Piazza sismica (3 e 4)
a cura di Giorgio Chelidonio
Cosa fare in caso di terremoto – 30.5.2012
Sicuramente utile e da far girare: sbaglio se penso che non ne esista l’equivalente in Regione Veneto?
Lo splendido libriccino del Museo di Storia Naturale di Verona (1986) credo abbia languito nei magazzini fino a 3 anni fa, quando è stato regalato a piene mani nel convegno sul “terremoto di Verona” del 1117.
Temo che nessuno degli amministratori comunali degli ultimi 20 anni l’abbia mai aperto…
http://www.protezionecivile.emilia-romagna.it/campagne-informative/cosa-fare-in-caso-di-terremoto
Vivere in emergenza o di emergenza?
Come una trita e logora litania, a danno avvenuto tutti vogliono sentenziare e i giornalisti (spesso gli stessi che prima non ne volevano neppure parlare) si fiondano sul sisma a danno avvenuto, anzi in corso. Come dire “più dura e più fa notizia”.
Colpisce oggi un’affermazione: «Avremo tre anni e mezzo di sciame sismico, la Regione istituisca subito una task force per la verifica di tutti i capannoni». Non lo dice l’Ingv o il sismologo di turno ma il segretario generale della Cgil del Veneto: che abbia informazioni riservate? o che abbia letto le relazioni del terremoto di Ferrara del 1570 (pare abbia avuto uno sciame sismico per 4 anni)? Dubito di entrambe le ipotesi.
Intanto l’intervista a un geologo veronese fa uscire dal “si dice” (finora confinato in convegni per addetti).
“E Verona? Il terremoto più terribile della storia scaligera è datato 3 gennaio 1117, ….rase al suolo tutta l’architettura altomedioevale della città e ……si ipotizza la 6.4 (magnitudo Richter ndr) …. con epicentro, individuato a Ronco all’Adige, comune ora indicato con basso grado di sismicità.
Conclusione: «Non si può predire il ritorno di eventi del genere; l’unica verità è che tutta l’Italia, con l’eccezione di pochissime aree, è una grande zona sismica…”
Insomma bisogna prevenire perché non si può prevedere. Ma bisogna farla capire ad amministratori (ostinati nel restare ignoranti), ai costruttori (a cui il 10% di costi antisismici non garba proprio) e al popolino per il quale la memoria dei disastri naturali è un fastidio da rimuovere).
Dell’esistenza della struttura sepolta detta “Alto di Mirandola” pare si sapesse da almeno 20 anni, ma dal 2003 fra leggi attuative e proroghe gli obblighi, costruttivi e di verifica, sono stati evitati almeno fino al 2010.
Insomma “ci la slonga la scampa“, ma i terremoti non si possono prescrivere per legge accorciando i termini.
Semmai il contrario: possono ripetersi anche a distanza di secoli, forse anche di millenni. Per questo i sismologi hanno elaborato formule per calcolare il “tempo medio ritorno” (Tmr). Tenuto però conto che in molti casi più tempo passa, più le strutture sismogenetiche si ricaricano e più probabile diventa che il sisma successivo sia forte.
Non mi stancherò di citare il professor Boschi, che nel suo prezioso libriccino del 1999 (ristampato in fretta solo dopo il sisma de L’Aquila nel 2009) evidenziava come i politicanti nostrani, nella folle rincorsa di clientele e tangenti, abbiano fino ad allora preferito intervenire a danni avvenuti invece di prevenirli.
Quando (o se) potrà tornare a rimuoversi la struttura sepolta sotto Raldon? Oppure la lunga faglia di Orsara (sopra Lugo/Verona) creduta in possibile connessione con il terremoto del 1117? O il Monte Baldo nord (pare si stia muovendo verso est)?
Credo sia ormai irrinunciabile che queste domande non restino interesse di pochi, magari sospettati di essere solo “profeti di sciagure”. E nel caso siano professionisti, emarginati se non disoccupati.
News allegate
- Giovedì 31 Maggio, 2012
- CORRIERE DEL VENETO – VERONA
Fiaccavento: «Zona sensibile? Resta quella del Baldo-Garda»
VERONA – Friuli, Appennini, costa ionica. Queste, stando a quanto si insegna a scuola, le aree a maggior rischio sismico in Italia.
E la pianura Padana? Fatta salva la Sardegna, era tra le zone più «tranquille» della Penisola. Ora gli esperti raccontano che qualcosa «è cambiato» e aree che, stando alle carte, non avrebbero dovuto essere soggette a terremoti, vedono la loro sismicità al rialzo. Può lo stesso discorso valere anche per Verona, l’area del Garda e la Valpolicella, quest’ultima interessata, nello scorso gennaio, da uno sciame sismico con punte fino 4 di magnitudo?
La risposta, d’obbligo quando si parla di terremoti, è «forse».
«La classificazione sismica è compilata prevalentemente su base statistica – spiega Piero Fiaccavento, geologo, già volontario in Friuli, che ora gestisce la stazione sismica Pio Bettoni di Salò e collabora con il centro sismologico Cossma di Castel d’Azzano -. Un forte terremoto può fare riscrivere il rischio sismico su una vasta area. Questo perché le carte attuali sono state stilate tenendo conto dei movimenti tellurici dell’ultimo secolo, in alcuni casi nemmeno rilevati dai sismografi ma resi note dalle cronache. Per quanto riguarda l’Emilia occorre andare al sedicesimo secolo per trovare un evento analogo». E Verona? Il terremoto più terribile della storia scaligera è datato 3 gennaio 1117, poco meno di novecento anni fa. Con pochissime eccezioni, rase al suolo tutta l’architettura altomedioevale della città e si ritiene che anche l’anello esterno dell’Arena sia crollato a causa del poderoso evento sismico. A posteriori, i geologi hanno cercato di calcolare magnitudo (si ipotizza la 6.4) ed epicentro, individuato a Ronco all’Adige, comune ora indicato con basso grado di sismicità. «Non si può predire il ritorno di eventi del genere – prosegue Fiaccavento – l’unica verità è che tutta l’Italia, con l’eccezione di pochissime aree, è una grande zona sismica. Con il terremoto, quindi, occorre convivere: la prevenzione va fatta a scuola, con l’educazione, e soprattutto con la messa in sicurezza degli edifici».
Quanto alla riclassificazione delle aree sismiche, annota Fiaccavento, «se ne sta occupando chi di dovere, cioè gli esperti dell’Ingv (l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e probabilmente verranno riviste a breve». Anche se, per questioni di vicinanza con l’epicentro, le aree più colpite dai recenti sismi sono state quelle del Basso Veneto, a destare maggior preoccupazione, spiegano gli esperti, rimangono quelle della pedemontana veneta, classificate fino a zona 2 (la seconda per pericolosità) in alcuni comuni del Veronese, del Trevigiano e del Bellunese. «In particolare, a preoccupare è l’area del Montello, in provincia di Treviso» avverte Giulio Di Toro, geologo strutturale dell’Università di Padova ed esperto di fisica dei terremoti.
Per il Veronese, attenzione all’area del Baldo e del Garda: «È la più esposta, almeno in zona, ai movimenti della placca adriatica – conclude Fiaccavento – responsabile anche dei terremoti in Emilia».
D. O.
Ingv (31 maggio)
Ci sono voluti 10 giorni di terremoti per farlo…. comunicare. Ma, ahinoi, solo in chiave “non son sta’ mi“. Spiegazioni geo-sismiche necessarie adeguate a togliere gli italioti dalla profonda e ostinata ignoranza in cui sono sprofondati, e dalla grave mancanza di memoria ambientale. Fino a quando? Sul loro sito rilevo solo uno stringato annuncio della conferenza stampa che hanno tenuto l’altro giorno…..
Ad ogni buon conto, tenete d’occhio la loro “rassegna stampa” : http://ingv.telpress.it/accessibile/news.php?provenienza=index&accesso=on&line=1&newsdate=
INGV: Pericolosità sismica, zone sismiche e normativa sismica nella zona dei terremoti del maggio 2012 – 31 maggio 2012
Comunicato stampa
Con riferimento alle affermazioni circolate in questi giorni circa la necessità di aggiornare la mappa del rischio sismico o della pericolosità sismica dell’area colpita dai recenti terremoti o addirittura di tutta l’Italia, l’Istituto precisa quanto segue:
a) i terremoti sono avvenuti in una zona che non era stata classificata come sismica fino al 2003, a dispetto di molteplici evidenze fornite dagli studi scientifici;
b) la mappa di mappa di pericolosità sismica di riferimento per il territorio nazionale (Ordinanza PCM 3519/2006 *), considera la zona a pericolosità media;
c) i parametri dei terremoti avvenuti sono compatibili con le assunzioni che stanno alla base della mappa citata. In particolare, viene ipotizzata per questa zona una magnitudo massima pari a 6.2;
d) l’assegnazione dei comuni a una delle quattro zone sismiche, sulla base della suddetta mappa di riferimento, è assegnata dalla legge alla competenza delle Regioni, non degli istituti di ricerca;
e) l’applicazione delle norme sismiche del 2003 ha proceduto a rilento, anche perché era rimasta in vigore la possibilità di applicazione delle normative precedenti;
f) le nove Norme Tecniche per le Costruzioni, deliberate nel 2008, fanno riferimento ad azioni sismiche ottenute dalla sinergia fra INGV e Dipartimento della Protezione Civile. Tuttavia, queste norme sono entrate in vigore in tutta l’Italia solo all’indomani del terremoto dell’Aquilano del 2009.
g) a causa di questi ritardi, nelle zone colpite in questi giorni si è accumulato un notevole deficit di protezione sismica, che è in parte responsabile dei danni avvenuti;
h) una situazione analoga interessa un notevole numero di Comuni, localizzati principalmente nell’Italia settentrionale.
E’ opinione di questo Istituto che la mappa di pericolosità sismica di riferimento sia perfettibile, ma che l’eventuale aggiornamento che tenga conto solo degli ultimi terremoti non ne determini, complessivamente, variazioni significative.
Si ritiene più urgente che venga assicurato il suo pieno recepimento da parte delle Regioni e che vengano ulteriormente sviluppate le iniziative per la riduzione della vulnerabilità sismica, già avviate in alcune zone del Paese.
Piazza sismica 4
Fiumi & faglie
Allego un recente comunicato dell’Ingv su una relazione sicuramente poco osservata : mi ricorda che l’Adige, uscito dalla Chiusa di Ceraino, piega a Sud/Est in corrispondenza con la “faglia di Verona” che i geologi hanno classificato come “ritenuta attiva” solo perché non sono rilevabili in superficie piani di frattura relative. Quanto sia sepolta nelle ghiaie dell’Adige postglaciale non lo sappiamo…
Anche la sottolineatura del poco interesse dei geologi (figuriamoci dei politici) per rilevare strutture sepolte in pianura mi pare assai significativa.
Pianura Padana – Le faglie deviano il corso dei fiumi
Fiumi che deviano dal loro corso per effetto di strutture geologiche nascoste, le stesse che scatenano i terremoti nella Pianura Padana.
Questo è lo studio di un gruppo di geologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) pubblicato alcuni anni fa su “Annals of Geophysics“, ma che ritorna di stringente attualità dopo il terremoto del 20 maggio scorso.
Chiediamo al ricercatore Gianluca Valensise, coautore dell’articolo scientifico, come hanno individuato le strutture sepolte.
«Le strutture sepolte sono ben delineate dalle mappature che furono ottenute dall’ENI all’epoca d’oro dell’esplorazione petrolifera in Pianura Padana, ovvero tra gli anni ’40 e gli anni ’70 dello scorso secolo. Queste mappature utilizzavano la tecnica nota come sismica a riflessione: in pratica veniva fatto brillare dell’esplosivo e con un gran numero di sismografi disposti lungo allineamenti opportunamente tracciati si misurava il tempo di percorso delle onde sismiche tra la superficie, gli strati rocciosi sepolti che riflettevano parte dell’energia, e l’arrivo dell’energia rimbalzata in superficie. Questo consentiva di “disegnare” il sottosuolo, e in particolare di delineare le cosiddette anticlinali, strutture derivanti dalla compressione degli strati rocciosi simili alle pieghe che si formano su un tappeto spinto contro il muro. Poiché il petrolio tende ad accumularsi nelle anticlinali, conoscere l’esatta posizione di queste ultime consentiva di perforare a colpo quasi sicuro ed estrarre petrolio (o gas naturale). Il paragone con il tappeto è accattivante ma incompleto, perché trascura il fatto che nel mondo reale le anticlinali sono la riposta superficiale “morbida” all’accavallamento delle sottostanti rocce, più rigide, lungo le faglie, i piani di rottura che generano i terremoti. E in effetti nell’applicazione che stiamo descrivendo sono le faglie, con le loro dimensioni e geometria, a formare l’oggetto della ricerca.
Il movimento della faglia profonda (da 5-10 km ad alcune decine di km) dunque genera un’anticlinale, che pur essendo, come nella Pianura Padana, completamente ricoperta da un materasso di sedimenti marini e alluvionali spesso anche molte migliaia di metri, può comunque arrivare a deformare debolmente la superficie topografica, creando blande ma ampie depressioni o inarcamenti. Attraverso il tempo geologicol’attività tettonica finisce per interagire con il reticolo fluviale, attirando i fiumi nelle depressionie respingendoli dalle zone che sono in crescita.
Le deviazioni dei fiumi influenzano fortemente la rete insediativa, costringendo le popolazioni ad abbandonare le aree depresse, spesso invase dall’acqua, e a spostare città e linee di comunicazione “all’asciutto“. Le stesse deviazioni segnalano a noi geologi del terremoto quali delle numerose coppie faglia-anticlinale che esistono sotto la Pianura Padana sono ancora attive oggi, e quindi sono in grado di generare terremoti».
Da quali forze e movimenti terrestri su piccola e grande scala sono determinate queste strutture?
«Sia l’Appennino che le Alpi sono due classiche catene montuose, che evolvono spostandosi la prima verso NE e la seconda verso S. Il sottosuolo della Pianura Padana è quindi il luogo di incontro di queste due catene, che idealmente “strizzano” questa grande area depressa ad una velocità che i dati satellitari (GPS) indicano essere dell’ordine del centimetro per anno. In questo grande meccanismo geodinamico bisogna distinguere il sollevamento delle due catene nel suo complesso, ad una scala dell’ordine dei 100-200 km e con una velocità massima di 1-2 metri per millennio, dal sollevamento delle singole anticlinali, misurabile alla scala dei 5-20 km e con velocità che non superano i 50 cm per millennio. Poiché le anticlinali crescono lentamente e poiché invece la pianura tende ad essere velocemente colmata di sedimenti, è molto probabile che queste strutture restino sepolte per sempre, fino addirittura ad essere letteralmente “soffocate” e bloccate dal peso dei sedimenti soprastanti».
Di che entità sono le deviazioni imposte ai corsi d’acqua?
«Le deviazioni fluviali possono essere imponenti. Il Po, ad esempio, fino al XII secolo d.C. passava per Ferrara e si divideva nel Po di Primaro e nel Po di Volano, che sfociavano nell’Adriatico rispettivamente a sud e a nord delle attuali paludi di Comacchio. Con la Rotta di Ficarolo del 1152 il Po abbandonò questo percorso e si riassestò come Po di Goro e Po di Tramontana, parecchie decine di km più a nord. Tutto questo per effetto della progressiva crescita di un’ anticlinale che poi – guarda caso – coincide con la dorsale sepolta che conosciamo come Dorsale Ferrarese e che ha generato il terremoto del 20 maggio 2012. Sul lato meridionale della stessa anticlinale il fiume Reno incontrava la stessa difficoltà a “svalicare” la Dorsale Ferrarese, e questo avveniva proprio tra Finale Emilia, Sant’Agostino e Bondeno, tre tra le località maggiormente colpite dal terremoto del 20 maggio scorso. Con i secoli si è quindi trasformato da affluente del Po a corso d’acqua che – con enorme fatica – tenta di andare verso il mare autonomamente».
Il dottor Gianluca Valensise conclude con un paradosso: «La Pianura Padana è stata spesso snobbata dai geologi, che la consideravano noiosa (sicuramente meno interessante di un paesaggio dolomitico), debolmente considerata dai sismologi, che spesso ed erroneamente hanno ritenuto che la sua piattezza indicasse la sua incapacità di generare terremoti, e vista da molti semplicemente come un territorio utile per l’agricoltura e l’industria. Pur nella sua drammaticità il terremoto del 20 maggio ne ha mostrato invece caratteristiche invisibili a occhio nudo, ma che in realtà ne condizionano profondamente l’evoluzione, creando ponti impensabili tra terremoti, geologia, uso del territorio e sviluppo della rete insediativa. C’è da aspettarsi che questo terremoto darà l’impulso ad una nuova stagione di studi e ricerca scientifica su questa importante porzione del nostro territorio».
Faglia pericolosa, non pericolosa… neppure fra geo-sismologi c’è chiarezza?
Proseguo nel consultare la rassegna stampa dell’INGV, ma se qualcuno ha altre notizie o commenti significativi per far proseguire informazione e discussione nella “Piazza Sismica” … comunichi e diffonda. Forse la ricerca della “geo-verità” non ci libererà dal sisma (ovvero dalla sua paura) ma ci renderà meglio edotti dei rischi, quindi delle cose che possiamo e dobbiamo pretendere da amministratori e politici. Già adesso, all’incrocio di questi articoli, si può incominciare a capire che essendo la sismologia una scienza, calata nella società italiana diventa …politica, quindi consociativismo spartitorio gestito da lobbies e da cordate. Venticinque anni fa Konrad Lorenz scrisse: ci sono gli scientisti e gli scienziati: i primi sono soprattutto attivi nell’occupare tutti i posti possibili. Quindi gli scienziati sono costretti a creare nuove “nicchie”, di ricerca. Ma queste ultime, per avere audience devono fare comunicazione.
Ai cittadini interessa quella comprensibile e divulgata! Chiediamola in tutti i modi.
LA FAGLIA È PERICOLOSA: LO STUDIO C’ERA (»L’Unità», 2.6.12)
di Jolanda Bufalini
“I due studi partono dalla stessa descrizione della “faglia di Mirandola” per arrivare a conclusioni opposte”.
http://ingv.telpress.it/accessibile/viewhtml.php?line=1&contatore=3458544361&viewclip=1
II ministero dello Sviluppo economico ha comunicato alla Erg che lo stoccaggio del gas a Rivara non si farà. E nemmeno gli studi di fattibilità . Decisione attesa, ma la genesi di questa vicenda è emblematica per capire la mancanza di chiarezza sulla questione sismica in Emilia.
Esistono due studi relativi a “l’Area dell’arco di Ferrara”. Il primo è del 2009, è pubblico, è stato commissionato dalla Protezione civile per approfondire il tema del rischio all’Aquila e Ferrara.
Il progetto è stato interrotto dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Il secondo è riservato, del 2011: uno studio legato al deposito di gas di Rivara in provincia di Modena su carta intestata della Erg.
I due studi partono dalla stessa descrizione della “faglia di Mirandola” per arrivare a conclusioni opposte. Nello studio del 2011, infatti, si ipotizza, a pagina 17, che non ci sono le condizioni geomeccaniche per alcun movimento sulla faglia inversa della struttura di Gavone (o “Faglia di Mirandola”) che risulterebbe bloccata, svincolata cinematicamente dalla superficie di scollamento basale ancora attiva, e pertanto incapace di generare terremoti della magnitudo ipotizzata. Linguaggio da addetti ai lavori, ma appare chiaro che la faglia è svincolata dalla base ancora attiva e quindi non è pericolosa. La previsione che si fa poche righe più sotto è tranquillizzante: “In assenza di pericolosità sismica associata alla faglia di Mirandola….” è lo stesso studio a cui ha più volte fatto riferimento nei giorni scorsi il presidente dell’INGV S. Gresta, su cui si basa la classificazione medio-bassa del rischio sismico dell’Area, in quanto i terremoti vi avvengono a distanza di secoli. Lo studio commissionato dalla Erg a questo punto fa riferimento alla “sismicità storica del sito…quantificata nel 2010 dal DSG dell’Università di Catania, Prof. S. Gresta” e viene presa in considerazione insieme alle “caratteristiche locali del suolo”. La conclusione tranquillizzante è tanto più sorprendente in quanto la letteratura scientifica recente è concorde nell’affermare il contrario. Così nel catalogo delle faglie di Gian Luca Valensise e negli studi di Silvio Seno, uno dei componenti della Commissione grandi rischi.
Ma vediamo la ricerca commissionata dalla Protezione civile nel 2007 e conclusa nel 2009 (curata da Salvatore Barba e Carlo Doglioni). Vi si mette in guardia circa il fatto che “in alcune aree il catalogo storico sismico è molto incompleto…”, ne consegue che “il potenziale sismico è molto più elevato di quanto non si sia precedentemente ipotizzato”. Ma c’è un altro punto del testo dove si chiama in causa proprio l’area ferrarese: si avverte che la faglia è “bloccata e cinematicamente svincolata e quindi pericolosa”, al contrario di quanto si ritiene comunemente, ovvero che l’attività sismica dell’area “è a lungo termine”. Gli studiosi non escludono che vi siano in Italia altre zone con caratteristiche simili e certamente raccomandano ulteriori approfondimenti.
Dunque ex post vediamo che non erano mancati i segnali che avrebbero dovuto suscitare una prudente allerta, una verifica della classificazione antisismica. È il governo blocca lo stoccaggio del gas a Rivara, che altri tecnici invece ritenevano possibile.
– http://ingv.telpress.it/accessibile/viewhtml.php?line=1&contatore=5580729270&viewclip=1
Nell’Ingv chi dice una cosa e chi il suo esatto opposto. («Italia Oggi», 2.6.12)
Geologi spaccati: Il sisma non si prevede. Non è vero……
di Mario Seminerio*
Prendete due interviste a 2 membri dell’Istituto l’azionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv).
Uno è un comune geofisico, nel senso che non appare avere responsabilità direttive entro l’Istituto. (…) L’altro è il direttore generale dello stesso istituto. Al termine della lettura delle due interviste, ne saprete assai meno di prima. Per Gianluca Valensise, infatti: “Sicuramente non possiamo conoscere l’istante di accadimento esatto. Ma anche il solo fatto che possano verificarsi: in altre parole, esistono ancora tipi di faglie di cui non sappiamo nemmeno l’esistenza, ad esempio perché cadono in mare o perché sono cieche. Questo sarebbe il caso anche della Pianura Padana (…)”.
Inoltre: “Oggi riusciamo a prevedere dove sono le faglie che possono dare terremoti distruttivi, la magnitudo massima attesa e un quadro dello scuotimento atteso”. Ma soprattutto, il traguardo della previsione secondo Valensise non è neppure a portata di mano: “No, non vedo questo traguardo raggiungibile nei prossimi due o tre decenni almeno. Anche perché nel frattempo molte agenzie internazionali hanno drasticamente ridotto il finanziamento dedicato ai precursori sismici preferendo focalizzarsi su altre ricerche più solide (...)”.
Quindi, se il pensiero di Valensise è stato correttamente riprodotto dall’intervistatore, il finanziamento ai precursori sismici è stato ridotto un po’ ovunque, non solo in Italia, ma non necessariamente per motivi di ristrettezze di dotazione di fondi per la ricerca quanto perché questo tipo di ricerca non fornirebbe solide evidenze rispetto ad altre metodologie.
Se andiamo a leggere l’intervista al direttore generale del’Ingv, Tullio Pepe, apprendiamo invece (…) che “il terremoto si può prevedere, ma in Italia ciò non avviene perché il fondo ordinario della ricerca è stato colpito dai tagli decisi da Mariastella Gelmini”. E quanto ai precursori, Pepe è in completo disaccordo con Valensise (…). Come recita il pezzo de «Il Fatto», quella di Pepe è una denuncia (…) circostanziata e che ha molto a che fare con quanto accade in Emilia. Perché tra i progetti, congelati dalla riforma Gelmini e ora in attesa di sblocco da parte del ministro Passera, ce n’è uno che riguarda proprio lo studio dei cosiddetti precursori del terremoto. (…) In particolare si tratta di installare una rete di strumenti-bersaglio come radar a terra (corner reflector), misuratori geomagnetici e geochimici capaci di fornire immagini e dati sugli spostamenti minimi di superficie prima che l’evento in profondità si palesi (…). Oggi possiamo contare sui sismografi, ma rilevano attività quando sono già in corso. Possiamo contare anche su un sistema di satelliti radar (Cosmo-SkyMed, ndr) che è stato utilizzato in Italia per la prima volta in occasione del terremoto a L’Aquila e ora è puntato sull’Emilia. I quattro satelliti inviano immagini della terra ad altissima risoluzione che misurano variazioni della superficie fino a pochi millimetri. Ma anche questo sistema ha le sue falle. I satelliti devono essere puntati su una zona già individuata e le immagini che inviano ai centri di analisi hanno uno scarto di quattro giorni che rende impossibile il monitoraggio dei cambiamenti a terra. (…). Riepilogando: per un geofisico dell’Ingv i precursori sismici non sono una metodologia affidabile. Per il suo direttore generale e un altro ricercatore, invece, sono fondamentali, e se oggi non riusciamo a prevedere i sismi la colpa è dei tagli della Gelmini.
E poi dicono degli economisti. Voi capite che noi comuni mortali, pur al netto di fisiologiche divergenze scientifiche, restiamo piuttosto perplessi. Sarebbe utile che l’Ingv prendesse una posizione ufficiale, anche se sospettiamo che finirebbe con l’essere quella del direttore generale.
(dal blog PhastȬdio.net)