Perù: il gasdotto Camisea semina morte e distruzione

di David Lifodi

Il progetto gasifero Camisea avanza velocemente e probabilmente sarà approvato dal governo peruviano, in spregio ai veti dell’Onu, che chiede conto alle istituzioni del paese in merito alla valutazione d’impatto ambientale e alle conseguenze che potrebbero essere letali per la vita delle comunità indigene, alcune delle quali sono tribù isolate: le loro condizioni di salute sono a forte rischio.

Camisea rappresenta il progetto energetico più grande della storia peruviana, a cui tutti i presidenti succedutisi alla guida del paese dagli anni ’80 in poi hanno aspirato di poterne presiedere l’inaugurazione. Il gas di Camisea fu scoperto per la prima volta dalla multinazionale anglo-olandese Shell oltre trenta anni fa e, già in quella circostanza, buona parte della tribù indigena Nahua fu sterminata da quel primo contatto. El proyecto, così è chiamato in Perù con familiarità il progetto Camisea, fu percepito già allora come la via necessaria da percorrere per giungere all’indipendenza energetica, il classico “volano dell’economia”, per utilizzare un’espressione oggi particolarmente in voga. Camisea, divenuta in breve una potente arma di consenso elettorale e propagandistico, si presentava come una delle più grandi riserve di idrocarburi del paese, fonte inesauribile di risorse soprattutto per le industrie petrolchimiche, indispensabile per l’esportazione dell’energia. Il Proyecto Camisea si trova ubicato un’area scarsamente abitata del bosco tropicale nella conca amazzonica (Valle del Urubamba), ma ricca di risorse naturali: se il progetto andrà in porto l’impatto sociale e ambientale sarà devastante. Inoltre, il territorio è abitato dalle comunità che vivono all’interno della Reserva Territorial Kugapakori, Nahua, Nanti (Rtknn), progettata originariamente per tutelare i diritti dei popoli nativi Kugapakori e Nahua. Attualmente el proyecto, del valore di 1,6 miliardi di dollari, è gestito dalla società argentina Pluspetrol, dall’americana Hint Oil e dalla spagnola Repsol. Survival International, la storica associazione impegnata a tutelare le comunità indigene isolate, ha lanciato un preoccupante grido d’allarme: “Oltre a coinvolgere centinaia di lavoratori, i piani di espansione prevedono la detonazione di migliaia di cariche esplosive e l’utilizzo di pesanti macchinari per la trivellazione dei pozzi esplorativi: se gli indiani incontattati dell’area dovessero entrare in contatto con gli operai petroliferi, potrebbero contrarre malattie mortali”. A ruota seguirebbero gli sfollamenti, la devastazione ambientale causata dalla deforestazione e l’inquinamento delle acque. Anche il Banco Interamericano de Desarrollo (Bid) ha fiutato l’affare e, con la scusa di finanziare il governo peruviano per aiutarlo a tutelare le comunità indigene danneggiate dal progetto Camisea e indirizzarlo al meglio allo scopo di mantenere lo sviluppo sostenibile dell’intera area, ha elargito un prestito di 5 milioni di dollari. Correva l’anno 2002: poco meno di un anno dopo dal Bid arrivò un nuovo prestito, stavolta di 75 milioni di dollari, per l’impresa privata Transportadora de Gas del Perú. Fu in quella circostanza che il 74% delle concessioni più importanti nella regione di Camisea, denominata Lote 88, finì nelle mani di Pluspetrol, che si stabilì senza troppi complimenti nella Reserva Territorial Kugapakori, Nahua, Nanti. Nel 2007 l’impegno economico del Bid nel progetto divenne ancora più pesante. Un nuovo prestito, da 400 milioni, ebbe come beneficiaria un’altra impresa privata, Perú LNG, mentre il Bid dichiarva di voler rispettare i diritti dei popoli indigeni come riportato nel documento “Política operativa sobre pueblos indígenas”. Nel frattempo, mentre a Pluspetrol e al governo peruviano veniva più volte intimato di non proseguire i lavori per l’ampliamento del gasdotto, la Reserva Kugapakori, Nahua, Nanti veniva degradata da “territoriale” a “indigena” e si verificavano numerose fuoruscite di gas. Inoltre, le organizzazioni ambientali e sociali contrarie al progetto evidenziano la mancanza di trasparenza di Pluspetrol in merito al processo di valutazione dell’impatto ambientale, ma anche quella del Ministero dell’Energia e delle Miniere peruviano, che non ha mai reso note le osservazioni fatte nei confronti della multinazionale argentina. Survival International sostiene che i governi peruviani sono stati improvvisamente presi dalla “febbre del gas” e in effetti si sono impegnati più per garantire il lucro alle imprese straniere che per tutelare la sovranità territoriale e i diritti dei popoli indigeni. Secondo James Anaya, relatore speciale Onu che ha visitato la regione di Camisea nei mesi scorsi, “il governo e la compagnia dovrebbero agire con estrema cautela ed evitare di procedere con l’espansione prima di essersi assicurati che i diritti umani delle tribù non siano messi a rischio”. La sociologa e scrittrice peruviana Linda Lema Tucker, nel suo libro Fulgor o Penumbra? El proyecto de gas Camisea y el exterminio de los pueblos indigenas peruanos, ha evidenziato l’inadeguatezza dell’intera classe politica peruviana, interessata solo all’estrattivismo ad oltranza per compiacere il capitale internazionale. Espulsa nel marzo 2013 da un convegno promosso da Mario Vargas Llosa, ormai ridotto al ruolo di intellettuale organico della peggior destra latinoamericana, Linda Lema Tucker ha scritto che il progetto Camisea rappresenta uno “de los latrocinios más grandes de nuestra historia encarnado por las grandes multinacionales que cruenta con el consentimento de gobiernos…”. Non c’è alcun bisogno di traduzione per capire come el proyecto abbia violato costantemente i più elementari diritti umani e quelli delle persone. Nemmeno l’intervento di Francois Houtard, presidente della giuria che fa parte del Tribunale Permanente dei Popoli, è riuscito finora a far desistere il governo peruviano dalla sua volontà di appaltare un’ampia porzione del territorio nazionale alle multinazionali in nome della crescita economica.

Purtroppo, la cosiddetta modernizzazione avanza mostrando il suo vero volto, quello della distruzione delle risorse naturali e della vita dei popoli indigeni: sotto questo punto di vista, da parte di Hollanta Humala, il presidente peruviano che in campagna elettorale si presentava con il poncho e garantiva la sua fratellanza con i popoli indigeni, non ha niente da dire, anzi, il suo silenzio lo qualifica come uno dei tanti camerieri al servizio dei sacerdoti del capitalismo globale.

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