Per un terzo femminile e per due terzi maschile
un racconto-recensione intorno a «Gozzo Unterlachen, poeta maledetto» (Delos Odissea) romanzo di Rainer Maria Malafantucci: è la quarta incursione in “bottega” di Johnny Sheetmetal (*)
Titolo: GOZZO UNTERLACHEN POETA MALEDETTO
Autore: RAINER MARIA MALAFANTUCCI
Editore: DELOS ODISSEA
Ieri mattina sono uscito a passeggiare sul lungomare. Avevo appena finito di leggere questo romanzo, «Gozzo Unterlachen, poeta maledetto», del collega Rainer Maria Malafantucci (collega perché anche lui è uno pseudonimo, e come me vive qui, nel mondo degli pseudonimi) e mi stavo arrovellando su come impostare la recensione da consegnare alla “bottega”. Avevo un bel daffare a sforzarmi le meningi: forse data la natura sfuggente del libro non mi veniva nulla. Ero già in ritardo e se consegnavo pure un pezzo non all’altezza dei precedenti, barbieri – detto db – sicuramente mi avrebbe fustigato sulla pubblica piazza.
Conosco il Malafantucci di viso, per averne vista una foto sul Bollettino dei Nuovi Pseudonimi, qualche tempo fa. So che vive tra le pianure lombarde e quelle del Kazakistan, e chi sono io per sindacare su una scelta così bizzarra? Io che amo darmi alle pigre passeggiate qui sul lungomare di Sanremo, felice di respirare l’aria della riviera in mattinate fresche e soleggiate come questa.
Qual è stata la mia sorpresa quando l’ho visto spuntare dall’uscita di un bar? Proprio lui: Rainer Maria Malafantucci in (pseudo)persona. Quel viso per due terzi maschile e per un terzo femminile del resto è inconfondibile: credo che nel nostro mondo non ve ne siano altri di siffatta natura. Mi è subito balzata in mente l’idea fulminante, la scorciatoia per placare le ire di db, e così gli sono corso dietro.
«Signor Malafantucci!» l’ho chiamato.
Lui si è voltato, sorpreso. «Dice a me?»
«Certo che sì. Permetta che mi presenti: Johnny Sheetmetal, narra-recensore», mi sono esibito in un lieve inchino.
Il suo viso si è illuminato. «Ma certo, Johnny Sheetmetal! Ho sentito parlare di lei, e ho pure letto qualche suo articolo. Che ci fa da queste parti?»
«Io ci vivo, qui. E lei?»
Ha scrollato le spalle. «Io no. Sono qui per un finto torneo di tennis e, en passant, recito anche in una pseudocommedia al teatro Ariston, “Le memorie di un uomo invisibile” di Richard Rainha».
«Richard Rainha… non è forse lo pseudonimo sotto cui lavorano insieme Ricardo Reis e Ellery Queen?».
«Proprio loro. E’ un lavoro poliziesco in versi, dove un morto riesce a tornare indietro nel tempo e a uccidere il suo assassino, un maggiordomo dedito alle sostanze stupefacenti».
«E chi sarebbe l’uomo invisibile? La vittima?».
«L’uomo invisibile è lo spettatore, che come sa non potrà essere presente alla rappresentazione.» E’ apparso un po’ irritato, e per un momento la sua immagine è sembrata instabile, come se potesse scomparire da un momento all’altro.
Ho sorriso. «Una situazione tipica del nostro mondo, signor Malafantucci. Dovrà abituarcisi. Senta… posso offrirle da bere?».
«Con piacere, anche se veramente ho appena bevuto una Pepsi al bar. A dire il vero avevo chiesto una Coca ma non ce l’avevano».
«Entriamo, la prego, gliene pago volentieri un’altra. Devo parlarle, signor Malafantucci. E in un certo senso devo anche sdebitarmi».
Così gli ho fatto strada e siamo entrati dentro. Quel locale sorge su una struttura di palafitte che appoggia sulla spiaggia, e seduti di fianco alla vetrata potevamo vedere il mare calmo lambire il bagnasciuga, e i bambini giocare ai castelli di sabbia. Dopo aver ordinato da bere ed esserci rilassati, sono venuto al dunque.
«Lo sa, signor Malafantucci, che ho appena finito di leggere il suo libro?».
Si è drizzato sulla sedia. Mi è parso di notare che il terzo femminile prendesse un attimo il sopravvento nell’espressione del suo viso. Ha sorriso, senza trovare le parole.
«Non mi chiede che cosa ne penso?» l’ho sollecitato.
«Per carità, mister Sheetmetal, non voglio costringerla a…».
«Nessuna costrizione, anzi, lo faccio con piacere. L’occasione di incontrarla qui a Sanremo mi leva dagli impicci con db».
«Col suo datore di lavoro? E per quale motivo?».
«Dovevo consegnargli il racconto-recensione già da qualche giorno, ma non mi veniva nessuna idea. Ora che l’ho incontrata sarà molto più semplice. Le spiegherò a voce cosa penso sul suo libro e poi, col suo permesso, scriverò il resoconto di questo nostro casuale e fortunato incontro e lo invierò a db, che rimarrà sicuramente contento. Semplice, no?».
Malafantucci ha sorriso. «Davvero un’ottima idea. Le è andata bene che siamo entrambi pseudonimi, sia l’autore che il recensore… forse un caso più unico che raro».
«Già, viviamo nello stesso mondo. Allora, che ne dice? Mi dà il suo permesso?».
Ha messo su una faccia furba. «Prima voglio sentire cosa pensa del libro». Di nuovo ho avuto l’impressione che la sua immagine fosse instabile; pareva un fenomeno associato a un innalzarsi del suo livello emotivo.
«Non si preoccupi, signor Malafantucci. Il mio giudizio è più che positivo. Mi sono divertito parecchio a leggere le avventure del suo Gozzo Unterlachen».
Un lieve rossore si è dipinto sul suo viso, che pareva farsi sempre più diafano. «Ehm.. sono contento, davvero contento. In questo caso… Ma cosa intende con divertito? Può spiegarmi meglio?».
«Certo che sì. Se permette andrò per punti, elencando i maggiori pregi e permettendomi anche di segnalare un paio di difettucci, che a ben vedere forse non sono neppure tali. Si metta comodo, la prego».
Malafantucci si è di nuovo appoggiato allo schienale della poltroncina di vimini, ma il suo viso rimaneva pallido e tradiva una certa tensione.
«Allora, ecco qua:
1) Innanzitutto: l’originalità del libro. E’ talmente stravagante, questo suo Gozzo Unterlachen, eppure anche ben centrato ed equilibrato, che mi riesce difficile definirlo in poche parole. Una sorta di distopia farsesca e surreale, che in certi frangenti fa venire in mente Calvino o i sudamericani, in altri “L’armata Brancaleone” in salsa milanese e hinterland. Mi viene quasi da chiederle: da dove caspita ha tirato fuori l’idea di questo libro?
2) Le cose che ho apprezzato di più? Lo stile aereo e fantasioso. Il linguaggio scarno eppure flessuoso, camaleontico. La vena surreale e comica per i nomi di luoghi e personaggi. La brillantezza dei dialoghi, le citazioni sparse armoniosamente nel romanzo. Il tutto dosato con grande equilibrio e coerenza, senza mai “stroppiare”, senza mai uscire dal perimetro interno tracciato per quella realtà alternativa. Una sorta di “meta-romanzo” anche, capace di stare in piedi da solo e divertentissimo. Spero di non sembrarle troppo astratto o astruso.
3) La vena comico-paradossale, spesso sfociante nel non-sense e nel demenziale. In certi tratti ho riso, caro Malafantucci, e questo credo sia uno dei più grandi complimenti che uno scrittore possa ricevere. Sempre che cercasse la risata, beninteso.
4) La bellissima invenzione di Vigevano “città dei morti” dove fantasmi risultano essere i vivi, mentre solidi e reali sono invece i morti. Come mi sono appassionato leggendo quelle pagine, signor Malafantucci! Se fosse riuscito a mantenere quella suggestione, quella tensione per tutto il romanzo, sarebbe stato un vero capolavoro! La scena più avvincente, a mio parere, è quella della visita alla Cattedrale del Ratto Talpone, piccola fuori e gigantesca dentro, che ricorda il Tardis o le tasche di Eta Beta, e unico luogo di Vigevano dove i vivi sono visibili. L’inseguimento che si svolge al suo interno mentre il vescovo Juan Caramuel y Lobkowitz, “fine intellettuale, eminente matematico, esponente del probabilismo, nonché morto da svariati secoli” declama un allucinato sermone, è da antologia, Malafantucci, da antologia! Sono queste immagini, del suo libro, che mi rimarranno nella memoria.
E passiamo ai difettucci, se permette:
1) Il primo difettuccio? La banalità, rispetto all’intelligenza di tutta la costruzione, dell’idea di base della maledizione di Gozzo, che sfocia anche nella pretestuosità di quel finaluccio a sorpresa. Non dettaglierò per evitare spoiler, tanto lei sa benissimo di cosa parlo, non è vero?
2) Secondo piccolo difettuccio: una certa freddezza di fondo, dato anche dalla bidimensionalità dei personaggi. Ma può starci per un romanzo di questo tipo, che vive su invenzioni linguistiche e situazioni paradossali. Per cui, in definitiva, non va considerato come un difetto.
Insomma, signor Malafantucci, il suo romanzo mi è piaciuto davvero, e pertanto le faccio i miei più vivi complimenti. Signor Malafantucci… Signor Malafantucci!».
Già da qualche istante avevo notato che la figura del mio interlocutore era sempre più instabile. Inoltre diventava traslucida e riuscivo a vedere attraverso la pelle trasparente del suo viso, che tradiva una notevole emozione, il bancone del bar alle sue spalle. Ora non rispondeva più e sembrava una lampadina che manda gli ultimi lampi sfiniti della sua luce morente, prima di bruciarsi del tutto.
Qualche secondo ed è scomparso. Lì, davanti ai miei occhi. Dove prima c’era quell’uomo dalla faccia per un terzo femminile e per due terzi maschile, ora c’era soltanto più la sedia di vimini.
Ero esterrefatto ma soprattutto dispiaciuto di non poter sentire che ne pensava lui, l’autore, della mia disanima critica del suo romanzo.
«E ti stupisci ancora?», è arrivata una voce dall’ingresso del locale. Mi sono voltato. Una donna elegante, vestita alla moda degli anni ’50, era appena entrata. L’ho riconosciuta subito: era Elena, la mia “amica geniale”.
Mi sono alzato in piedi e lei si è seduta davanti a me, dove prima c’era stato il Malafantucci.
«Elena, che piacere».
«Non iniziare a farmi le moine come al solito. Chi era quel tipo?».
Gliel’ho spiegato con dovizia di particolari.
Lei si è messa a ridere. «Ah, Johnny Johnny, come puoi essere così ingenuo? Per forza che è sparito alla minima emozione: è uno pseudonimo per modo di dire, visto che i tre autori che lo fanno vivere sono dichiarati. Solo gli pseudonimi veri, quelli il cui alter ego è davvero sconosciuto, come me e te per esempio, hanno una forma stabile qui nel nostro mondo».
Ovviamente lo sapevo, ma essendo nuovo del posto, come aveva giustamente detto lei, non mi ero ancora abituato a veder sparire e riapparire la gente.
Come al solito Elena era eccitata da qualcosa. Mi ha proposto di uscire per fare quattro passi all’aria aperta. Desiderava raccontarmi le ultime novità sanremesi dell’alta pseudo-società, che frequenta e conosce meglio di chiunque altro.
L’ho presa a braccetto e siamo usciti. Passeggiavamo pigramente sul lungomare inondato dal sole primaverile, mentre in spiaggia le onde accompagnavano col loro ritmico fluire le parole della mia amica.
«Ti ricordi quel nuovo membro di cui ti parlavo, quel Robert Galbraith? Uno dei pochissimi nuovi arrivati stabili. Non se lo filava nessuno, eppure io avevo subito intuito che aveva delle potenzialità… Ebbene: è improvvisamente sparito! E la notizia ha suscitato un tale incomprensibile scalpore, che ora tutti non fanno altro che parlarne. Pensa che sta diventando perfino più famoso di me!».
«Di te? Impossibile. A proposito: quand’è che anche tu diventi instabile?», le ho fatto l’occhiolino.
«Non sia mai che succeda. Lo sai che ho la testa dura. Ed è perfettamente inutile che nel mondo degli autori ogni tanto qualcuno provi a indovinare: tanto non ci riusciranno mai».
(*) Come qualcuna/o ha già appreso – leggendo i tre precedenti post qui in “bottega” – «Johnny Sheetmetal» è lo pseudonimo scelto da un collaboratore del Marte-dì. Da tempo lo stimo ma di lui so poco; di certo non ama i riflettori. Mi ha accennato che era incerto su altri pseudonimi: Il custode del cancello, Buck the Bookman, AB. Se questi nomi/gnomi bastano a costruire un identikit, bene per voi; rispetto il suo desiderio di «rimanere nell’amabile ombra». Sono quasi certo che Johnny rumina di fare all’incirca ogni mese un racconto-recensione, ovviamente con idee, protagonisti e ambientazioni diverse ma in stretta relazione al libro “censito” – stavolta il trio riunito sotto “pseudo” Rainer Maria Malafantucci; a marzo fu Ammaniti, a febbraio Viscusi e a gennaio Vittorio Catani – sempre muovendosi nei vasti territori del fantastico. Il titolo qui è mio e non di Johnny; c’è bisogno di aggiungere che anche questo mese l’illustrazione è del qui in “bottega” amatissimo Jacek Yerka? Diamo appuntamento a Sheetmetal per maggio. Come dite? Consigli per altri libri da recentare, cioè da recensire/raccontare? Se avete idee scrivetemi subbbbito, anche sotto pseudonimo: io giro le vostre proposte a Elena Ferrante che poi le passa a Johnny. A proposito: io non sono uno pseudonimo ma solo un “povero” omonimo, un obolo grazie. (db)
ma questa non doveva essere la conclusione del Robin Round Story?