Perù: prosegue il conflitto sociale
Dina Boluarte continua ad utilizzare la mano dura. Gran parte delle morti dei manifestanti sono state provocate da proiettili sparati da armi da fuoco in dotazione alla polizia e all’esercito.
di David Lifodi
Il progetto di legge che mira a far entrare in Perù personale militare straniero con armi da guerra è solo l’ultimo degli sfregi al paese della presidenta de facto Dina Boluarte, che cerca di rimanere aggrappata al potere utilizzando la mano dura contro il levantamiento popolare.
In tutto il paese si susseguono le manifestazioni di protesta che sono arrivate anche a Lima. Definita come la Marcha de los cuatro suyos, in onore ai punti cardinali dell’impero inca, ma anche in ricordo di un’altra mobilitazione oceanica, quella del 2000 contro l’allora presidente Fujimori, indigeni e contadini hanno cercato di prendere la capitale, la toma de Lima, per chiedere ancora una volta le dimissioni di Dina Boluarte e la convocazione di nuove elezioni e di un’assemblea Costituente.
La protesta in quella che era la capitale dell’impero inca, ma che adesso è percepita come il luogo da cui l’oligarchia decide il destino del paese, era stata promossa nell’ambito dello sciopero generale promosso dalla Central General de Trabajadores del Perú e dai movimenti sociali che proseguono nel blocco delle strade in tutto il Perù.
Ad attendere i manifestanti un gigantesco spiegamento di polizia, autorizzata da Boluarte ad intervenire per “ripristinare lo stato di diritto” allo scopo di tutelare quell’oligarchia che considera gli indios come “migranti”, pur abitando nello stesso paese, per tacere degli insulti, da “selvaggi” a “terroristi”, nei confronti della popolazione aymara o quechua.
Accusati di essere finanziati dall’estero e di voler seminare il caos nel paese, le organizzazioni popolari ed un movimento principalmente spontaneo e auto-organizzato stanno cercando di tener testa ad un Congresso schierato in grandissima maggioranza con la presidenta, soprannominata Balearte (dal gioco di parole con balear, sparare), gode di non più del 10% di consenso nel paese.
Difficilmente in Perù avverrà una pacificazione sociale finché resteranno al potere Dina Boluarte e il generale di ultradestra José Williams, da lei stessa nominato alla guida del Congresso e responsabile dei massacri dei campesinos negli anni Ottanta, oltre che dell’uccisione a sangue freddo dei tupamaros che avevano occupato l’ambasciata giapponese di Lima, avvenuta il 22 aprile 1997.
La sola anticipazione delle elezioni al 2024, inizialmente previste nel 2026 (alla fine del mandato di Castillo), non è bastata a placare la rabbia popolare. Cárcel para los asesinos e Dina, asesina, el pueblo te repudia! sono i principali slogan di una protesta che disprezza, ricambiata, le elites, ma che evidenzia anche lo scollamento tra elettorato e rappresentanza politica, come testimoniato da una mobilitazione sociale all’insegna dello spontaneismo.
Secondo OjoPúblico, dal 7 dicembre scorso, quando Boluarte si è impossessata del potere, 49 persone sono state uccise nel corso delle proteste, compresi minori. Gran parte dei decessi sono stati provocati da proiettili sparati da armi da fuoco in dotazione alla polizia e all’esercito.
Secondo il decreto legislativo 1186, approvato nell’agosto 2015, la polizia non dovrebbe sparare a breve distanza dai manifestanti, come invece è accaduto, a meno di rischio imminente della vita e in ogni caso non per i casi di rimozione dei blocchi stradali.
Il Manual de procedimientos para las operaciones de mantenimiento y restablecimiento de orden público sarebbe stato completamente disatteso dalle forze dell’ordine, così come l’utilizzo di armi letali è stato utilizzato in maniera del tutto sproporzionata. La sensazione è che il conflitto sociale, in Perù, sia ben lontano dal terminare.