Pier Paolo Pasolini: «Alla mia nazione»
183esimo appuntamento con “la cicala del sabato” (*)
Alla mia nazione
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
[da «La religione del mio tempo»]
(*) Qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro. Facendo bene i conti codesta cicala ha scoperto di essere “maggiorenne”, cioè da oltre 18 anni invia ad amiche/amici per 5 giorni alla settimana i versi che le piacciono; immaginate che gioia far tardi la sera oppure risvegliarsi al mattino trovando una poesia. Abbiamo raggiunto uno storico accordo: lei sceglie ogni settimana fra le ultime poesie inviate quella da regalare alla “bottega” e io posto. Perciò ci rivediamo qui fra 7 giorni. [db]
Nessun commento, stavolta. Solo grazie per aver pubblicato la poesia di Pasolini. La trovo sempre attuale: in virtù dell’eleganza nefasta dei poveri arricchiti; della varietà degli impoveriti incapaci di fare un salto di classe; infine, perché le famiglie regnanti non sono poi cambiate, solo un pochino involgarite nella favola divulgativa della società dello spettacolo.
“Uomini, uomini del mio presente
non mi consola l’abitudine
a questa mia forzata solitudine,
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero,
dove un bel giorno, magari molto presto,
io finalmente possa dire: questo è il mio posto.
Dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.”
(G. Gaber e S. Luporini – Canzone dell’appartenenza)“Uomini, uomini del mio presente
non mi consola l’abitudine
a questa mia forzata solitudine,
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero,
dove un bel giorno, magari molto presto,
io finalmente possa dire: questo è il mio posto.
Dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.”
(G. Gaber e S. Luporini – Canzone dell’appartenenza)