Piange il telefono
Mariana Mazzucato, Alessandro Volpi, Francesco Erspamer, Giacomo Gabellini, Giuliano Marrucci a proposito di privatizzazioni e consulenze
TIM, la sudditanza del governo Meloni contro gli interessi del popolo italiano – Francesco Erspamer
Per chi non lo sapesse, una volta la TIM era la SIP, operatore telefonico controllato dallo Stato. Allora il settore delle telecomunicazioni era considerato di vitale importanza per la sovranità e sicurezza nazionale: che è la ragione per cui fu frettolosamente privatizzato durante il golpe globale americano immediatamente seguito alla crisi e dissoluzione dell’Unione Sovietica. Principali responsabili (non dimenticatelo mai) furono i radicali più o meno chic, apripista del neoliberismo liberal e libertario; anche se ad approfittarne e guadagnarci furono poi i due poli pseudo-politici altrettanto frettolosamente costituiti a imitazione del modello statunitense: a fingersi destra, i liberisti berlusconiani (inclusi quelli che in precedenza si erano detti e magari erano stati conservatori o addirittura fascisti), a fingersi sinistra, una coalizione di liberisti veltroniani (quelli che si erano definiti socialisti o addirittura comunisti) e di liberisti prodiani (quelli che si erano definiti cattolici). Così nel 1994 nacque Telecom Italia e tre anni dopo l’immarcescibile Prodi la privatizzò (il popolo della finta sinistra era troppo occupato a fare girotondi con Nanni Moretti per preoccuparsi di questo o altri dettagli come l’ingresso nell’euro).
Qualche giorno fa l’ultimo passo: il consiglio di amministrazione della TIM ha autorizzato la vendita della rete fissa (ossia le infrastrutture che a suo tempo furono costruite dallo Stato e a spese dei contribuenti, come le autostrade) a un colosso finanziario americano, la KKR, specializzata in acquisizioni di imprese, spesso gigantesche, con soldi presi a prestito: pura speculazione finanziaria, che se va bene arricchisce oscenamente gli speculatori e se va male danneggia lo Stato e la gente ordinaria (nel latinorum anglofono dei media, nuovi Azzecca-garbugli al servizio dei potenti, si chiama «leveraged buyout», così non capite cosa significa e vi entusiasmate se Draghi diventa presidente del consiglio, perché è uno che di soldi ci capisce). Per saperne di più leggete l’articolo di una rivista non proprio comunista, «Forbes», raggiungibile con la connessione che ho copiato sotto, nel primo commento.
Niente di nuovo, peraltro: è il mondo che democraticamente vi siete scelto e che sostenete quotidianamente acquistando e facendo tutto quello che prescrive la pubblicità delle banche e delle altre multinazionali, anche se da voi stessi considerato superfluo, inutile o dannoso.
La ragione per cui ne parlo è che a sostenere questa operazione palesemente svantaggiosa per l’Italia e, direi, per l’Europa, dunque contraria agli interessi nazionali, sono Giorgia Meloni e il suo governo, eletti a furor di popolo per salvare la nazione e i suoi valori. Ora, che Meloni fosse una neoliberista e non una nazionalista a me è sempre parso evidente: qualcuno si sarà fatto ingannare dalla sua finta opposizione al governo Draghi (che non aveva bisogno del suo appoggio e quindi poteva farle giocare la parte dell’opposizione) ma io non avevo dimenticato la sua partecipazione al IV governo Berlusconi, quello che sfasciò la pubblica istruzione con il decreto Gelmini e destabilizzò la Libia a tutto vantaggio di Francia e Stati Uniti. Il comportamento di Meloni sulla TIM come sull’Ucraina o su Gaza, mi pare dunque perfettamente coerente.
Invece di deprimermi, ciò mi pare motivo di speranza. A patto di saperne approfittare. Non so perché Meloni abbia avuto tanto successo: una concomitanza di fattori, immagino, che si sono aggiunti alla mediocrità dei suoi avversari. Ma so che ha ritenuto necessario presentarsi come una sovranista, come una cattolica, come una conservatrice e addirittura come una fascista, non come la filoamericana e globalista che è (come invece ha fatto, apertamente, la Lega, oltre ovviamente al Pd di Renzi, Letta, Draghi e Schlein). Come mai? Perché sa bene, Meloni, che ci sono molti italiani che sono sensibili a quel tipo di retorica, e alcuni che ci credono davvero.
Dove ripongo la mia speranza, allora? Proprio in questo popolo che confusamente resiste alla normalizzazione globalista e che si sente sconfitto, escluso, marginalizzato. Una maggioranza non solo silenziosa come quella che mezzo secolo fa si lasciò dominare, no, non dai comunisti, piuttosto dai liberali atlantisti e dai sessantottini; dicevo, una maggioranza (o ampia minoranza), oggi, non solo silenziosa ma frustrata, rassegnata, depressa: composta di ex conservatori, ex cattolici, ex comunisti, ex moralisti, ex tradizionalisti, ex provinciali, ex umanisti, i tanti che ancora danno valore ai valori ma che non hanno il coraggio di difenderli apertamente, che cominciano a diffidare delle novità fini a sé stesse ma non sanno come rifiutarle. Se il liberismo trionfante ancora li deve corteggiare e ingannare forse vuol dire che sono parecchi, a destra come a sinistra, e che anche se divisi, deboli, passivi, la loro rabbia repressa fa paura.
Ecco, si tratta di raggiungerli, aggregarli, organizzarci, prepararci: in modo che quando arriverà la prossima crisi, più catastrofica delle precedenti (e verrà, state sicuri), si possa reagire con lucidità e determinazione, approfittando dell’occasione per spazzare via la dittatura mediatica e finanziaria del neocapitalismo insieme ai suoi burattini.
Le società di consulenza privatizzano i governi
Intervista di Chiara Giorgi e Nicoletta Dentico all’economista Mariana Mazzucato sul suo ultimo libro «Il grande imbroglio»: “Gli stati sono deboli e si fanno corrompere facilmente”. Il ruolo della società di consulenza McKinsey anche nel vaglio dei progetti del nostro Pnrr.
Sarebbe difficile includerla nel novero delle rivoluzionarie. Ma da tempo il suo lavoro di ricerca illumina alcune storture dell’economia e della politica. Stiamo parlando di Mariana Mazzucato, economista e docente all’University College London, dove dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose. L’abbiamo incontrata a Roma in occasione del lancio del suo ultimo libro scritto con Rosie Collington, Il Grande Imbroglio, tradotto da Laterza. Un’indagine sul ruolo delle società di consulenza, come McKinsey, Deloitte, Kpmg, a cui i governi affidano sempre più spesso il disegno e la gestione degli orizzonti strategici da perseguire.
Questa volta ha deciso di rompere il silenzio su una delle strutture intermedie più influenti e opache che oliano gli ingranaggi del capitalismo contemporaneo.
Tutto il mio lavoro ruota intorno alla stessa domanda: come governiamo e come risolviamo le sfide del nostro tempo (salute, clima, digital divide)? E la questione è sempre la stessa, il ruolo della funzione pubblica, lo Stato che ha smesso di investire sulle proprie capacità e ha preso a imitare il settore privato, con le sue parole d’ordine, le sue logiche, perdendo il controllo della situazione. La pervasiva presenza, del tutto inefficiente e tossica, delle società di consulenza dentro le stanze decisionali della funzione pubblica a livello globale non è che una delle manifestazioni meno conosciute di questo processo di privatizzazione occulta, e in ultima analisi di “infantilizzazione” dei governi e delle loro funzioni.
Quindi sta dicendo che i governi devono recuperare un nuovo senso di sé e delle responsabilità che sono chiamati a esercitare?
Precisamente. Dopo Thatcher e Reagan ai governi è stato riservato il ruolo di riparare i fallimenti del mercato nella migliore delle ipotesi, più spesso di togliersi di mezzo. Ai governi spetta trovare i soldi, spetta facilitare (la più subdola parola al mondo), ridurre i rischi per gli investitori. Ma perché mai lo Stato dovrebbe assorbire il rischio d’impresa? Occorre sovvertire le narrazioni sulle incapacità della funzione pubblica. Dobbiamo esigere una politica che sia capace di rischiare, sperimentare, orientare le proprie azioni verso missioni strategiche. La funzione pubblica deve essere in grado di riprendere la regia rispetto al settore privato, non il rapporto sregolato e parassitario oggi in essere. Altro che società di consulenza, con i loro power point sempre uguali: non capiscono nulla di funzione pubblica!
Eppure sono ovunque ormai, spesso invisibili alla società.
Per questo si affronta il tema nel libro. Sono ovunque, parassiti di sistema. È il motivo per cui non ho firmato il rapporto della Commissione Colao, di cui facevo parte, in pieno Covid-19. Al primo incontro eravamo una quindicina fra accademici ed esperti, ma nella stanza c’erano anche 13 persone di McKinsey, infiltratesi silenziosamente. Ho chiesto conto della loro non neutrale presenza. In tutta risposta, Colao mi ha assicurato che prestavano la consulenza a titolo gratuito e che la funzione pubblica italiana non avrebbe potuto gestire la cosa. Primo, non è vero. Secondo, qui si parlava di fondi, di scelte strategiche, di cosa mettere o non mettere nelle misure del governo. E infatti nel rapporto finale ci avevano messo anche il patent box (agevolazioni fino al 50% dei redditi per incentivare investimenti in ricerca e sviluppo, e l’utilizzo di beni immateriali come i brevetti). Una misura sbagliata di cui ho scritto tutta la vita. Che senso ha incentivare i brevetti, monopoli che già assicurano sconfinati profitti? Certo, ha senso per McKinsey e i suoi clienti privati. E ora la selezione dei progetti del Pnrr è nelle mani di queste società di consulenza.
Una forma di colonizzazione insomma.
Esatto, colonizzatori che riescono a farti parlare la loro lingua, veicolando le loro idee, quelle del settore privato. Perché uno Stato debole e impaurito, un governo che facilita si fa catturare facilmente, si fa corrompere, questo è il problema. Succede in Italia, negli Stati Uniti, in Africa.
Quale è la relazione fra le società di consulenza e la privatizzazione e finanziarizzazione della agenda sociale?
Il libro è pieno di esempi, più o meno recenti, anche nei paesi che hanno investito in capacità pubblica, come l’Australia, dove però hanno elargito a McKinsey 6 milioni di dollari per redigere una strategia climatica notoriamente pessima, piena di conflitti di interesse. Oppure la Gran Bretagna: durante il Covid ha firmato un contratto di 1 milione di sterline al giorno con Deloitte per tracciare i test. Un disastro, che ne capisce questa di contagi?
Dunque, che fare?
Non siamo contro i consulenti, siamo contro l’industria delle consulenze e la sua velenosa pervasività nella funzione pubblica. Il segno di una insicurezza che va sanata. Proponiamo diverse soluzioni. In primis, occorre intervenire sui conflitti di interesse e sui termini della relazione con i privati. Serve re-immaginare il ruolo dello Stato dopo queste catastrofi. Cambiare la cultura dei governi, rendere la pubblica amministrazione creativa e agile, per una economia di missione è possibile. Necessario, direi.
Intervista pubblicata da il manifesto del 22 novembre 2023
Comunicato Stampa :
TIM costituirà la BAD COMPANY chiamata NETCO: il NO dei COBAS
Dopo gli incontri sindacali tenutisi il 23 novembre alla presenza dei delegati RSU, i COBAS ESPRIMONO grandissima preoccupazione per le sorti di TIM e dele personale che secondo l’intenzione del’Amministratore Delegato transiterà nella NETCO, la cosiddetta società di rete. Una operazione che – se andrà in porto – determinerà la fine di TIM così come la conosciamo noi e la sua divisione in due grandi AZIONDE : Una di Servizi con circa 18.000 persone ed una di Rete (NETCO appunto) con 20400 persone.
Una operazione che i COBAS definiscono una vera e propria speculazione finanziaria. Secondo Alessandro Pullara dei COBAS TIM “il fondo finanziario americano KKR che ha presentato l’offerta di acquisto lo scorso 5 novembre secondo tutti gli esperti finanziari vorrà massimizzare il suo investimento nel giro di 5-6 anni massimo, lasciando poi la nuova società piena di debiti”.
Dubbi anche sulla costituzione della Azienda vera e propria legati al fatto che la nuova società, contrariamente a quanto affermato, gestirà una porzione di reti di TLC di vecchia generazione. Sempre secondo i Pullara dei COBAS si configura “il rischio della costituzione di una vera BAD COMPANY che durerà il tempo necessario a esaurire i progetti del PNRR e la posa della fibra. Questo significa nessuno sviluppo industriale e ricaduta dei costi legati al debito e all’occupazione tutti a carico delle STATO”.
Anche la società dei servizi, che resterà TIM, è a rischio. “Una società prevalentemente di servizi che si priva delle infrastrutture può competere sul mercato solo se taglia i costi del personale”.
Per i COBAS le responsabilità del Governo sono gravissime, “dopo aver sbandierata la difesa della italianità della produzione, sostengono il progetto che di fatto mette fine a TIM, consegna completamente la rete telefonica ad un fondo speculativo americano e impegna, fino ad ora a parole, 2,2 miliardi per diventare socio di minoranza di una società destinata al fallimento”.
Secondo i COBAS con la stessa cifra è possibile aumentare le quote di CDP in TIM che già oggi vanta il 9,4% e membri decisivi in consiglio di amministrazione. “TIM UNICA e PUBBLICA è per noi l’unica soluzione al riassetto del settore” prosegue Pullara dei COBAS e annuncia prime iniziative sindacali già a partire dal 12 dicembre prossimo, “Abbiamo 6 mesi di tempo per fermare il progetto”.
Roma 24/11/2023
Per il COBAS TIM
Alessandro Pullara
Molto bene. Ottimo l’ assemblaggio delle valutazioni che entrano nel merito degli aspetti politici- speculativi- finanziari che hanno determinato lo spogliamento della principale azienda italiana – di pubblica proprieta’ – per investimenti, modernizzazione dell’ Italia, qualita’ e quantità occupazionale.
Mi inserisco, brevemente , nel filone di approfondimento di Erspamer.
In quella fase storica – sono passati quasi trent’ anni – la vicenda Sip- Telecom riguarda il cuore delle attivita’ politiche- economiche che hanno caratterizzato lo smantellamento della presenza pubblica che rappresentava la parte principale del sistema produttivo, quindi lavorativo, italiano.
Un ” sistema” che era stato la struttura portante ( volano di fatto) del sistema industriale- economico dell’ Italia per molti decenni: prima, nell’ immensa ricostruzione conseguente alle distruzioni gigantesche determinate dalla guerra fascista, poi, nel prioritario sviluppo industriale, economico, sociale e salari , diritti per i lavoratori, messo in opera.
Lo smantellato – tratto la famigerata questione in maniera molto sintetica – in pensieri e opere , del sistema pubblico, iniziato agli inizi degli anni 90 ( novecento) riguardo’ tutti i settori produttivi.
Per quello che ci riguarda in maniera specifica dai testi messi in evidenza da La Bottega, ricordo in particolare la privatizzazione della Stet, il ” colosso” nazionale che riguardava le Telecomunicazioni ( TLC) .
Costituito da molti ambiti produttivi – lavorativi: gestione del servizio telefonico ( c’ era anche la storica Asst – un ” pezzo” molto importante delle TLC, quelli fuori dalle aree urbane-), fabbriche e installazioni .
Quando avvenne la privatizzazione della Telecom, oltre i Soggetti politici evidenziati nell’ articolo di Erspamer , per le responsabilita’ bisogna richiamare anche, necessariamente, le organizzazioni sindacali ( mi riferisco alle confederazioni di CGIL CISL UIL) e alle strutture politiche che si collocavano a sinistra del Pds.
Democrazia Proletaria e il Pdup avevano gia’ ” decretato” la fine della loro funzione storica politica.
La reazione fu molto blanda. Richiamo quindi il PRC, e , nello specifico per cio’ che riguardava in quegli anni il mio impegno sociale principale, la Cgil. Quindi la Fiom, essendo metalmeccanico .
Al di la’ dei pronunciamenti verbali di contrasto, nel merito non furono fatte rilevanti iniziative di contrasto che erano necessarie .
La sinistra ” estrema” istituzionale e la Fiom si adagiarono, gia’ a partire dai rappresentanti di vertice.
Mi ricordo ….. su questo rilevantissima tematica gli indirizzi prevalenti assunti nel Comitato Centrale della FIOM.
Di fatto vinse la scelta strategica che non bisognava mettersi di traverso davanti ai manovratori. Servivano strumenti assistenziali , con tutte le disparita’ subentranti, cosi’ si opero’ come principale scelta strategica , per dare sostegno ai tanti lavoratori che perdettero il posto di lavoro, in accompagnamento economico per le fuoriuscite e pensionamenti , mobilita’ e cassa integrazione .
Bisognava lasciare il passo ai tanti ” capitani coraggiosi” privati che avevano l’ obiettivo di impossessarsi dei filoni privilegiati dell’ apparato produttivo economico italiano.
Contenti…..tutti. Una storia tragica , da ricostruire in maniera complessiva per i Soggetti politici/ sindacali che nominalmente rappresentavano i lavoratori .
Certo, in Italia la privatizzazione delle TLC e’ stata la più grande nel contesto dei principali paesi europei .
( Scritto in ora tarda, sul cellulare, mi scuso per eventuali errori).
E non è finita. Il saccheggio del patrimonio pubblico a favore degli alligatori privati continua. L’obiettivo loro è quello di raggiungere lo “stato leggero” , ideato e portato avanti dalla tristemente nota loggia massonica di cui tanti politici e imprenditori, vecchi e nuovi, fanno o hanno fatto parte.
se si presentasse alle elezioni un Milei qualsiasi vincerebbe a man bassa, ormai sembra ci abbiano fatto il lavaggio del cervello.
a proposito della lotta di classe un articolo interessante:
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/26871-roberto-comande-la-lotta-di-classe-non-e-finita-la-stiamo-semplicemente-perdendo.html