoscenti nei riguardi del governatore Ralph Northam che il 31 agosto ha concesso la grazia postuma ai giustiziati.

Il governatore della Virginia Ralph Northam ha graziato sette giovani uomini di colore che furono condannati a morte da giurie composte solo da bianchi e giustiziati in Virginia settant’anni fa. I sette erano stati accusati di aver violentato una donna bianca nella città di Martinsville.

Dopo anni di impegno dei discendenti dei giustiziati e di altri attivisti, Northam ha annunciato la grazia postuma il 31 agosto 2021, sorprendendo coloro che erano venuti in Campidoglio per incontrare personalmente il governatore e perorare il caso.

Northam ha emesso provvedimenti di grazia separati per ciascuno dei 7 uomini: Francis DeSales Grayson, Frank Hairston Jr., Howard Hairston, James Luther Hairston, Joe Henry Hampton, Booker T. Millner e John Clabon Taylor.

È stato uno dei giorni più belli della mia vita”, ha detto Pam Hairston, che è imparentata con molti dei condannati e si è impegnata per decenni a sostenere la loro causa.

Riconoscendo che le esecuzioni dei neri, noti come i “Martinsville 7”, furono un prodotto del razzismo, Northam ha affermato: “Si tratta di correggere gli errori”.

Rudy McCollum, ex sindaco di Richmond imparentato con due dei condannati, ha affermato che “la sua azione era attesa da tempo per rimarginare finalmente una ferita per le famiglie, chiudendo questa vicenda con il riconoscimento da parte dello stato che a queste persone è stato negato il giusto processo solo per il colore della loro pelle”.

I Martinsville 7 furono accusati di aver violentato una donna bianca nel 1949 e interrogati dalla polizia senza la nomina di un legale. Sotto la minaccia di un linciaggio se fossero stati rilasciati, ognuno di loro confessò di essere coinvolto nello stupro. Dopo una serie di processi superficiali davanti a giurie composte di soli bianchi furono tutti condannati a morte e giustiziati nel 1951 nella più grande esecuzione di massa per stupro nella storia degli Stati Uniti.

In un podcast del gennaio 2021, McCollum ha dichiarato all’amministratore delegato del DPIC (Death Penalty Information Center) Anne Holsinger: “Lo scopo dei linciaggi e anche di azioni statali come quella, era di inviare un messaggio alla comunità nera. … Se oltrepassi il limite, faremo in modo che… l’intera comunità riconosca che… ci saranno conseguenze”.

Ho sentito alcune persone domandarsi: ‘Perché lo stiamo tirando fuori adesso?’ ” – ha detto Faye Holland, direttore esecutivo della Martinsville 7 Initiative, che ha sostenuto la richiesta di grazia. “Non lo stiamo tirando fuori adesso. Lo è stato per 70 anni, e nessuno ha mai fatto nulla.”

Sebbene i perdoni non riguardino l’innocenza o la colpevolezza dei sette, servono come riconoscimento da parte del Commonwealth della Virginia che questi uomini sono stati messi a morte senza un giusto processo e hanno ricevuto una condanna capitale razzista non applicata allo stesso modo agli imputati bianchi”, si legge nella dichiarazione del governatore Northam. “Noi tutti meritiamo un sistema di giustizia penale che sia equo, egualitario e giusto, non importa chi sei o che aspetto hai. Sono grato ai sostenitori e alle famiglie dei 7 di Martinsville per la loro dedizione e perseveranza”.

In risposta ai provvedimenti di grazia, la National Association for the Advancement of Colored People della Virginia ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che “decenni dopo che il Commonwealth ha processato e giustiziato questi giovani senza un giusto processo, l’annuncio di oggi, atteso da tempo, è un passo verso la giustizia”.

Dal 1900 fino al 1977, anno in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha vietato la pena di morte per crimini in cui nessuno è stato ucciso, la Virginia ha messo a morte 73 neri con l’accusa di stupro, tentato stupro o rapina. Nello stesso periodo, nessuna persona bianca è stata giustiziata per questi crimini. E in tutta la sua storia, la Virginia non ha mai giustiziato un bianco per aver violentato una donna di colore.

McCollum ha detto al DPIC: “Se vogliamo davvero andare avanti come società, dobbiamo riconoscere che quando vengono commessi errori, è necessario correggerli. Ma non possono essere corretti, a meno che non ci sia un’ammissione”.

Il direttore esecutivo del DPIC, Robert Dunham, ha definito le esecuzioni dei Martinsville 7 “una manifestazione di terrorismo razziale con l’uso del linciaggio attraverso il sistema legale”. “I processi farsa dei Martinsville Seven di fronte a giurie tutte bianche e tutte maschili – ha detto Dunham all’UPI – hanno evidenziato l’uso della pena di morte quale strumento di oppressione razziale e hanno evidenziato il legame tra linciaggio, segregazione e pena di morte”.

L’abolizione della pena di morte da parte della Virginia è stato un evento storico nel porre fine all’eredità di queste ingiustizie razziali”, ha detto Dunham. “Ma il caso dei Sette di Martinsville è importante per un’altra ragione: il perdono è una scusa formale e un riconoscimento che la vita delle persone che sono state vittime dell’ultima oppressione razziale, la vita dei loro familiari e la vita di tutta la comunità nera ha valore. Le loro vite contano. E anche riconoscere questo è importante”.

(da un articolo del Death Penalty Information Center)

USA: CONTINUA A DIMINUIRE LA POPOLAZIONE NEI BRACCI DELLA MORTE

È netta la tendenza alla diminuzione del numero degli “ospiti” nei bracci della morte degli Stati Uniti d’America, l’unico paese del blocco occidentale che mantiene la pena di morte.

Negli Stati Uniti continua la diminuzione del numero dei condannati a morte iniziata trent’anni fa.

Il numero di persone detenute nel braccio della morte o che rischiano una condanna a morte negli Stati Uniti corrisponde ora al minimo negli ultimi tre decenni, secondo i dati analizzati e diffusi dal Death Penalty Information Center.

Risulta che 2.504 persone sono imprigionate nei bracci della morte statali, federali o militari o rischiano la morte in attesa di un nuovo processo o di una nuova sentenza, uguagliando il totale dell’agosto 1991.

Poi il numero dei condannati a morte aumentò raggiungendo il picco di 3.717 a luglio del 2001.

Il numero di persone condannate a morte o che rischiano la pena di morte nei procedimenti capitali pendenti è diminuito del 32,6% da allora.

Le sentenze di colpevolezza o le condanne a morte di 223 persone sono state ribaltate, lasciando circa un caso su undici in attesa di un nuovo processo o di una nuova sentenza. Escludendo questi casi, il numero di persone negli Stati Uniti che devono affrontare condanne a morte attive è sceso a 2.281.

Il 34,4% (861 persone) di coloro che sono nel braccio della morte o che rischiano una nuova condanna a morte si trova in stati dove vige una moratoria sulle esecuzioni. Includendo quelli in altri stati le cui condanne a morte sono state annullate, ci sono 1.036 condanne a morte attualmente inapplicabili, il 41,4% di tutti i casi capitali.

1.468 condannati a morte hanno attualmente condanne esecutive.

Il braccio della morte della California è sceso a 704 prigionieri, ma è rimasto di gran lunga il più grande della nazione. Seguono la Florida (con 343 condannati a morte), il Texas (con 205) e l’Alabama (con 170).

A livello nazionale, il 42,4% dei detenuti nel braccio della morte è costituito da bianchi, il 41,3% da neri, il 13,5% da latino-americani, l’1,8% da asiatici e l’1,0% da nativi americani.

Tra gli stati con almeno 10 prigionieri nel braccio della morte, quelli con la più alta percentuale di persone di colore nel braccio della morte sono il Nebraska (75,0%), il Texas (72,7%), la Louisiana (72,4%), la California (67,2%) e la Pennsylvania (62,4%).

Il 2% dei condannati a morte sono donne.

 PRESENTAZIONE DEL “FOGLIO DI COLLEGAMENTO”(sotto il sommario)

Questo numero comincia con un articolo riguardante il nostro valoroso amico Dale Recinella, cappellano laico cattolico nel braccio della morte della Florida. Dale è venuto in Italia a fine settembre con la moglie Susan e vi è rimasto per una settimana parlando e testimoniando contro la pena capitale nei luoghi più disparati. Nel prossimo numero daremo ampio spazio alla visita di Dale nel nostro paese.

Tutti gli articoli di questo numero riguardano gli Stati Uniti d’America, l’unico paese occidentale che continua ad usare in maniera massiccia la pena capitale, anche se la tendenza a lungo termine è quella dell’abolizione. Negli Stati Uniti la pena di morte dà luogo a contraddizioni assurde… a volte i condannati a morte riescono a salvarsi e a perseguire coloro che li hanno condannati.

Ricordo che gli articoli comparsi nei numeri precedenti del Foglio di Collegamento, ai quali rimandano le note in calce ad alcuni articoli di questo numero, si trovano nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org

Giuseppe Lodoli
per il Comitato Paul Rougeau

 FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU – Numero 286 del settembre 2021 (*)

SOMMARIO

Nel braccio della morte per difendere la vita  

Il Texas mette a morte Rick Allan Rhoades      

Flowers cita in giudizio l’accusatore che lo ha perseguito 6 volte  

Chiesta la grazia per Jones condannato a morte in Oklahoma      

Sospesa l’esecuzione di John Ramirez in Texas per motivi religiosi         

Concessa la grazia postuma ai sette neri di Martinsville          

Usa: Continua a diminuire la popolazione dei bracci della morte

(*) questo numero è stato chiuso il 30 settembre

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

3 commenti

  • Mariano Rampini

    Ho l’impressione che almeno due dei “suggerimenti” proposti dall’amico Daniele abbiano qualcosa in comune. Mi riferisco a quello relativo alla “resilienza” (termine oggi ben conosciuto) della psicoanalisi durante gli anni del nazismo e a questo sull’uso (discriminatorio?) della pena di morte in alcuni Stati del nord America. In entrambi i casi viene citato un elemento che sembra (ripeto sembra) giustificare forme di violenza contro persone che per razza, idea o quant’altro, minino la sicurezza della massa. In entrambi i casi mi pare di ri-ascoltare voci che ho sentito levarsi minacciose nelle nostre stesse piazze e non molto tempo fa. Gli immigrati, l’intera comunità Lgbt, gli zingari…cioè le stesse identiche persone che hanno popolato i bracci della morte nelle carceri Usa così come i lager nazisti. Persone cioè più deboli perché facilmente riconoscibili e distinguibili da una massa indistinta ma tutta unità nella sua pervicace intenzione di ri-pulire la società dagli elementi che la stessa massa considera come indesiderati. L’azione delle forze nazifasciste (chiunque abbia avvallato le politiche del Terzo Reich è responsabile in egual misura di quelle atrocità) aveva come obiettivo la purezza di una razza sostanzialmente inesistente. Obiettivo perseguito anche dalle forze wasp americane che dopo aver fatto crescere il loro Paese grazie allo sfruttamento di una forza lavoro praticamente gratis, si sono sempre opposte con forza al riconoscimento dei diritti di ogni singolo uomo che pure la loro stessa Carta costituzionale riconosce come elemento fondante di ogni moderna società… mi piacerebbe leggere qualcosa in proposito (un parallelismo forse forzato il mio): avete qualche suggerimento?

    • Fabio Troncarelli

      C’è un libro famoso che esamina il problema sollevato da Rampini : Il capro espiatorio di René Girard, Milano, Adelphi, 1999. Il suo valore consiste nel fatto di essere sintetic, chiaro eincisivo. Però, a dire il vero, il problema è stato affrontato mote volte dagli antropologi e dagli storici che avevano un dialogo vivo con l’antropologia negli anni ottanta. Oggi queste cose non sono più di moda ed è di moda un rifiuto della storia e un’idolatria del presente, effimero e orribile, senza farsi domande e senza cercare risposte grazie al confronto con altri metodi di studio. Rersta il fatto che la ricrca ossessiva di un capro espiatorio per giustifcare la propria incapacità di capire e lo sgomento di non sapere che cosa fare di fronte a tante situzioni terribili, è qualcosa che esiste da sempre nella storia umana e spiega fenomeni come la caccia alle streghe e l’accanimento contro gli eretici e tutti gli altri a cui viene appioppata l’etichetta di diverso=alieno=mostro pericoloso. Il fatto è che i mostri sono dentro di noi e per questo dobiamo espellerli e atrribuire agli altri, di preferenza esseri deboli, minoranze, perdenti, insomma categorie che non possono protestare.

  • Alberto Campedelli

    E’ indicativo il fatto che la grande democrazia americana abbia ancora la pena di morte, che peraltro non si dimostra efficacia contro la deliquenza: gia’ scandaloso che la “supposta” democrazia USA ha il più alto numero di crimini contro la persona e il patrimonio. E’ il benessere che avanza e anche noi siamo sulla cattiva strada del capitalismo selvaggio, senza regole, che come dice Romano Prodi, sarebbe necessario un capitalismo ben temperato, altro che i fasulli tentativi di che comunisti falliti in tutto il mondo…!

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