Perchè si trova lavoro fuori e si espatria, se si può
ne scrive Il Chimico Scettico (ripreso da sinistrainrete.info)
Se ne parla molto poco ma da anni:
Una delle maggiori criticità che affliggono l’economia italiana è il ridotto potere d’acquisto del denaro. Questo è dovuto non solo all’inflazione (12,8% su base annua, come riportato dall’Istat), che peraltro è comune a tutti i Paesi occidentali, bensì soprattutto ai salari praticamente bloccati da oltre 30 anni. Rispetto all’anno 1990, l’Italia è infatti l’unico Paese UE con salari addirittura decrescenti (-2,9%), a fronte di incrementi corposi nelle altre economie mature. A dispetto di facili conclusioni, questa situazione non è imputabile né al lockdown dovuto alla pandemia, né alla rottura delle global value chain in seguito ai recenti sconvolgimenti macroeconomici. È lecito domandarsi, dunque, come sia possibile che in un mercato occidentale volto al libero scambio, l’equalizzazione dei prezzi dei fattori produttivi non abbia influito positivamente anche sui salari italiani; analogamente, sembra controintuitivo vedere dei saggi di crescita tanto corposi in economie più avanzate -o “più mature”- di quella italiana (Francia, Germania e Svezia su tutte) (https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2022/12/05/questione-salari-italia/?refresh_ce=1)
Noterete che nel grafico manca UK: beh, da novembre ’22 a gennaio ’23 i salari nel Regno Unito sono cresciuti del 2,4% al netto dell’inflazione (https://www.statista.com/statistics/933075/wage-growth-in-the-uk/).
Mi capita abbastanza spesso di parlare con expats provenienti dal fondo dela classifica salariale. I motivi che spingerebbero a tornare indietro sono sempre gli stessi: difficoltà o impossibilità ad integrarsi socialmente al di fuori del lavoro, nostalgia, clima, cibo. Quanto al cibo la scelta di abitare quanto più possibile vicino alla zona industriale dove si lavora non aiuta per niente (io questa scelta non l’ho fatta). Ma ci sono fattori piuttosto potenti che fanno rimanere lontano da casa.
In primo luogo il posto di lavoro, che magari in patria non ci sarebbe.
In secondo luogo il salario, che in patria sarebbe molto più basso senza costo della vita parimenti ribassato (questo nel caso dell’Italia).
Sento che il mio settore in Italia dà segni di vita, al di là dei numeri piccolissimi. Quindi quel che rimane dell’industria chimico farmaceutica in Italia qualche posizione la offre. I problemi sono la tipologia delle posizioni offerte e le retribuzioni. Ammettendo fosse offerta una posizione analoga a quella che occupo al momento accettandola rinuncerei a circa il 30% delle mie entrate annuali, e questo anche considerando la legislazione italiana sul rientro dei lavoratori dall’estero (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2023/01/skills.html).
Perché ho parlato di “quel che resta”, riguardo al settore chimico farmaceutico italiano? Mi ripeterò, ma visto che è storia non scritta magari è opportuno. Già, una storia non scritta con vittime invisibili (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2021/07/invisibili-quindi-inesistenti.html).
Il 3 giugno 2008 la cronaca del Lazio di Repubblica titolava “Farmaceutica, fuga dal Lazio, fine di un sogno da 7 miliardi. Un polo industriale storico sulla via dello smantellamento”
È una pillola amara quella che l´industria chimico-farmaceutica laziale sta confezionando in questi giorni. La cura ricostituente di un polo industriale da 7 miliardi di euro passa infatti attraverso la via dolorosa di licenziamenti, cassa integrazioni, mobilità collettiva. Di addio si può parlare per la Pfizer, che dopo 51 anni ha confermato l´intenzione di vendere lo stabilimento di Latina… «Il 33% del pil di Latina – spiega Armando Cusani, presidente della provincia – deriva dalle attività di queste aziende. Qui operano 11 multinazionali: è un problema non territoriale, ma nazionale».(https://roma.repubblica.it/dettaglio/farmaceutica-fuga-dal-lazio-fine-di-un-sogno-da-7-miliardi/1471275)
Inutile dire che il problema non divenne mai un problema nazionale, forse perché a Latina sono fasci, oppure perché la chimica inquina, chissà. E non che fuori dal Lazio le cose andassero diversamente (https://ilchimicoscettico.blogspot.com/2021/05/cronistoria-dell-apocalisse-della.html). Quando il post fu pubblicato alcuni accademici di provincia la presero molto male, perché pensavano che la chimica farmaceutica italiana fosse quella che loro insegnavano nelle loro facoltà, mentre io parlavo di industria. Ma a loro di centinaia di posti di lavoro persi non interessava. Gente così, che magari si ritiene di sinistra.