Pier Paolo Piludu: “possibile che non abbiate visto?”
Buio. Si sente una musica Klezmer. Prima un piccolo chiarore, poi una luce sempre più intensa, illumina un gruppo di uomini legati uno all’altro che girano in tondo. Ognuno ha in mano una valigia malandata. Caronte (Cinzia) ha in mano una frusta e li incita ad andare avanti. E’ affiancata da una serva-assistente (Monica) che di tanto in tanto le porge differenti strumenti di tortura (un forcone, una corda con un cappio, dei peperoncini e un fico d’india da applicare all’estremità di un bastone, un trapano a batterie…). Caronte talvolta la premia con dei croccantini per cani, talvolta, quando la serva non capisce o fa qualche errore, la minaccia con gli stessi strumenti di tortura.
CARONTE: Avanti, sulla destra! Tenetevi sulla destra, poi per altri 300 km. sempre dritti! Prossime fermate: Amburgo, Buenos Aires e New York! Forza sfaticati. Dite che avete voglia di lavorare, e poi… se non vi infilano il peperoncino nel sedere non vi muovete! (al pubblico) Scusate l’espressione un po’ colorita. Io cerco di trattarli come degli esseri umani, ma sin quando non sentono il bruciore in fondo, in fondo al culo, questi merdosi non si muovono! (ai migranti) Avanti, avanti ho detto! (al pubblico) C’è poco da fare, non sono come noi! Sono ladri, sono delle bestie ignoranti. Puzzano, sono avidi e senza scrupoli! Sapete come li chiamano? Topi di fogna, zingari, feccia del pianeta! State a sentire (ai migranti) Forza! Salutate i signori, presentatevi. Mi raccomando, solo due parole, e non fate i soliti piagnistei, che qui non è come nel vostro lurido paese! Qui non riuscite a imbrogliare nessuno! (a una migrante) Tu, vieni qua!
UNA DONNA VENETA (DANIELA P.): Me ciamo Francesca. Me toca partire in freta e furia per andar in Austria dove me marìo Daniele el se casca’ da una impalcadura. El ga na gamba rota e nol pode usar la man destra. Ghe toca star fermo par forsa, e così no ghe se’ né lavoro né paga.
Mi spero de riuscire a lavorar come sarta o magari come dona de le pulisie, me contentaria de qualsiasi lavoro, sempre che el sia onesto se capise.
CARONTE: Fatti vedere. E dove lo vorresti fare, in Austria, questo lavoro onesto? In un viale alberato alla periferia di Vienna o in una casa d’appuntamento sul bel Danubio blu?! (Caronte ride. Si rivolge al pubblico. La donna veneta si fa il segno della croce. ) Sono donne abituate a vendersi per un piatto di polenta!
UNA DONNA VENETA: Ma cosa dìsito!!!! Sito mato? Che Dio me mande all’anferno de boto anche al solo pensier che se possa guadagnar el pan cometendo pecato!
CARONTE: Basta così! (si rivolge ad altri due migranti) Forza voi due, marito e moglie! Facciamo finta che abbiate tutti i documenti in regola!
UN UOMO BERGAMASCO (ALESSANDRO): Devum n’da al’estero, cari miei… emigrare… perché che in muntagna la tera d’arà l’è poca… non c’è terra da coltivare. Ta laurat cum’è un mat, da la matina ala sira e po’… ta ghe gnanca da mangià. Sem in bal a parté in sce, senza savè nigot… partiamo all’avventura. Ma sa podum fa cusè? Cosa possiamo fare?… Ghem cinq bagai, cari miei, cinque figlioli! Sa ga dem cusè da mangià? Oscia! Cosa gli diamo?! Sa ga dem cusè?!
CARONTE: Non pensate che a mangiare voi! (al pubblico) Hanno questo chiodo fisso! Non pensano che a quello! Ogni giorno: a mangiare, a mangiare! Non fatevi incantare. Questi l’hanno imparato a memoria il piagnisteo!
UNA DONNA BERGAMASCA (DANIELA S.): Gherum ming voia da parté… non volevamo partire. L’è triste lasà al propri paes… E po’, la pot anca andà finé ma. Può anche andare a finire male, come a mio padre. Al mè pà, la laurà trì an in India. Pensa che raza da viacc la fa. L’è partì che me seri amò piccinina. Ma ricordi amò al dè ala staziun, al tramvai cal partes, il treno che si allontana, e lù cal ma dis “Pianc minga Maria, pianc minga ninin, che quand al tò pà al turna al ta porta un elefantino indiano.” Ma l’elefantino indiano ma l’ha mai purtà. E anca lù… l’è minga turnà… la miniera dua’l laurava l’è crulada… e lù l’è rimast sota.
UN GIOVANE SARDO (ANDREA): Io sono partito da paese per raggiungere Costantino, mio fratello, che ha trovato lavoro a Marcinelle, nel Belgio. Mi faccio quattro o cinque anni in miniera e si Deus cheret, se Dio vuole, me ne ritorno, mi costruisco la casa in paese e mi sposo con Pitzalis Salvatorica, la mia fidanzata.
CARONTE: Pitzalis Salvatorica sta proprio aspettando te! Ma cosa mi tocca sentire! Forza clandestini, si riparte! Tenetevi sulla destra che senò vi spiaccicate! (li colpisce con una frusta poi si rivolge al pubblico) Non preoccupatevi, ci sono abituati e poi non provano il dolore come noi. (ai migranti) Avanti, avanti! (al pubblico) Perché mi guardate con quelle facce? Ve l’immaginate se da un giorno all’altro la vostra città si riempisse di pezzenti come questi! 27 milioni! Dal 1876 al 1976 ne ho traghettato 27 milioni! E’ chiaro che la gente per bene si esaspera! Sapete cosa dicevano sino a pochi anni fa in America, in Svizzera, in Australia?… “Non esiste al mondo un popolo più ladro, più schifoso, più vile, più traditore… degli italiani!!!”
MUSICA Escono
SCENA 2: LETTERE DAI CPT
Compaiono una donna, poi un uomo, poi un’altra donna, tutti e tre con gli occhi bendati
MARIANNA: (ha in mano una lettera) Milano, Italia, 12 novembre 2008. Cara Jamila, spero stiate tutti bene; spero che la milizia non abbia fatto irruzione a casa nostra e che per colpa mia non abbia arrestato nessuno dei nostri cari… Devi dire a tutta la famiglia, anche ai parenti di Asmara, che sto bene, che ce l’ho fatta. Vorrei scriverlo anche a te “sto bene, cara sorella, sto bene”. E te lo lo scriverei se non mi avessi fatto giurare di dirti sempre la verità. Il viaggio nel deserto è stato lungo e difficile, ma è stato niente rispetto alle umiliazioni subite nelle prigioni della Libia. Ti dico solo che ringrazio Dio perché sono ancora viva. Ora sono rinchiusa in una prigione italiana che chiamano CPT. Non so perché mi abbiano arrestata. Siamo tutti imprigionati senza colpa… ma appena la guerra, nella nostra Eritrea finirà, andrò via da questo paese che non mi vuole e tornerò a casa. Ti abbraccio e ti penso, la tua Ribka
ANTONINO: Ciò che mi fa scoppiare il cervello è che sono in galera e non so per quale motivo. Perché mi avete arrestato?! Perché devo stare in una gabbia rinchiuso dietro alte sbarre di ferro, in una cella dove i letti e i tavoli sono imbullonati per terra, dove l’armadio è un cubo di cemento e non ci sono finestre? Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto?!
MARCELLA: No, non sapevo che in Italia esistevano posti come i CPT. “Ti portiamo in un centro di permanenza temporanea” mi hanno detto, “è un aiuto per gli immigrati.”
Bene, ho pensato, vorrà dire che mi tratteranno bene…
Come faccio ora a raccontarvi quello che ho visto?! (la luce sfuma, la scena si conclude al buio) E voi, come fate a non vedere? Cosa risponderete ai vostri figli quando vi chiederanno: “Ma come è possibile che non abbiate visto? Ma come è possibile che non abbiate sentito?”
Fermate uno straniero, un clandestino, uno qualsiasi che è stato anche un solo giorno in un CPT. Chiedetegli cosa ha visto… e ascoltate. Ascoltate.
ANTONINO: Non sono andato via dal mio paese per fame, né per ragioni politiche, ma perché sono un uomo libero! Sono un uomo libero! Voglio telefonare! E’ un mio diritto poter telefonare! (Due guardie lo afferrano, lo trascinano via) Dovete restituirmi il telefonino! Voglio dire a mia moglie, ai miei figli che sono vivo, che non sono annegato! (Escono)
SCENA 3: GLI “ONOREVOLI”
(si illumina la parte alta della platea. Entra in scena, dall’ingresso del pubblico, un gruppo di uomini e donne, “onorevoli”, vestiti molto elegantemente. Tutti, sia quando parlano, sia che quando ascoltano, hanno sempre un esagerato sorriso stampato sul volto. Si soffermano sui due lati delle scale.)
“ONOREVOLE” SALVATORE: Onorevoli amici! Onorevoli colleghi! Di qua, da questa parte.
“ONOREVOLE” PATRIZIA (come se stesse continuando un discorso): Vi dicevo, io, ad esempio, voglio aprire una fabbrica di tappeti per regalarli agli islamici… perché vadano a pregare nel deserto e non a casa nostra!
“ONOREVOLE” RITA S.: Per me questi negri bisognerebbe metterli tutti sul Monte Bianco: da una parte potremo contarli tutti bene e dall’altra potrebbero macinare il ghiaccio per fare granite alla menta!
“ONOREVOLE” SUSI: Bisogna sparare contro le carrette del mare o, in alternativa, buttarli in mare!
“ONOREVOLE” MASSIMO: Perché noi… ce l’abbiamo duro!!
(a fianco a Massimo c’è sempre Ines pronta a correggere con discrezione eventuali strafalcioni linguistici e a sorreggerlo in caso di qualsiasi evenienza)
“ONOREVOLE” ROSALBA: E si! I gommoni degli immigrati devono essere distrutti a colpi di bazooka. Occorre però puntare ad altezza d’uomo!
“ONOREVOLE” CARLO: E questo detto con grande pacatezza e moderazione.
“ONOREVOLE” TONINA: E certo! Non possiamo mica assegnare le case al primo bingo bongo che arriva! O vogliamo che il futuro nostro e dei nostri figli sia in mano a quelli che sino a 5 anni fa parlavano con Tarzan e Cita!
“ONOREVOLE” MARIELLA: Io non sono razzista! Il più nero dei neri ha gli stessi diritti del mio vicino di casa… ma a casa sua!
“ONOREVOLE” PAOLA: In questo paese di pulcinella ci sono troppe palandrane del cazzo che circolano liberamente, che organizzano terrorismo e attività sovversive.
“ONOREVOLE” ALBINA (rivolta al pubblico) Queste cose le cambiamo se abbiamo voi alle spalle! Perché noi non siamo movimento da strachinella, o da formagella!! Noi andiamo avanti con le mazze e con le spade!
“ONOREVOLE” MASSIMO: Perché noi… ce l’abbiamo duro!!
(Salvatore è arrivato all’altezza del palcoscenico e invita i colleghi a salire)
“ONOREVOLE” SALVATORE: Onorevoli colleghi, ci vogliamo accomodare?
MUSICA “MALAIKA” (Gli “onorevoli”, continuando a parlare, si dirigono sul palco, si siedono sul lato destro)
SCENA 4: SAMIR
BUIO Si sentono delle voci.
Che vergogna!
Che vergogna!
Che vergogna!
Ritorna la luce. Sul lato sinistro della scena ci sono undici persone. Alcuni hanno in mano dei bidoni. Uno di loro (Alessandro) è seduto su un grande vaso. Sul lato destro si è accomodato il gruppo degli “onorevoli”. Ascoltano con attenzione, interromperanno spesso il racconto con fragorose risate
ALESSANDRO: Si vergognava… sì, Samir si vergognava… da quando era arrivato nel “ghetto dei Migranti”, a Kidal, nel Mali, 350 km. a sud del confine con l’Algeria. Il ghetto di Kidal: un groviglio di baracche e casupole fatiscenti pieno di centinaia di rifugiati, di disperati, di sconfitti, come lui…
SERGIO: A Kidal il massimo che si possa fare è cercare di sopravvivere. I migranti, “les aventuriers”, arrivano con le vesti lacere, spesso malati. Non hanno neanche i pochi centesimi necessari per pagarsi un pasto.
(Lentamente tutti avanzano verso il proscenio. Stanno fermi, come se stessero sperando che arrivi qualcuno a proporgli un lavoro)
BENEDETTA: Samir, da quando era arrivato a Kidal, aveva accettato di fare qualunque cosa gli avevano proposto: l’imbianchino, il manovale, il saldatore… persino il venditore di acqua fresca nella piazza del mercato…
ROSALBA: Ma da qualche mese, trovare lavoro a Kidal, era sempre più difficile.
Tutte le mattine i migranti, sempre più numerosi, aspettavano, davanti alla porta del ghetto, aspettavano qualcuno che li chiamasse… ma non arrivava mai nessuno a proporre nessun lavoro.
(rimangono tutti in attesa, in silenzio, per qualche secondo)
DANIELA P.: E lui… (si nasconde il viso con le mani) si vergognava.
UNO DOPO L’ALTRO, TUTTI, TRANNE ALESSANDRO: (ognuno si nasconde il viso con le mani) Si vergognava… (Risate)
ALESSANDRO: Samir si vergognava… si sentiva debole, affamato e senza un soldo in tasca… Da dieci giorni mangiava a credito; per 300 franchi poteva avere un piatto di cuscus da un ivoriano come lui che era riuscito a sistemare una casa diroccata nel ghetto e lì ospitava i rifugiati… Gli diceva “Non ti preoccupare, mi pagherai. Non c’è fretta. Mi pagherai. So bene come stanno le cose… ci sono passato pure io. Non ti preoccupare.” Ma Samir si vergognava. Lui voleva lavorare. Qualsiasi cosa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non dover tornare dalla sua famiglia. Non sapeva nemmeno quanto fosse distante. Duemila chilometri? Forse di più. In ogni caso, no, in quelle condizioni non voleva… non poteva ritornarci.
(Gli attori che raccontano la storia dei migranti afferrano dei legni e suonano battendo su vasi e bidoni.)
RITMO BIDONI
CINZIA: Samir era partito da un villaggio della Costa D’Avorio. Studiava ingegneria e lavorava la terra, come suo padre, come suo nonno, come tutti. Ma era sempre più dura. Prima la guerra, poi la carestia, poi un giorno, dopo il raccolto, due uomini bianchi erano arrivati con un fuoristrada, avevano riunito i contadini e avevano detto “Avete prodotto tanto caffè, tanti semi di cacao… avete lavorato bene… forse troppo bene! Quest’anno in Costa D’Avorio tutti i contadini hanno prodotto troppo. E ora non c’è mercato. Per i semi di cacao possiamo arrivare al massimo a 2.000 franchi.”
MARCELLA: Duemila franchi?!… Ma eravamo d’accordo per 4.500…
SERGIO: Non ci siamo capiti! Abbiamo i magazzini pieni! Non ce ne facciamo niente! Nessuno se ne fa niente del vostro caffè e del vostro cacao! (Risate)
CINZIA: 2.000 franchi solo perché vogliamo venirvi incontro…
SERGIO: … altrimenti tutti questi semi li vedrete marcire… (Risate)
DANIELA S.: Suo padre aveva sputato tre volte per terra (Risate) poi la sera aveva riunito la famiglia.
MARIANNA: Il giorno dopo Samir aveva venduto i libri di ingegneria.
DANIELA S: Un cugino aveva portato a casa sua una grande carta geografica e avevano studiato il percorso che dal loro villaggio portava a nord, sino al mare: era lunghissimo e di sicuro pieno di pericoli, ma Samir si sentiva forte; sarebbe riuscito ad arrivare in Europa!
MARCELLA: Era partito. I genitori, i fratelli, le sorelle avevano puntato tutto su di lui. Si erano indebitati per trovare i soldi per il viaggio. Sua madre aveva impegnato anche gli orecchini e l’anello d’oro del matrimonio… ma erano tutti sicuri che Samir non li avrebbe delusi…
DANIELA P.: Ogni giorno, durante il viaggio, continuamente si toccava il bordo dei pantaloni dove sua madre gli aveva cucito i soldi per la traversata… li aveva nascosti proprio bene! Pensava a suo padre, ai fratelli, alla telefonata che avrebbe fatto al cugino, appena arrivato in Italia o in Spagna: “Vai, corri a casa e dì a tutti che Samir ce l’ha fatta!!”
MARCELLA: …E invece no! Il suo sogno era svanito in una notte… Il suo viaggio si era interrotto bruscamente, nel deserto, forse per sempre!
DANIELA P.: Ora era li, a Kidal. Non aveva più niente! A Samir l’Europa sembrava più distante che mai… irraggiungibile.
RITMO BIDONI
(Il ritmo viene interrotto da due “onorevoli”)
“ONOREVOLE” ANGELA: E Basta!! Libertà! Libertà! Fanculo a questi islamici di merda! Bisogna mandarli via a calci in culo!
“ONOREVOLE” CLARA: Ne ho le scatole piene di tutti questi mangiapane a tradimento, gente che con i nostri soldi se ne sta tranquilla nei centri di accoglienza e che per campare viola sistematicamente la legge!
MARCELLA: Erano ormai passati sei mesi da quando aveva comprato un passaggio su un camion che andava verso nord, verso l’Algeria… Era partito di notte, sul cassone, con altri dieci uomini che, come lui, sognavano l’Europa…
MARIANNA: Ma in pieno deserto però, cinque nigeriani sbucati dal nulla, li avevano bloccati. Erano armati di pistole e bastoni: uno, il capo, brandiva un grosso machete… Gridava, mentre li trascinava giù dal camion, agitando il machete come se dovesse colpirli ad uno ad uno.
MONICA: Il capo aveva afferrato il viso di Samir con una mano ed appoggiato la lama sulla sua gola… Urlava a pochi centimetri dal suo viso… Samir era terrorizzato… poteva sentire il suo alito… poteva vedere i suoi occhi iniettati di sangue… e poi quella lama… piegava il collo sempre più per sfuggire… In un attimo aveva rivisto suo padre… gli stessi gesti quando sgozzava le capre… (Risate)
ALESSANDRO: Alla fine il nigeriano lo aveva lasciato cadere a terra… Samir singhiozzava, Avevano portato via loro tutto ciò che avevano: anche vecchi orologi, scarpe, magliette… e soldi! A Samir avevano rubato i soldi per la traversata, quelli che aveva nascosto così bene nel bordo dei pantaloni…
SERGIO: Li avevano lasciati lì, di notte, nel deserto, con poco pane e un solo bidone d’acqua… disperati. Non sapevano che direzione prendere. Non volevano separarsi… ma alcuni volevano procedere verso ovest, altri verso nord.
MUSICA (Le persone formano tre o quattro gruppi. Ognuno vorrebbe andare in una direzione diversa. Si contendono un bidone) (Risate)
CINZIA: Forse se avessero avuto acqua a sufficienza sarebbero spariti nel deserto in undici direzioni diverse. E invece si erano messi in marcia tutti insieme, senza meta. Avevano vagato per due giorni, sin quando avevano visto in lontananza… sembrava… sembrava…
(Vanno tutti verso il proscenio. Guardano lontano, poi fanno gesti per farsi notare.)
ANTONINO: Sì, è un camion! Un camion!! Ehi! Ehi!! Ci ha visto! Ci ha visto!! Sta venendo verso di noi!! (gioiscono, si abbracciano) Ci hanno riconosciuti! (all’improvviso si sente uno sparo che gela l’entusiasmo)
BENEDETTA: La polizia! La polizia algerina! Via! Via!!!
(Si sentono altri spari; tutti provano a scappare, poi arrivati al limite della scena si voltano, sollevano le braccia. Attendono terrorizzati che i poliziotti li raggiungano e che inizino a colpirli. La luce sfuma, le braccia cercano di proteggere i visi, si sente il rumore di bastoni che colpiscono con forza) (Risate)
Ritorna la luce. Musica
Cinque attori-poliziotti (Antonino, Daniela P., Marcella Rosalba e Sergio) avanzano verso un attore-migrante (Marianna). Due poliziotti impugnano dei bastoni. Fanno delle domande a Marianna. Lei risponde. Mostra loro un certificato. Glielo strappano di mano. Gli danno un’occhiata, si guardano, ridono. Strappano il certificato e lo buttano via. Marianna rimane immobile, basita. La stessa scena si ripete con un altro migrante (Alessandro) e con altri poliziotti (Benedetta, Cinzia, Daniela S. e Monica). Stavolta, dopo che gli viene strappato il permesso di soggiorno, Alessandro protesta, i poliziotti lo minacciano coi bastoni, il migrante solleva le braccia per proteggersi. Buio. Si sentono altri colpi.
ALESSANDRO: Je suis un réfugié politique! J’ai le droit d’asile! Je suis un réfugié politique! J’ai le droit d’asile!
UNA VOCE DI UN GENDARME NEL BUIO (ANTONINO): Un rèfugié politique?!
UN’ALTRA VOCE DI GENDARME NEL BUIO (SERGIO): Nous ne sommes pas l’ONU. Nous sommes des agents de police! (Grandi risate) Nous ne sommes pas l’ONU. Nous sommes des agents de police! (Continuano a bastonare) (Risate)
(Ritorna la luce.)
DANIELA S.: Samir aveva sentito un dolore terribile al ginocchio destro… gridava disperato mentre due poliziotti lo trascinavano via… i compagni lo avevano dovuto issare di peso sul camion militare… gemeva e gridava ad ogni buca, ad ogni sobbalzo…
DANIELA P.: Piangeva Samir, piangeva sul camion della polizia mentre vedeva l’Europa che si allontanava, piangeva per sua madre, per il suo anello e i suoi orecchini, piangeva di rabbia!
MONICA: Era più forte di lui: forse era troppo giovane… forse non era ancora riuscito ad abituarsi… alle ingiustizie.
DANIELA P.: Erano arrivati sino a Tamanrasset. Insieme ai suoi dieci compagni di sventura lo avevano sbattuto in prigione.
MARCELLA: Tamanrasset… nel cuore del Sahara, 2000 chilometri a sud di Algeri. Il cielo è sempre bianco a Tamanrasset a causa della sabbia dispersa nel cielo da un vento incessante… è uno dei luoghi più caldi della terra: la temperatura di giorno supera sempre i 50 gradi…
MARIANNA: Per tutti gli algerini Tamanrasset è la capitale del sud; per i tuareg è la patria della regina Tin Hinan, la leggendaria madre di tutti i popoli del deserto…
DANIELA S.: Per i rifugiati clandestini, invece, Tamanrasset è soltanto uno dei luoghi di detenzione più terribili dell’Algeria… “Stavamo in cinquanta, rinchiusi in una cella, senza aria, senza luce… senza poter mai uscire… non c’era neanche lo spazio per stare tutti sdraiati… Mangiavamo croste di pane e l’acqua era razionata. “
ROSALBA: Eravamo infestati da pidocchi e pulci. (Risate) Avevamo la pelle fra le dita delle mani e dei piedi ridotta ad una piaga sanguinante a furia di grattare per il prurito insopportabile che ci provocava la scabbia… (Risate) Ce l’eravamo presa tutti: in quelle condizioni era inevitabile…
MONICA: Alla fame e alla sete si aggiungevano continue umiliazioni … Un giorno Samir aveva chiesto alle guardie il permesso di andare al gabinetto; ce n’era uno per ogni cento detenuti, fuori dalla cella…
Mentre Monica parla tutti gli altri la ascoltano come se fossero delle guardie carcerarie
SERGIO: Se domani vuoi mangiare devi farla qui davanti a tutti…
ANTONINO: Forza, dai, cos’è ti vergogni?! (Risate)
BENEDETTA: Dai, che senò ti passa lo stimolo!
DANIELA P: Tieni questo bidone così se hai il cazzo troppo grande te lo nascondi! (Risate)
ANTONINO: E se invece ce l’hai troppo piccolo, tieni (gli porge un tappo) questo dovrebbe bastare! (Risate)
MONICA: La cella era piena… davanti a lui una donna, una nigeriana, alta, magra, la pelle nerissima, il bianco degli occhi segnato da sottili venuzze teneva per mano un bambino… si sono guardati negli occhi, a lungo… lei aveva capito e aveva girato lo sguardo… e lui…
RITMO BIDONI (I musicisti si dispongono in uno uno spazio ristretto. A conclusione del ritmo si ritrovano ancor più assiepati, in un piccolo spazio insufficiente per tutti, come se si trovassero in 50 dentro un pullman che può contenere 30 persone.)
ALESSANDRO: Nel ghetto di Kidal Samir tossiva spesso… Gli faceva male il petto… a volte sputava sangue… forse si era ammalato nella prigione di Tamanrasset dove era stato costretto a dormire per terra, senza coperte…
MARIANNA: … o forse nel campo di detenzione di Tinzaouaten dove lo avevano trasferito dopo alcuni mesi.
ANTONINO: Il trasferimento a Tinzaouaten era avvenuto, con altri 450 prigionieri, su camion completamente chiusi, usati per il trasporto del bestiame. Sulle pareti del cassone, strette fessure chiuse da griglie metalliche permettevano a stento di fare entrare un po’ di aria ed uno squarcio di luce…
ALESSANDRO: Quando hanno chiuso il portellone, non potevo crederci… Perché ci trattate così… come bestie… peggio delle bestie?! Le donne hanno iniziato a piangere mentre gli uomini urlavano e battevano le pareti metalliche con i pugni e le scarpe…
SERGIO: Da subito abbiamo sentito mancarci l’aria e nel buio era terribile sentirsi toccare da tutte le parti. All’avvio del camion siamo caduti all’indietro schiacciando quelli sul fondo… urla, pianti, imprecazioni…
ALESSANDRO: Aggrappati gli uni agli altri, cercavamo di stare in equilibrio ma era impossibile… Dopo qualche minuto l’uomo che mi stava davanti mi ha vomitato addosso; (Risate) già altri si erano sentiti male… l’odore era insopportabile e ricacciare i conati quasi impossibile…
MONICA: Chi non resisteva si accasciava a terra, sul piscio ed il vomito… (Risate) un inferno, quando sarebbe finito? Abbiamo viaggiato così, per ore ed ore, senza cibo, con pochissima acqua, nell’oscurità, nel caldo asfissiante e fetido addossati gli uni sugli altri, (Risate) oscillando… spingendoci… imprecando ad ogni buca, ad ogni svolta, ad ogni frenata…
ROSALBA: Per fortuna ero riuscito a conquistare una posizione appoggiato alla parete… le labbra incollate alla griglia metallica… risucchiavo forte l’aria bollente del deserto… appena il necessario per non morire soffocato…
BENEDETTA: Il viaggio era durato trenta ore senza potersi mai riposare… Quando i soldati hanno aperto il portellone siamo stati investiti da una vampata di aria torrida, ancora più calda di quella sul camion… siamo saltati giù fra le urla e le bastonate dei soldati… (Risate)
(Una forte luce illumina gli attori che sono costretti a ripararsi il viso con le braccia e con le mani. Restano fermi, abbagliati. Gli “onorevoli” si alzano…)
UNA BREVE NOTA
Questa è la prima parte (circa metà) d’un testo teatrale su cui sta lavorando – dunque ancora da verificare in scena – Pier Paolo Piludu. Ho avuto il piacere di leggerlo in anteprima e volevo condividerlo con voi. A parte alcune storie raccolte dal vivo, i principali testi di riferimento sono: quattro libri (“Lager italiani” di Marco Rovelli, “Mamadou va a morire” di Gabriele del Grande, “Bilal” di Fabrizio Gatti, “Solo Andata” di Erri De Luca), il film “Come un uomo sulla terra” del trio Riccardo Biadene, Dagmawi Yimer e Andrea Segre, la puntata del programma Presa Diretta “Respinti” (di Riccardo Iacona) e le numerose testimonianze di migranti raccolte da diversi siti, in particolare Fortress Europe. Sono state utilizzate numerose frasi poco “onorevoli” pronunciate da parlamentari, senatori, ministri della Lega Nord e dall’attuale capo del governo italiano. (db)
Se il buongiorno si vede dal mattino… Mi sembra si prepari un grande spettacolo di teatro civile… o di civiltà del teatro.
Grazie per la condivisione.
Per conquistare un futuro bisogna prima sognarlo… E’ proprio vero.
Mi piace un sacco, non vedo l’ora di leggere la seconda parte… spero che la posterai 🙂
Ciao