Perù: un megaporto per l’estrattivismo minerario
La grande opera, nel distretto di Marcona, nel sud del paese, se sarà realizzata metterà a rischio l’ecosistema e i circa 1.500 pescatori che traggono sostentamento dalla pesca artigianale. Le multinazionali cinesi hanno ottenuto le autorizzazioni necessarie per l’inizio dei lavori.
di David Lifodi
Un nuovo megaporto minaccia di distruggere una piccola popolazione di pescatori artigianali. Succede nella costa di San Juan de Marcona, nel sud del Perù. Se la grande opera, finanziata dalla Cina, sarà realizzata, saranno a rischio sia l’ecosistema della zona sia le attività dei circa 1.500 pescatori che già devono combattere contro l’estrattivismo minerario.
La Comunidad Pesquera Artesanal del Puerto de San Juan de Marcona è collocata in una regione nota per essere la maggior produttrice di ferro del paese, tanto che, in giornate particolarmente ventose, la polvere dovuta all’estrazione del minerale arriva fino al mare provocando gravi danni all’ecosistema marino.
Espinoza, città capoluogo del distretto di Marcona, è stata designata come la futura sede del terzo porto più grande del paese. Il terminal sarà costruito dalla multinazionale cinese Jinzhao Mining che si è scontrata, fin dall’inizio, con lo scetticismo e il rifiuto di gran parte della popolazione locale, costituita principalmente da pescatori preoccupati per il futuro di due aree naturali protette situate nella zona, le riserve nazionali di San Fernando e Punta San Juan, dove risiedono colonie di pinguini, leoni marini e la balena azzurra, la cui specie è a rischio estinzione.
Già nel 2005, la costa di San Juan de Marcona era stata definita dallo Stato peruviano come un luogo adatto per la costruzione di un terminal portuale, ritenuto un progetto di “necessità e utilità pubblica” e, nel 2018, si era registrato l’interesse delle imprese Shougang Hierro Perú e Inzhao Mining Perú. Proprio quest’ultima, nella primavera scorsa, è riuscita ad ottenere i finanziamenti necessari per procedere con la costruzione e la gestione del porto, sul quale ha strappato una concessione trentennale per un investimento superiore ai 400 milioni di dollari.
La costruzione del megaporto è legata allo sfruttamento dell’impresa mineraria Pampa de Pongo, ad una quarantina di chilometri dal distretto di Marcona e destinata a trasformarsi in uno dei più grandi giacimenti estrattivi di ferro dell’intero continente latinoamericano. Attualmente, già il 72% del territorio del distretto è occupato da attività legate all’estrattivismo minerario, gestite principalmente da Marcobre e Shougang Hierro Perú.
L’estrattivismo minerario si è sviluppato in Perù soprattutto negli anni Novanta, all’epoca del programma di privatizzazioni imposto dal fujimorismo, ma è stato caratterizzato da una lunga serie di violazioni sia dello stato peruviano sia dalle multinazionali nei confronti dei lavoratori e dell’ambiente circostante, dove più volte sono state liberate sostanze altamente tossiche per gli esseri umani e per la biodiversità della zona.
Le imprese minerarie, molte delle quali di provenienza cinese, si sono segnalate per aver commesso infrazioni di ogni tipo dal punto di vista dell’inquinamento e della contaminazione ambientale, ma anche in relazione all’assenza di misure di sicurezza per i lavoratori. Scioperi e proteste nei confronti di Shougang sono stati promossi frequentemente dalle comunità di Marcona.
Sulla concessione del terminal a Jinzaho pesa inoltre un probabile caso di corruzione che avrebbe coinvolto il direttore generale della filiale peruviana dell’impresa, alte cariche del governo e funzionari statali.
“No queremos que se pierda toda esta riqueza natural para las próximas generaciones, porque ser pescadores es algo que llevamos prácticamente en la sangre”, ripete la Comunidad Pesquera Artesanal del Puerto de San Juan de Marcona, ricordando che l’attuale interesse delle multinazionali cinesi per il Perù deriva dal recente viaggio nel paese asiatico della presidenta de facto Dina Boluarte, che sta svendendo intere porzioni di territorio del suo paese alle lobby minerarie e alle multinazionali.