per i vegani e (sopratutto) i non vegani
di Dora Grieco
Essere Vegan come atto politico. Riflessioni – Dora Grieco
Non so se c’è davvero bisogno di scrivere ancora di veganismo. Si è scritto già tanto, con testi importanti che ben inquadrano la questione [1]. Se ne parla sempre di più anche al di fuori dell’ambiente degli attivisti, il più delle volte però, viene fatto senza conoscerne il significato profondo, limitandosi a superficiali accenni e considerazioni, o a facili battute ironiche. Molti riconducono questa, che è una vera e propria filosofia di vita, ad una mera scelta alimentare, a una fissazione, a una scelta estrema o ancora la classificano come moda. Spesso ne parlano come se fosse in atto una competizione con chi la pensa in modo diverso, una gara “vegani” contro “carnisti”, per vedere chi vince. Niente di più sbagliato.
Allora forse è ancora necessario parlare delle ragioni d’essere del veganismo, che sono profonde e puntano a un radicale cambiamento sociale, allo sradicamento della cultura antropocentrica e specista. Non è solo una questione di cosa mangio oggi, se l’hamburger vegetale, animale o sintetico, ma si tratta piuttosto di restituire agli animali la totale libertà dalla schiavitù. Si è vegan per etica e non per “dietetica” e si agisce secondo un pensiero di uguaglianza di tutti gli animali, umani compresi.
Il primo punto: tutti su un unico piano
E’ bene quindi chiarire subito il primo punto: il veganismo non colloca gli umani all’apice della piramide (visione antropocentrica) ma vede tutti, animali umani e non, su un unico piano. E su questo stesso piano è necessario includere la Natura, tutta, con la sua vegetazione, l’acqua, l’aria, i territori. Nessun essere vivente può essere al mero servizio dell’altro, ma tutto conta e vale.
Il veganismo è quindi un atto politico di protesta pacifica verso questa società umana che tiene gli altri animali sottomessi, collocati alla base della piramide, al proprio servizio, e che, senza troppi giri di parole, dispone della loro vita, schiavizzandoli ed uccidendoli in modo sistematico e organizzato: una fabbrica di esseri senzienti, fatti nascere per essere uccisi o resi schiavi. Aberrante agli occhi di chi vuole vedere. Tutto per di più collegato a interessi economici.
Filosofia, protesta e pratica
Essere vegan vuol dire mettere insieme filosofia, azione e pratica di vita: da una richiesta di giustizia mancata (la liberazione degli animali), si passa alla protesta (che può assumere diverse forme, anche scrivere può costituire un atto di protesta) e nel contempo, con le nostre scelte quotidiane, influenziamo e modifichiamo la società (quando decidiamo cosa comprare, cosa fare, come mangiare, come vestirci…).
Essere vegan vuol dire non solo riconoscere che quello che stiamo facendo agli animali sia sbagliato e ingiusto ma soprattutto agire di conseguenza, permettendoci da subito di diminuire la violenza perpetrata sugli animali e di non esserne più i mandanti. E’ una scelta con una forza e una potenza inimmaginabili perché va a incidere davvero sul cambiamento della società, senza aspettare che siano appunto gli altri, chi ci governa, le aziende o l’industria, a proporre quei cambiamenti che noi da subito possiamo attuare. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva Gandhi.
Empatia, luoghi comuni, abitudini
Abbiamo occhi e cuore per vedere nell’altro, di qualunque specie, noi stessi, per immedesimarci e provare empatia. Noi umani, siamo animali complessi e indiscutibilmente capaci di dominare sugli altri, ma possiamo -dovremmo- decidere di usare questa nostra forza per proteggere invece che sopraffare, decidere di tutelare invece di uccidere e sfruttare. Nessuno ci obbliga a seguire la linea del dominio se non i luoghi comuni, le abitudini, l’inerzia.
Lottare per cambiare consuetudini e scelte sociali consolidate è molto complesso ma non per questo impossibile. E’ stato già fatto in passato e ancora si continua a fare perché non sempre quello che è usuale può essere giusto. La storia è ricca di esempi di persone che si sono esposte e impegnate pacificamente per i diritti umani, sradicando abitudini e pregiudizi. Dobbiamo solo eliminare questa linea di separazione che ci divide dagli altri animali e portare avanti un’idea di giustizia e rispetto che valga per tutti.
Noi e gli altri animali
Chi può negare oggi che gli animali non umani siano individui senzienti, quindi persone, che come noi provano sofferenza non solo fisica ma anche psicologica se sottoposti a maltrattamenti o rinchiusi o costretti a fare cose lontane dalla loro natura? Nessuno oggi può più affermare con ragione che “sono solo animali” e che come tali possono essere maltrattati. Chi continua anche solo indirettamente a sfruttarli, lo fa perché sceglie di “non voler sapere”, di “non voler vedere”. Quante volte sentiamo dirci: “no, non farmi vedere come vengono ammazzati, altrimenti non riesco a mangiarli”. Certo, poi ci sono anche quelli che sanno, che guardano, che uccidono e persino quelli che godono nel vedere gli animali soccombere (vedi la pesca, la caccia, la corrida…). Ma sono una minoranza. I più sono persone che solo per abitudine o per non voler prendere posizione o solo perché “si è sempre fatto così”, continuano, come se nulla fosse, a far si che la vita degli animali sia un inferno.
Pensiamo agli allevamenti, milioni di animali rinchiusi, senza un nome, senza un volto. Pensiamo alla pesca, miliardi di animali che muoiono per soffocamento. Pensiamo alla corrida, dove il torero uccide, con orgoglio, un animale messo in condizioni di non potersi difendere, mentre la folla incita e gioisce nel vedere arrivare la morte. Pensiamo ai delfini – i nostri amici marini – uccisi a migliaia in Giappone, ma anche in Danimarca, per tradizione. Pensiamo all’orca Kiska rinchiusa da quarant’anni in una vasca, mentre rischia la pazzia. Pensiamo alla caccia, animali braccati, feriti, uccisi per puro divertimento. Pensiamo alla vivisezione, animali costretti ad avere un rapporto solo con gli umani che li torturano. Pensiamo.
Oppure finalmente possiamo fermarci per comprendere che ogni nostra singola azione ha una conseguenza, e smettere di essere i mandanti di azioni che provocano sofferenza e morte. O ancora occorrono le investigazioni con foto e filmati per sapere cosa succede negli allevamenti, negli stabulari, negli zoo e per capire quanta sofferenza stiamo portando ad esseri che non sono in grado di difendersi e che soffrono, soffrono, soffrono? C’è ancora chi crede alle pubblicità ingannevoli che ci raccontano di mucche curate con amore, maiali che grugniscono felici, galline che razzolano nell’aia, delfini che amano gli acquari, macachi negli stabulari che vanno sacrificati per il nostro bene?
Quelli “da compagnia”
La barriera che abbiamo alzato fra noi e gli altri animali è un muro altissimo, difficile da abbattere. Appena scalfito, in apparenza, quando parliamo degli animali “da compagnia”, cani e gatti, che almeno non vengono mangiati (qui in occidente) ma che non siamo riusciti a tutelare dalla piaga dell’abbandono e dell’allevamento per razze. O che si continuano ad importare già morti in forma di bordi di pelliccia, o ancora impiegati in esperimenti nei laboratori. Poi ci sono i conigli e i cavalli, i “mezzi salvi”, considerati sia cibo che animali da compagnia. Tanto che c’è chi è capace di mangiare carne di coniglio pur avendone uno che vive in casa come pet. Si salva solo quello che appartiene alla famiglia.
Insomma abbiamo di che riflettere. Abbiamo tanta strada ancora da fare.
Il granello che può bloccare tutto
Viviamo su questa Terra senza certezze comuni – da dove arriviamo e dove andiamo – ma tutti siamo in grado di capire, se lo vogliamo, chi prova gioia e dolore e questo dovrebbe bastare per farci agire di conseguenza, su questo pianeta, in questo tempo presente, che è ora ed è subito.
Chi vive in un paese libero dalle dittature ha tutte le possibilità di agire liberamente e scegliere da che parte stare, se difendere i più deboli -al di là di ogni specie- o assecondare il fare comune e come (quasi) tutti stare dalla parte dei prepotenti, dando ascolto alle pubblicità ingannevoli, ai luoghi comuni, alle multinazionali che comandano su tutto. Essere debole dalla parte dei potenti.
L’idea di parità che il veganismo promuove va a disturbare il grande ingranaggio che muove la società attuale, è il granello che potrebbe –speriamo- bloccare tutto. Il numero delle persone vegan è sicuramente in crescita, il cambiamento è in atto, seppur lento, ma procede e appare inarrestabile, anche se ancora nascosto dalla massa che preferisce non prendere posizione in merito alla questione animale. Il veganismo ci invita ad agire con empatia, a fare quello che fa stare bene anche chi ci circonda, che siano altri umani, o animali non umani, o l’ambiente: estendere a tutti gli esseri senzienti il diritto alla vita e alla libertà. E di conseguenza vivere e agire.
[1] Fra i numerosi testi che affrontano la questione animale e il veganismo ne segnalo qui solo alcuni, per chi volesse iniziare ad informarsi:
Adriano Fragano, Disobbedienza vegana, NFC Edizioni, 2018.
Annamaria Manzoni, In direzione contraria, Edizioni Sonda, 2009.
Annamaria Manzoni, Noi abbiamo un sogno. Riflessioni ed emozioni nel rispetto degli animali, Ed. Bompiani, 2006.
Jeffrey Moussaieff Masson, Chi c’è nel tuo piatto, Cairo Publishing, 2009.
Jeffrey Moussaieff Masson, Il maiale che cantava alla luna, Ed. Il Saggiatore, 2005.
Jim Mason, Un mondo sbagliato, Edizioni Sonda, 2007.
Luigi Lombardi Vallauri, Scritti animali, Gesualdo edizioni, 2018.
Melanie Joy, Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche, Edizioni Sonda, 2012.
Peter Singer, Liberazione animale, Arnoldo Mondadori Editore, 1991.
Rita Ciatti, Ma le pecore sognano lame elettriche?, Macro Saya Edizioni, 2021.
Roger Olmos, Senza parole, Logos Edizioni, 2014.
Tom Regan, Gabbie vuote, Edizioni Sonda, 2005.
Si può essere vegan e mangiare le uova?
Si propone un interessante dibattito pubblicato su The Guardian su coloro che si considerano persone umane vegane pur mangiando uova: un’assurdità che – come vedremo – sta prendendo sempre più piede.
Si può essere vegan e mangiare le uova?
Un gruppo crescente di vegani ritiene che mangiare uova cruelty-free sia accettabile perché favorisce l’allevamento etico delle galline. Naturalmente, i veri vegani la pensano diversamente. Che il dibattito abbia inizio.
Fonte: www.theguardian.com/lifeandstyle/2016/feb/03/can-you-be-vegan-eat-eggs
Come lo chiamate un vegano che mangia le uova? A) non lo chiamate vegano o B) un vegano che è riuscito a conciliare le sue convinzioni etiche con una frittata ogni tanto. Tecnicamente è corretta la prima risposta, in quanto una dieta vegana esclude per definizione ogni alimento di origine animale. Tuttavia sono sempre più numerosi i “veggans” (parola composta da “vegan” e “egg”, uovo in inglese, N.d.T.): persone che si definiscono vegane, ma consumano uova cruelty-free.
Le uova cruelty-free non sono uova qualunque e non vanno confuse con quelle biologiche o con le uova da allevamenti all’aperto: provengono infatti dalle galline considerate troppo vecchie per la produzione industriale e che quindi altrimenti verrebbero uccise a circa 72 settimane di vita. Invece hanno la possibilità di vivere e vagare in tutta libertà. I contadini o i volontari dei santuari si occupano solo di raccogliere e vendere le uova che trovano. Alcuni vegani scelgono di mangiare le uova così prodotte perché secondo loro ciò va a vantaggio delle galline stesse. “La vendita delle uova finanzia in parte il mantenimento del rifugio”, afferma Linda Turvey, a capo del santuario Hen Heaven nel Sussex, Inghilterra meridionale. “Il guadagnato dalla vendita delle uova altro non è che il fondo pensionistico delle galline”, dice Isobel Davies, co-fondatrice di Hen Nation, che vende le sue uova cruelty-free online dallo Yorkshire settentrionale, ancora in Inghilterra.
James, un ballerino dello Yorkshire, è vegano e quando ha ricevuto il suo cartone di uova Hen Nation, per prima cosa si è preparato un tramezzino con frittata, il suo vecchio piatto preferito. “E’ stata una decisione meditata”, afferma. “Sono vegano per ragioni etiche, quindi mi sono informato bene su cosa si intendesse precisamente con cruelty-free e come lavorasse l’organizzazione”.
James continua a comprare le uova di tanto in tanto, ma ha sentimenti contrastanti al riguardo. “Sono combattuto, perché sento che sostenere un’iniziativa che fa del bene sia più utile che non tirarsene semplicemente fuori, ma continuo a credere che non abbiamo bisogno di prodotti animali per nutrirci e forse dovrei fare da esempio”. James non è l’unico vegano che si definisce tale pur facendo un’eccezione per queste uova speciali. “Mi arrivano tantissime email dai vegani sulle nostre uova”, aggiunge Davies. “Una donna ci ha scritto che era talmente emozionata di provarle che non è riuscita a chiudere occhio tutta la notte prima della consegna”. Turvey ha riscontrato lo stesso entusiasmo: “Ci chiamano da tutto il Paese. Le uova vanno praticamente tutte ai vegani o alle loro famiglie e ai loro amici”. Poi racconta di un uomo che da Londra ha preso il treno per Horsham, poi un autobus per Henfield e infine ha camminato per un miglio e mezzo fino al santuario solo per comprare delle uova per la figlia vegana.
Le uova di cui dispone Hen Heaven non bastano a soddisfare la richiesta crescente da parte dei vegani. “Di recente sono stata contattata per un ordine di 80 uova settimanali da parte di una neo vegana che si allena in palestra e vorrebbe usarle per integrare le proteine”, racconta Turvey. Con appena 100 galline, la richiesta oltrepassa di gran lunga la disponibilità del santuario, tra l’altro variabile. “Non faccio nulla per farle deporre, quindi ogni uovo è un dono”, afferma. Infatti il santuario è “come una casa di riposo per anziani… la maggior parte delle galline non depone uova, ma le grandi galline della razza Sussex che abbiamo possono vivere fino ai 15 anni e sono riuscita a far arrivare le piccole galline marroni provenienti dagli allevamenti industriali a 11 anni”.
Un modo per garantire la disponibilità di uova cruelty-free è adottare le proprie galline al British Hen Welfare Trust, che si occupa di trovare una nuova casa per le galline impiegate negli allevamenti industriali, con una media di circa 50.000 galline sistemate all’anno. “Le nostre galline vengono adottate anche da vegani. Alcuni mangiano senza problemi le loro uova perché vedono quanto gli animali siano felici qui; altri preferiscono regalarle ad amici e parenti”, afferma la fondatrice dell’organizzazione Jane Howorth, e poi aggiunge: “Il nostro obiettivo in quanto associazione benefica è che le galline abbiano qualcuno che si prenda cura di loro e un luogo in cui vivere all’aperto e in libertà il resto dei loro giorni”. Con queste parole Howorth sottolinea che l’associazione non è legata a un gruppo in particolare o a degli ideali specifici.
La Vegan Society dichiara di appoggiare la reintegrazione delle galline. “Il salvataggio delle galline di batteria è un meraviglioso atto di compassione, che la Vegan Society sostiene pienamente” afferma il portavoce Jimmy Pierce. Però, com’era prevedibile, non approva il consumo delle loro uova. “Chiediamo alle persone di aiutarci offrendoci il loro tempo oppure delle donazioni, non comprando e mangiando le uova. Non abbiamo nessun diritto di prenderle – le galline non possono dare il loro consenso.”
Molti “veggans” ritengono d’altra parte che se non è possibile abbattere l’industria delle uova, sovvenzionare i produttori di uova cruelty-free comprando i loro prodotti sia sicuramente più utile alla causa piuttosto che non farlo. (Aggiungetelo alla lista dei dilemmi dei vegani, a fianco di “E’ giusto magiare il miele?” “E invece i fichi impollinati dalle vespe?”). Ma se avete delle riserve sull’idea di uova cruelty-free, aspettate di sentire questa: latte cruelty-free. Davies, di Cow Nation, sta cercando un produttore con cui realizzare il suo progetto di fornire anche alle mucche (sia alle vitelle da latte che agli esemplari maschi, altrimenti uccisi alla nascita o destinati a diventare carne di vitello) una “casa di riposo” in cui vivere liberamente la loro esistenza. Come lo chiamate un vegano che mangia uova e beve latte? A questo punto, la risposta sarà probabilmente “vegetariano”.
“Essere un po’ vegan è un ossimoro totale” – Jill Wooster
Fonte: www.theguardian.com/lifeandstyle/2016/feb/03/being-a-little-bit-vegan-is-completely-oxymoronic
Un vegano risponde al nostro articolo sul fenomeno dei “veggans” (vegani che scelgono di mangiare uova cruelty-free, N.d.T.). E’ semplice: i vegani che mangiano uova non sono vegani.
Un altro “Veganuary” (parola composta da “vegan” e “January”, indica la campagna globale che incoraggia le persone umane a mangiare vegan per il mese di gennaio, N.d.T.) è passato. Spero sempre che ispiri le persone a rimanere vegani a vita, ma mi dà sempre più l’impressione di un mese di inutili sperimentazioni in cui le persone vengono prese dall’entusiasmo di diventare vegan, come se fosse una moda, una terapia salutare, un atteggiamento o uno stile di vita. Con l’emergere di concetti irritanti come “vegganism” (veganismo che include però il consumo di uova cruelty-free, N.d.T.) forse è arrivato il momento per una semplice definizione di veganismo.
Un vegano è una persona che non fa uso di prodotti animali. Niente abiti di lana o scarpe in pelle, niente miele nel tè né mozzarella sulla pizza. Un vegano non mangia uova. Un vegano non può mangiare uova. Se un vegano mangia uova, non è vegano. Né tanto meno è un “veggan”. C’è una parola che descrive perfettamente chi non mangia né carne né pesce, ma occasionalmente mangia un uovo: vegetariano. (Se un vegetariano di tanto in tanto mangia pesce è un pescetariano).
Essere vegani è un atteggiamento mentale etico che promuove la non-violenza e in cui gli animali hanno un valore morale. Se gli animali hanno un valore morale non possiamo giustificare il loro sfruttamento in nessuna forma. Non si può essere un po’ vegani. La parola “veggan” mi fa infuriare perché invece è lì a suggerire che si può.
Chi è che beneficia della promozione del “vegganism”? L’industria delle uova. L’immagine del vegano che cerca disperatamente fonti etiche di prodotti animali è un’invenzione creata per suggerire che una vera dieta vegan è inadeguata. Pensate a cosa implica il consumo di uova: una gallina depone un uovo per generare un pulcino; noi prendiamo l’uovo; la gallina ci riprova deponendo altre uova e noi prendiamo anche quelle. E continua così. “Cruelty-free”? Io non credo.
Ma anche se fosse, un vegano non sfrutta gli animali. Io non mangerei la carcassa di un animale investito. E – prima che me lo chiediate – non accetterei un trapianto di organi animali nemmeno se da ciò dipendesse la mia vita.
Volete sapere come considero gli animali? Be’, voi come considerate il vostro animale domestico? E’ il modo migliore che conosco per spiegarlo ai non-vegani. Per me il veganismo è in sostanza il tentativo di trattare tutti gli animali come la maggior parte delle persone tratta il proprio animale domestico. Non come strumenti, merci o fonti di proteine, ma con rispetto e amore.
Cercare di promuovere il veganismo può rivelarsi insidioso. Tendo a non toccare l’argomento se non mi viene chiesto, perché anche solo spiegare le mie ragioni può portare a reazioni estreme. Alcune persone si arrabbiano perché non vogliono sentirsi dire cosa devono e cosa non devono mangiare – e a ragione. Io non voglio imporre alle persona cosa mangiare.
Però se l’argomento esce fuori voglio una discussione franca su ciò che comporta la scelta di consumare prodotti animali e lasciare che gli altri ne traggano le proprie conclusioni. Alcuni si arrabbiano perché sentono che li giudico e li reputo amorali. Ma io credo che sfruttare gli animali sia sbagliato, perciò indovinate un po’? Se sfruttate gli animali, sì, io vi reputo amorali. Proprio come verrebbe considerata amorale una persona che maltratta il proprio cane.
La maggior parte delle persone che sollevano l’argomento è aperta e interessata, ma ci sono diverse reazioni tipiche. Il non-vegano garbato mi parlerà di quando ha mangiato quel piatto vegetariano la settimana scorsa, spesso aggiungendo che forse era addirittura vegano e che era “davvero buono” (detto sempre con un certo grado di sorpresa).
Altri raccontano che mangiano meno carne e si giustificano dicendo che la carne che mangiano proviene da allevamenti biologici all’aperto in cui gli animali hanno “vissuto una vita felice” (giusto per farmi sapere che hanno pensato alla sofferenza degli animali, almeno un pochino, sapete).
La maggior parte dei non-vegani fa le stesse classiche domande:
1) Da dove prenderò le proteine?
2) Non avrò qualche tipo di carenza vitaminica?
3) Cosa faresti se fossi naufragato su un’isola deserta e la tua unica speranza di sopravvivere fosse mangiare un animale?
4) Non era vegetariano anche Hitler?
5) Che fine faranno gli animali se non li mangiamo? (Una delle mie preferite, e tra le più stupide) .
Le risposte?
1) Per nominare giusto qualche fonte: fagioli, legumi, frutta secca, tofu, tempeh, broccoli, cavolo riccio… e sì, lettori del Guardian, la quinoa.
2) C’è il rischio che qualche vegano non assuma una quantità sufficiente di vitamina B12, però molti cibi vegani ne sono arricchiti, quindi si può seguire una dieta vegana equilibrata senza bisogno di integratori.
3) Nell’eventualità molto improbabile, vi rinvio alle considerazioni sul trapianto di organi animali.
4) Fate sul serio?!
5) Vedere punto 4
Lo capisco. Molte persone non vogliono pensare di cambiare le proprie abitudini. In un mondo in cui gli animali non da compagnia sono mera merce, il desiderio di non essere parte del loro sfruttamento di massa richiede uno sforzo, richiede di impegnarsi e eventualmente di prendersi quella pastiglia di vitamine ogni tanto. E’ fin troppo facile in così tanti ambiti della vita lasciarsi corrompere dalla convenienza.
La realtà dell’allevamento animale è orrenda, non c’è da sorprendersi se i più scelgono di non pensarci o si sforzano di trovare giustificazioni per mali leggermente minori, come gli “allevamenti all’aperto”, “biologici”, “cruelty-free” e altre “carni felici”, trovate di marketing molto in voga. Dopo tutto, che differenza potete mai fare?
In realtà, è abbastanza semplice. Non avete bisogno di consumare alcun prodotto che provenga dagli animali per essere sani o felici. L’allevamento animale sta distruggendo il pianeta e la maggior parte degli animali impiegati per il nostro consumo vive e muore in condizioni atroci. Potreste raggiungere tantissimo con qualche piccola rinuncia -uova incluse. In fondo, l’amore per gli animali non è solo per gennaio.
Traduzione per Veganzetta a cura di Mascia Martens