PER CAMPARE (di Pabuda)
cosa non si fa
per campare…
si dice.
ma si dovrebbe
dire:
che si fa?
si fa, si fa, si fa.
si fan cose turpi
per campare.
roba, per intenderci,
come
il lavoro impiegaticcio:
proprio così:
non è un refuso:
(porca l’oca, non mi son confuso!)
è lavoro ripiegato
su scrivania minima
che lascia soltanto,
a fine giornata,
rifugio
nel sonno umidiccio:
un sonno senza sogni
di gloria:
al massimo, si sogna,
vado a memoria,
d’aver miracolosamente
smaltito la pancetta,
d’aver fatto saltare
con ordigno artigianale
delle fatture
un archivio enorme,
monumentale.
ci son poche consolazioni:
due, per essere schematici,
sintetici:
primo: un pensierino da pensare
al mattino e alla sera
dedicato ai compagni
che lavorano in miniera.
secondo:
un altro pensierino
da pensare
una volta la sera
e una volta
al mattino
dedicato ad alcuni
colleghi di una volta
che del lavoro ripiegato
fecero trampolino
o, forse, piattaforma
spaziale
per scagliare il cervello
su, in orbita,
verso
qualcosa di bello:
che so:
verso un verso,
verso un poema, uno scherzo,
oppure in direzione
d’un romanzo disperso
o, più modestamente,
del racconto d’una metamorfosi,
dell’incubarsi d’un incubo,
l’ingarbugliarsi d’un processo
senza
vergognarsi di confessare
il proprio pio desiderio
d’un indiano diventare
Proprio bella…
molto bella
Cosa non si fa…
Grazie.
elisabetta
prego!
cioè volevo dire: grazie x i commenti.
anyway… io mi diverto (a scrivere).
quando mi chiedono: cosa fai nella vita?
di solito rispondo:
per campare: l’impiegato, per vivere: sommessa sovversione, collages, neuropoesia e ascolto jazz…
poi dormo
W PABUDA!!!!!
oppure in direzione d’un romanzo disperso. Sì.
grazie.
c.
eh… ci stiamo lavorando (per il gusto di lavorare)