Per memoria: «No Dal Molin – la sfida americana»
recensione di Gianni Sartori al libro di Gianni Poggi
Una premessa. E’ mia profonda convinzione che la lotta contro la base talvolta impropriamente denominata “Ederle 2” (forse per mascherare l’operazione spacciandola per “ampliamento” di una di quelle, già troppe, preesistenti) rientra di diritto – per durata e intensità – nel novero delle storiche battaglie per la difesa del territorio contro le grandi opere. Militari o civili, ma comunque sempre devastanti: centrale nucleare di Lemoiz e diga di Itoiz (Paesi Baschi), aeroporto di Notre Dame des Landes (Bretagna), miniere nella foresta di Hambach (Germania), megacentro commerciale in Taksim Gezi Park (Turchia), TAV in Val Susa…
Lotte talvolta vincenti, talora no. Ma quello che conta è averci provato, senza subire passivamente.
Detto questo, sgombriamo il campo dagli equivoci. Non è il libro che avrei scritto. Anche perché non mi è proprio passato per la testa: un compito fin troppo improbo. Mentre Gianni Poggi lo ha pensato e lo ha scritto. E pubblicato, pure (con Ronzani editore). Una bella faticaccia, presumo.
Ne avevo sentito parlare, annusando odor di polemica per un ruolo eccessivo attribuito alla CGIL.
Potrebbe anche essere. Stando alla mia esperienza – sempre che non abbia rimosso – devo dire di non averla colta questa grande presenza attiva del sindacato (questo «ruolo da protagonista nel movimento di opposizione»). Abbia o meno scelto volutamente di «non apparire in prima linea e di riservarsi uno spazio di retrovia», sicuramente la CGIL non era il soggetto trainante della lotta in quanto organizzazione. Ma altrettanto sicuramente – anche questo va detto – la presenza (in maniera organizzata o a titolo personale) di suoi aderenti è stata significativa e consistente.
Per quanto mi riguarda la precisa, meticolosa ricostruzione degli eventi ritrovata in «NO Dal Molin – la sfida americana» (e qui avrei scritto “statunitense” o magari “yanqui”; quisquillie comunque) ha funzionato da stimolo.
Per ripercorrere e riconsiderare la tortuosa sequenza di eventi che portarono alla subdola operazione degli accordi (inizialmente segreti) fra amministrazione comunale (Hullweck, Cicero…) e governo berlusconiano (o direttamente con le autorità militari statunitensi).
Tenendone all’oscuro i cittadini su cui – insieme alle colate di cemento – si sarebbero riversati maleodoranti effetti collaterali. Sfregio paesaggistico a parte, pensiamo all’incremento (sia di numero che di quantità) delle alluvioni, all’aumento di inquinamento e cementificazione. Senza scordare quello delle fastidiose presenze a stelle e strisce, sia militari che – formalmente – civili.
La narrazione si apre con la notizia (Giornale di Vicenza, 25 maggio 2006) della imminente mutazione genetica del Tomaso Dal Molin (ex aeroporto) in ennesima base militare statunitense in territorio vicentino.
In realtà del possibile misfatto, magari in tono sommesso, si andava vociferando da tempo (almeno dal 2003). Già il 21 ottobre 2004 la questione veniva posta direttamente sul tappetto del Consiglio comunale con gli interventi di Rolando e Cristofari.
Tuttavia – suggerisce il Poggi – è soprattutto da quel momento (forse per l’inquietante rendering, mai visto nemmeno a Las Vegas, di una caserma in stile palladiano) che le placide, sonnolente acque vicentine cominciano ad agitarsi e la popolazione si desta dal colpevole, catatonico letargo.
Nella sua ricostruzione storica l’autore – oltre a riesumare il quadro politico del tempo e i precedenti storici dell’occupazione statunitense del vicentino – individua le tappe principali che trasformarono una questione solo apparentemente locale in caso nazionale e internazionale.
Con la non scontata costituzione di un fronte vicentino del rifiuto e la conseguente nascita del “Presidio permanente”.
Poggi enumera e spiega gli innumerevoli punti salienti e passaggi incorniciandoli in un crescendo che talvolta assume toni drammatici . O almeno tali appaiono con il senno di poi, conoscendone i tetri successivi sviluppi. Un susseguirsi di eventi, svolte, balzi in avanti…senza soluzione di continuità. Rivisitati ora, dopo anni inevitabilmente inducono alla nostalgia (se non al rimpianto) sia per “quello che eravamo”, sia per l’occasione epocale mancata.
Dalla costituzione dei Comitati di quartiere anti-base all’Assemblea permanente.
Dalle travolgenti manifestazioni (talvolta oceaniche : 2 dicembre 2006, 17 febbraio 2007, 15 dicembre 2007, 4 luglio 2009…) all’editto rumeno prodiano del 16 gennaio 2007 che produrrà per legittima – sacrosanta – reazione la costituzione vera e propria del Presidio permanente alla Lobbia
Dal taglio preventivo delle fibre ottiche già illegalmente posizionate (24 marzo 2007) all’ occupazione della Basilica (18 aprile 2007) e poi della Prefettura (16 gennaio 2008). Dalla nascita di “Altro comune” al primo “Festival No Dal Molin” (settembre 2007). Per approdare al fallimentare tentativo di referendum, la “Consultazione popolare autogestita” del 5 ottobre 2008. Uno sforzo non indifferente per le centinaia di volontari incaricati della distribuzione di 87 mila schede in 57 seggi. Vi presero parte ben 24.094 cittadini (scontata la vittoria del “SI’” ossia un bel “no” alla realizzazione della base). Tuttavia contribuì – magari involontariamente – a dirottare le energie del movimento in un cul de sac istituzionale rivelatosi in definitiva un autogol (opinione mia, questa, non dell’autore del libro).
Quasi un maldestro tentativo – abortito – di Confederalismo democratico (o di “comunalismo” alla Murray Bookchin, ma senza un Ocalan).
Un libro utile, dicevo. Molto. Anche per ripescare personaggi le cui dirette responsabilità sono state con il tempo indebitamente “ridimensionate”. Penso al ruolo di Cicero che – rientrato or ora a palazzo Trissino con Rucco – pare intenzionato a erodere ulteriormente le modeste compensazioni ambientali ottenute con l’azione del Presidio. Ossia la ventilata riduzione del – già modesto – Parco della Pace a deposito o magazzino. Con buona pace (anzi: Pace) di wilderness e biodiversità.
Considerazioni finali.
Per quanto marginalmente, ho seguito la vicenda dai primordi (al raduno di Cà Brusà nel 2006– tre giorni di dibattito per fermare sul nascere la nefasta autostrada-discarica A31, poi realizzata – si parlò anche del progetto di una nuova base statunitense) marciando in tutte le principali manifestazioni.
Non ho invece partecipato – mea culpa – alla grande esperienza comunitaria del Presidio (accidia, scazzi personali con alcuni esponenti di spicco o forse avevo altro da fare). Ritengo comunque di aver dato un mio modesto personale contributo in qualità di direttore responsabile del periodico (mensile) pubblicato in versione cartacea dal Presidio stesso. Una richiesta che mi era stata fatta dal compianto Olol Jackson. Insieme al Francesco Pavin , anima trainante del movimento. Senza dimenticare Cinzia Bottene, Giorgio Fortuna, Guido Lanaro, Nora Rodriguez, Giampaolo Cecchetto, Enrico Marchesini, Patrizia Cammarata, Giancarlo Albera,…e tanti altri (cito quelli che ho conosciuto, magari di sfuggita). Tutti militanti disinteressati che hanno speso generosamente energie e tempo.
Sempre per quel che mi riguarda, aggiungo che la lettura ha prodotto un certo effetto amarcord riesumando ricordi, sensazioni, vaghe impressioni… rimaste finora ripiegate negli anfratti della memoria. Momenti che talvolta riesco a collocare cronologicamente (o almeno credo), altri che proprio non saprei a che data corrispondano. Punti di vista personali che comunque rappresentano un modesto tassello del mosaico storico-antagonista vicentino.
Ne cito un paio. Sicuramente risale alla manifestazione del 2 dicembre 2006 (mi trovavo qui in veste di “inviato” de il manifesto, niente meno; in realtà coprivo l’assenza dell’amica Orsola Casagrande, per quel giorno “assenteista” ).
Non so come, scoprii che al comando del reparto posto in prossimità di Ponte Pusterla – creando (volutamente?) una pericolosa situazione di imbottigliamento in caso di scontri – c’era uno dei protagonisti della «Battaglia dei tre ponti di Nassiriya» a Bagdad (in realtà le battaglie furono almeno tre, fra il 2003 e il 2004) costata la vita a numerosi civili. Inquietante.
E poi una delle rarissime – forse l’unica – occasioni in cui ho polemizzato con Olol. Calava la sera sul corteo mentre alcuni giovani compagni (anarchici presumo) andavano distribuendo un volantino o meglio: un foglietto con la frase resa famosa da Primo Levi: “SE NON ORA, QUANDO?”. Ricordo una ragazzetta a cui chiesi il volantino e che mi apparve inquieta, forse spaventata. Proponevano – giustamente col senno di poi – di andare a occupare i terreni destinati alla base. Olol stava mobilitando il servizio d’ordine (o il suo equivalente) per impedire tale deriva incontrolada. Lo udii distintamente apostrofare un acerbo militante che evidentemente aveva chiesto lumi e chiarimenti con la frase: “Manda via quei vestii de nero…!”. Al che intervenni chiedendogli se per caso intendeva riproporre il maggio ’37 (vedi la Telefonica a Barcellona) in salsa veneta. Olol – che conosceva e in fondo apprezzava la tendenza consiliare – sorrise e in qualche modo cercò di minimizzare. La cosa abortì sul nascere, esaurendosi con qualche spintone, un paio di polemici petardi. Ci fu anche un solido cordone – per impedire la fuoriuscita dei manifestanti in direzione dell’aeroporto – in cui riconobbi la presenza di “vecchi” militanti autonomi (un paio anche inquisiti per il 7 aprile 1979). Rivedendo dopo qualche giorno l’amico Roberto Segalla non potei trattenere un ironico commento. Trenta anni prima il cordone lo avrebbero formato quelli del PCI, mentre loro sarebbero andati “all’assalto del cielo” senza se e senza ma. Corsi e ricorsi della Storia.
E poi – bisogna pur dirlo alla fine della messa – abbiamo perso. Semplicemente.
Certo, come i Comunardi condotti al patibolo nel 1871 anche noi potremmo legittimamente cantare: “la Commune est en lutte – Et nous sommes vainqueurs…”.
Ma resta il fatto inoppugnabile di una sconfitta – per quanto onorevole – per noi e di una vittoria – indecente per loro. Intendo per “loro” imperialismo USA, Confindustria, Cicero… Si parva licet anche il caustico Silvano Giometto, l’autoproclamato fustigatore di privilegi e privilegiati. Si goda finalmente in pace la sua (nuova) piscina e il suo (nuovissimo) campo da tennis nel verde delle colline. Forse meno appariscenti di una base militare “americana”. Ma – esteticamente parlando – comunque impattanti.
LETTURE MINIME CONSIGLIATE
- «Il popolo delle pignatte. Storia del presidio permanente No Dal Molin (2005-2009)» di Guido Lanaro- QuiEdit, 2010
(vedi “Vicenza 2” con l’intervista al comitato di Vicenza Est, non adeguatamente preso in considerazione nel libro sopra recensito)
3) https://www.ilpopoloveneto.it/rubriche/finis-terrae/2017/10/23/51232-no-dal-molin-amarcord