Piergiorgio Pulixi, Antonella Anedda, Marco Malvaldi…
…con Qiu Xiaolong, Aldo Pagano, Anabel Hernández, Achille Mbembe
sette recensioni di Valerio Calzolaio
Brutalismo – Achille Mbembe
Traduzione di Valeria Pignatta
Marietti1820 Bologna – 2023 (orig. 2023)
Pag. 271 euro 23
Dall’Africa, ovunque. Prima, ora e poi. È in corso un indubitabile cambiamento epocale, ma anche di condizione, generato dalle trasformazioni della biosfera e della tecnosfera. Il concetto di brutalismo viene evocato per il tramite del pensiero architettonico ed è usato come categoria politica, serve a descrivere un’epoca caratterizzata da tre elementi principali (calcolo computazionale, economia neurobiologica, processo di carbonizzazione) e posseduta dal pathos della demolizione e della produzione, su scala planetaria, di riserve di oscurità. Il brutalismo è il processo di estromissione ed evacuazione degli individui e delle sostanze organiche, con cui il potere in quanto forza geomorfologica oramai si sostituisce, si esprime, si riconfigura, agisce e si riproduce attraverso le tecniche politiche della fratturazione e della fessurazione, dell’esaurimento e della deplezione. Le risorse e i corpi vivi sono appunto esposti all’esaurimento fisico e a ogni tipo di rischio biologico, talvolta invisibile (intossicazioni acute, tumori, anomalie congenite, problemi neurologici, disturbi ormonali). Il codice maestro viene dal passato coloniale (quando l’Europa trasferì la propria parte di tenebra sull’inesistente soggetto “negro”) ed è l’universalizzazione della relativa condizione negra, la continua demolizione delle persone, delle cose, dei sogni e della vita a partire dal contesto africano moderno, nella direzione di “divenire africano del mondo”. La trasformazione dell’umanità in materia ed energia è il progetto finale del brutalismo, occorre allora che si possa insieme impegnarci, invece, a favore di una nuova coscienza planetaria, di una politica della riparazione e della rifondazione di una comunità umana solidale con tutti gli esseri viventi.
Il noto apprezzato filosofo camerunense, docente universitario di Storia e Scienze politiche, Achille Mbembe (1957) ha scritto un altro stimolante saggio sul postcolonialismo e sul riordino delle relazioni globali, individuali e internazionali. La “riparazione” si oppone al brutalismo (del titolo) e richiede, pertanto, la rinuncia a forme esclusive di appropriazione, il riconoscimento che esiste l’incalcolabile e l’inappropriabile e che, di conseguenza, non ci può essere possesso e occupazione esclusivi della Terra. Lo motiva con otto colti intensi capitoli, dedicati soprattutto ai brutali fenomeni in corso: la combustione del mondo; il dominio universale ovvero il nuovo colonialismo; la fratturazione ovvero la frontierizzazione esasperata; l’animismo e la visceralità; il virilismo ovvero il maschilismo della pulsione eiaculatoria; i corpi-frontiera del neomalthusianesimo; le circolazioni vietate ovvero l’umanità nelle gabbie contratte della sedentarizzazione difficoltosa e dell’isolamento forzato; le comunità dei prigionieri (spesso ingannati e immobili); per concludere con una comunque possibile “umanità potenziale” che guardi alla “politica del vivente”. Le conclusioni partono dal vilipeso tradito articolo 13 della Dichiarazione universale sulla libertà di movimento: oggi “la Terra non appartiene più a tutti e, allo stesso tempo, non c’è quasi nessuna casa propria a cui tornare. Tutto si riduce al calcolo, Non esistono più diritti duraturi. Tutti i diritti sono revocabili”. Pensiamoci bene, per quanto il testo sia di non facile lettura e a tratti sapientemente ideologico (con tanti “ismi” e frequente sostantivizzazione concettuale di lemmi). Note bibliografiche a piede di pagina e significativo ricchissimo indice finale dei nomi delle personalità citate.
Emma, la regina del Chapo e le altre signore del narcotraffico – Anabel Hernández
Traduzione di Amedeo Ceresa Genet
Prefazione di Roberto Scarpinato
Bibliotheka Roma – 2023
Pag. 351 euro 18
Narcotraffico. Ultimi decenni. In Messico il sistema criminale ha volto maschile sia perché, nella maggior parte dei casi, tutti i membri della cupola a cui spettano le decisioni sono uomini: funzionari pubblici, politici, prelati e imprenditori, oltre agli stessi narcotrafficanti, sia perché è proprio il sistema delle comunità sociali a essere profondamente e anticamente patriarcale, con annessi discriminazioni, soprusi, narcisismi, forza bruta e violenza. Appare, dunque, interessante osservare il lato femminile nel mondo del narcotraffico: madri, figlie, mogli, amanti ufficiali e segrete, concubine stabili, star dello spettacolo, escort di alto bordo o donne di estrazione popolare, una componente integrante del regno e della corte dei narcos, donne che si conformano a regole maschiliste loro imposte per averne in premio i frutti della corruzione e dei massacri, di cui troppo spesso sono altre donne a essere le prime vittime. Le donne forniscono affetto e sostegno ai criminali megalomani, li giustificano o applaudono, danno loro piacere. Rappresentano la prima e più ristretta cerchia nel coro dei festeggianti adulatori, sempre a disposizione. Generano i figli, garantendone così la discendenza sparsa per ogni dove, e oggettivamente li spronano a perseverare sulla via del crimine, in un circolo vizioso senza fine e senza vie d’uscita. Simboleggiano la potenza di chi se ne circonda e le “possiede”, belle ambite invidiate, la spinta propulsiva e al tempo stesso l’obiettivo del comando. Sono il nutrimento della bestia. E finiscono per muoversi fra i due mondi del segreto degli atti criminali e della facciata dei risvolti sociali, sorta di vasi comunicanti in veste di dame di compagnia e amanti condivise. Non nei fantastici romanzi, ma nella realtà accertata.
L’esperta competente giornalista investigativa messicana Anabel Hernández Garcia (1971) arricchisce la sua ricca apprezzata produzione informativa sui cartelli della droga e sugli abusi di potere, dedicandosi alle “signore” dopo che a Los señores del narco (2010, tradotto in italiano nel 2014). Le descrizioni delle storie paradigmatiche delle personalità femminili e i relativi capitoli sono dieci, il primo e l’ultimo dedicati a Emma Coronel Aispuro (San Francisco, 1989), prima alla sua ascesa a “regina” (da cui il titolo e la copertina), poi alla sua deposizione del 10 giugno 2021 alla Corte Distrettuale della Columbia, Washington D.C., come collaboratrice di giustizia, la prima nella lobby malavitosa che controlla il paese a sud degli Stati Uniti a infrangere il patto d’impunità e a confessare. La prefazione è affidata al magistrato italiano, senatore dal 2022, Roberto Scarpinato (Caltanissetta, 1952), che presenta brevemente la coraggiosa autrice, “costretta a trasferirsi all’estero nella consapevolezza che il Messico è il luogo più pericoloso del mondo per gli operatori dell’informazione indipendenti, i quali suppliscono con le loro inchieste alla totale inerzia della magistratura sottoposta al controllo del potere politico colluso con i capi dei principali cartelli del narcotraffico”. Scarpinato offre anche un parallelo sul ruolo delle donne nella criminalità messicana e italiana, “per lungo tempo sottovalutato” quello nelle organizzazioni mafiose, da poco riconosciuto come di una “centralità sommersa”. L’analogia maggiore riguarda il ruolo assegnato alle “signore” nei nuclei familiari; la differenza maggiore consiste nella frequente scelta monogamica dei mafiosi italiani assorbiti dallo “stakanovismo” lavorativo criminale, rispetto ai narcos che sembrano considerare potere, violenze e profitti come funzionali all’appagamento del principio del piacere. Il volume contiene una ricchissima sequela (a tratti pesante) di personalità maschili e femminili nei vari cartelli predominanti e conflittuali lungo gli ultimi decenni di narcotraffico, accanto a personaggi di tutti i mondi contigui (familiari e parenti, alleati e complici, nemici e poliziotti, spie e collaboratori di giustizia, rappresentati istituzionali a lungo corrotti fino agli stessi presidenti di qualche mandato fa).
Erba d’annata – Aldo Pagano
Piemme Milano 2023
Pag. 298 euro 19,90
Bari. Da inizio dicembre fino a Natale 2022. Dopo la fine di un rave party, fra i capannoni abbandonati e l’erba alta di una fabbrica nella zona industriale, viene trovato a terra il corpo del 23enne Giorgio De Santis, precipitato dal tetto con un volo di quasi dieci metri. Fratture in serie fra cui quella all’osso occipitale, decesso immediato. Si è buttato? È stato spinto? La bella sostituto procuratrice 55enne (circa) Emma Bonsanti e l’istrionico sovrintendente capo 65enne Michele Lorusso, capelli eternamente corvini e basette brizzolate, cominciano subito a discuterne. Non sarà facile capirlo. Lì era pieno di gente giovane; Giorgio, figlio del proprietario dell’omonimo ristorante, uno dei migliori della città, senza precedenti penali e all’ultimo anno di giurisprudenza, aveva cominciato a fare il praticante in uno studio notarile, ben fidanzato con la splendida Ambra e amico del cuore dell’alta bionda Sara Bellomo, disperata; lei aveva chiamato i soccorsi quando avevano scoperto il cadavere, pur avendoci litigato qualche ora prima. Sara è la figlia di un’antica compagna di classe di Emma, il suo fidanzato è Renato e le due coppie uscivano spesso insieme, ma il legame e la confidenza con Giorgio erano “speciali”, unici ed esclusivi. Lui era benestante e affascinante, ma poteva pure essere un tipo di suicidio, ne aveva parlato ogni tanto a qualcuno, soprattutto sembrava molto confuso negli ultimi mesi: coltivava marijuana in luoghi segreti e metteva in vendita ottimi prodotti (che Emma non disdegna mai di apprezzare e fumare, oltre alle sigarette), ma era stato scoperto da una nota famiglia camorrista e mazziato; pare avesse frequentato di nascosto una matura donna sposata che ora lo perseguitava da stalking; stava forse progettando di andarsene a Torino, da solo e per una nuova fase dell’esistenza; ed emergono ulteriori piste. Inoltre, qualcuno ha visto un bisticcio sul tetto e l’autopsia indica l’omicidio. C’è un colpevole faticosamente da individuare e possibilmente da punire.
L’ottimo scrittore Aldo Pagano (Palermo, 1966), già girovago giornalista sommelier ristoratore (susci), ha imbroccato la serie giusta e anche il nuovo quarto romanzo è interessante, ben scritto, maturo, merito sia della protagonista di origini milanesi (queer e di sinistra, per quanto figlia di un industriale siderurgico) che dell’ambientazione nella cara capitale pugliese. La narrazione è in terza fissa su Emma, in corsivo i suoi pensieri, in prima plurale l’autore che l’accompagna. L’erba d’annata o dannata del titolo (apostrofo in rosso dopo la “d”) è quella coltivata da Giorgio, un’indimenticabile Apulia silver haze, piccole nuvole di ovatta, candide e soffici, che sanno di pino, erbe e hashish puro, ideale per intenditori capaci di descrivere la fumata in compagnia, come sommelier. Emma è una brava tenace magistrata in un periodo bruttino, cambia umore di continuo, si sente inerme, abulica, inanimata. Vive sola con la bastarda simil spinone Bella in un bell’appartamento della masseria della sua più cara amica Carla, incerta anche sui due rapporti sentimentali che la coinvolgono (quasi ufficialmente); ancora stufa di frequentare l’attraente Simone Laforgia, artista egocentrico assai quotato e di fama internazionale, spesso in giro per il mondo, lasciato qualche anno prima (quando si era mostrato incapace di provare empatia di fronte alla malattia della madre di Emma), al quale tende a negarsi; inquieta pure verso Edoardo Bruni, scrittore possente e vecchio compagno di scuola proprio a Bari, lui perlopiù ben stanziale a Roma con l’amata Valeria, al quale ora vorrebbe chiedere di essere più sincero con entrambe. E la memoria, ricordi e intrighi, riportano spesso a galla le storie e l’omicidio del suo Roberto. Molti s’intendono dei grandi vini di Puglia (negroamaro, primitivo, aglianico, vermentino), con incursioni in Franciacorta e nel nebbiolo. La musica talora richiama atmosfere di Izzo e del rap urbano marsigliese.
Il dossier Wuhan – Qiu Xiaolong
Traduzione di Fabio Zucchella
Marsilio Venezia 2023
Pag. 254 euro 18
Shanghai. Febbraio 2020. Chen Cao, l’ex ispettore capo del dipartimento di polizia della città, è stato rimosso dall’incarico e promosso direttore di un ente praticamente inutile, l’Ufficio per la Riforma del sistema giudiziario, poi pure messo in licenza di convalescenza. Le alte sfere non si fisano più di lui, è caduto in disgrazia, da almeno due anni la Sicurezza interna lo sorveglia assiduamente. Fa una passeggiata nel Vicolo della Polvere Rossa, cui si associano tanti ricordi, diretto alla vicina Libreria internazionale alla ricerca di una serie di libri per alcune traduzioni. Su richiesta dell’Ufficio del turismo di Wuhan, una casa editrice gli ha offerto un consistente anticipo e proposto di pubblicare la traduzione in inglese delle poesie classiche dell’antica dinastia T’ang, abbinando ai testi un dipinto coevo. Torna stanco nel pomeriggio, la pandemia si sta diffondendo, gli altoparlanti consigliano di restare a casa e praticare il distanziamento sociale, una donna lo chiama imponendogli di sottoporsi a un testo per il Covid dato che è stato visto vicino all’ospedale dove circolavano tanti positivi, sul cellulare usato per le comunicazioni confidenziali riesce a parlare col suo amico Pang che gli racconta la drammatica situazione di Wuhan (tutti gli abitanti rinchiusi, senza vie di fuga e senza canali di comunicazione) e la scelta fatta di lavorare a una (pericolosa) serie di post su WeChat per raccontare i secretati casi ed eventi della vita reale. Poi riceve due visite in successione: la giovane e snella segretaria del suo ufficio Jin, che lo adora e lo mette in guardia, e l’alto e slanciato 40enne Hou Guohua, vicecapo di gabinetto della giunta municipale, che gli chiede di fare da consulente (con relativi previlegi) per un caso di tre omicidi in pochi giorni nei pressi dell’Ospedale Renji. Dovrà risolverlo e ben presto deciderà anche di anteporre a tutto un altro progetto di traduzione, far conoscere meglio la Cina di oggi.
Tredicesimo decisivo episodio della magnifica serie ambientata in Cina e scritta in inglese negli Usa dal docente universitario di letteratura in Missouri Xiaolong (“piccolo drago”) Qiu (Shanghai, 1953). Come sempre, fra poesie, detti, adagi, proverbi, versi, la narrazione è in terza quasi fissa sul leggendario protagonista e talora sulla sua nuova preziosa conturbante assistente, reciprocamente ancora molto attratti da pulsioni e sentimenti, nonostante la differenza d’età. I primi episodi erano stati ambientati subito dopo i fatti di Tienanmen (1989), che suggerirono, invece, a Qiu di fermarsi negli Stati Uniti. Ora siamo giunti ai giorni nostri, il romanzo è dedicato “a tutte le persone che sono morte e hanno sofferto… per colpa dell’inumana politica zero-Covid imposta dal Partito comunista cinese e di un sistema di sorveglianza e di repressione peggiore di quello descritto da… Orwell”. Sappiamo che Chen esprime la vita parallela dell’autore se fosse rimasto in patria. Cao è un poeta stufo: lungo vari decenni ha risolto brillanti casi (tutto glielo ricordano miticamente), ha impersonato il ruolo del poliziotto, gli sta bene. Eppure, risolvere il mistero dei tre feroci delitti dei dipendenti dell’ospedale nel lockdown (un dirigente della propaganda, un’infermiera, un cardiochirurgo) non è più la stessa cosa di impegnarsi per mantenere la stabilità del sistema guidato dal partito. Il sistema gli appare sbagliato e inefficiente, troppo gerarchico e corrotto. Pensa che tante persone si siano ormai rese conto che amare il proprio paese non può significare sempre e comunque essere costretti a sostenere il governo qualunque scelta compia. Non si presterà ad agire ancora come “simbolo dorato della spada dell’Imperatore”. Durante le accorte conversazioni all’interno dell’affiatata circospetta coppia continui sono i riferimenti a George Orwell: La fattoria degli animali (1944) e 1984 (1948). Lui inizia a tradurre di nascosto in inglese i post dell’amico Pang da Wuhan (i tragici eventi riportati sono veri, diffusi dalla scrittrice Fang Fang e da tanti netizens cinesi), raccogliendoli come Il Dossier Wuhan (da cui il titolo del romanzo) e chiama a raccolta tutti i vecchi fidati amici, lei lo aiuta, sarà quel che sarà.
La morra cinese – Marco Malvaldi
Sellerio Palermo 2023
Pag. 261 euro 15
Pineta e Pisa. Maggio 2023. Il barista matematico 55enne Massimo Viviani e la quasi 40enne fidanzata vicequestora Alice Benedetta Martelli hanno Matilde dal 2 giugno dell’anno prima, che allieta la vita nella ristrutturata villetta in zona san Sisto (su due piani, con giardino), pur svegliandosi spesso di notte. Anche la spigliata avvenente Tiziana Guazzelli, socia comproprietaria e cogestrice del Barlume e del ristorante attiguo, da otto mesi ha avuto il figlio Michele con il marito Marchino (sommelier bravo con vini e bimbi). Massimo e Tiziana sono preoccupati per i tavolini all’aperto e il relativo costo della concessione di occupazione di suolo pubblico. Come sempre, i quattro vecchietti (e tutti gli avventori) hanno molto altro di cui discutere, la novità è che il centrodestra ha vinto le amministrative (pure); l’89enne Pilade Del Tacca, ex impiegato del comune, e soprattutto Ampelio, ultranovantenne diabetico ex ferroviere padre della giramondo Gigina e nonno di Massimo, parlano di sventura e contestano; il coetaneo Gino Rimediotti, ex postino, e l’ultraottantenne gourmet Aldo Griffa, terzo socio della CrostataGranata s.r.l., fanno da bastian favorevoli. Solo che non si può stare un attimo ad azzuffarsi tranquilli: la nuova amministrazione ha deciso di vendere il Bosco Torto, vasto terreno scosceso dalle colline al mare, forse soggetto a usi civici, e il giovane laureando abruzzese Stefano Mastromartino, 26enne ricercatore di carte antiche, viene buttato giù da una delle finestre comunali nei piani alti, non è escluso avesse rintracciato anche una mitica lettera di Giacomo Leopardi. Il barrista resta sulle sue, s’occupa di figlio e permesso, legge un libro su complicati fantasiosi meccanismi elettorali; poi però interrogatori, indagini e sospetti di Alice (esperta di fisica, economia e legge) finiscono per coinvolgerlo, e, pur non riuscendo ad approfondire i possibili moventi, si mette a costruire utili mappe mentali, modelli matematici e disegni esemplificativi.
Lo scienziato scrittore (già allievo di conservatorio e buon pongista) Marco Malvaldi (Pisa, 1974) è una garanzia di piacevole divertente intrattenimento giallo. Qui tornano gli spassosi toscanacci apparsi nel 2007 e già protagonisti di nove romanzi e una decina di racconti, mentre i connessi vari episodi televisivi (Sky) hanno sceneggiature originali e tracce ormai autonome. Come sempre, la narrazione cartacea è in terza varia al passato, ancora una selva (sempre meno oscura) di dialoghi, arguti ed esilaranti, all’interno del BarLume e nei vari separati contesti. Approssimate tutte le età dichiarate, evolvono con i romanzi e ormai ci si avvia allegramente ai centenari. Il titolo ruota intorno ai vincoli circolari della morra cinese: qualcosa o qualcuno che comanda su altro, che a sua volta comanda su altro ancora, che pure infine comanda sul qualcosa o sul qualcuno iniziali. Via via emergono i tanti possibili colpevoli, personaggi “interessanti”, descritti con arguzia e originalità. Normale e normalisti dietro l’angolo. La squadra investigativa è funzionalmente corale, il mistero si risolve con misura e sensibilità sociale, commentando ad alta voce tutto di tutti. Per l’ultimo passo un aiuto viene dalla bottiglia di Baron de L, annata 2015, trovata in cantina e donata da Aldo ad Alice e Massimo. Che Giacomo nel 1830 a Firenze si fosse invaghito di Aspasia, ovvero della dotta allettatrice nobildonna Francesca Fanny Ronchivecchi, è assodato, lei moglie del medico e botanico Antonio Targioni Tozzetti. Segnalo il momento Stepanov (severo allenatore bulgaro), a pag. 217-218. Forse non è il migliore della serie, la lettura è comunque sapientemente godibile, evviva la tradizione (non solo italiana) del giallo umoristico, ove sempre prevalgono garbo, leggerezza, cultura e sorriso (per quanto abbastanza noir e criminali). Ottimo sempre un rum agricolo, ma qui è il moscato a essere importante. In cuffia s’ascolta gran musica degli anni ’70 (dai Genesis in avanti), provar non nuoce.
Le piante di Darwin e i topi di Leopardi – Antonella Anedda
Interlinea Novara 2022
Pag. 297 euro 20
Inghilterra e Italia. Seconda metà del Settecento fin oltre la prima metà dell’Ottocento. Esiste una vicinanza non fisica bensì motivatamente scientifica e letteraria tra l’atteggiamento antiantropocentrico verso il mondo dell’inglese, giramondo in gioventù, malato ben prima della vecchiaia, Charles Darwin (1809 – 1882) e quello (precedente) dell’italiano, girovago dopo la “gabbia” recanatese, malato dalla nascita e costantemente, Giacomo Leopardi (1898 – 1837). Non pochi lo hanno già colto e forse può essere meglio spiegato come una triangolazione: Charles aveva il nonno Erasmus (1731 – 1802), medico inventore botanico, mai incontrato personalmente, il quale scrisse opere di idee progressiste protoevoluzioniste, che Giacomo aveva nella biblioteca paterna e comunque lesse o discusse (pure a Pisa e Napoli, probabilmente). L’amore per la scienza, la prospettiva antifinalistica, il distacco da una concezione di disegno provvidenziale, il rifiuto dell’arroganza e del trionfalismo, il peso dell’abitudine, il contributo del piacere, la possibilità di trasformarsi proprio nell’errore, una certa insensibilità verso sé stessi e il ripensamento del nostro insufficiente io, la riflessione sulla social catena, la compassione come opzione potenzialmente evolutiva, le conseguenze etiche contro la schiavitù e la sopraffazione, sono le terre contigue in cui questi tre straordinari autori sapiens si incontrano. Il loro sguardo sul mondo (talora censurato, incompreso, male interpretato e vilipeso), le loro riflessioni su piante e animali, il loro rivoluzionario meditato innovativo linguaggio, ridimensionano culturalmente e poeticamente la presenza e il volere degli esseri umani. In modi diversi Leopardi e Darwin metabolizzano le idee di Erasmus, occorre mappare bene passi e fonti, testi e rimandi, letterature e traduzioni, discendenze e genealogie, eredità incerte e convergenze evolutive.
Magnifico libro della bravissima poetessa scientifica Antonella Anedda-Angioy (Roma, 1955), di famiglia sardo corsa, laureata in Storia dell’arte moderna, affermata autrice lirica contemporanea (la prima raccolta uscì nel 1989). Il volume è il frutto di un’accurata ricerca filologica comparata discussa a Oxford nel 2010, rielaborata con stile e metodo fino al 2022 fra La Maddalena e Roma, attraverso molte altre verifiche e visite mirate. Lo spiega in esergo: “Questo libro è il racconto di un’indagine. Parla di bestie, di piante e di tre autori: Giacomo Leopardi, Erasmus Darwin e suo nipote Charles. A monte ci sono molti viaggi, un’altra lingua e una serie di studi scientifici che credo siano confluiti obliquamente in altre scritture, prima tra tutte la poesia. Come scrive Osip Mandel’stam: leggere i naturalisti può spalancare nella nostra vita una radura”. I capitoli sono cinque, il primo è introduttivo: sintonie, diffrazioni, costellazioni (tralasciamo qui il significativo utilizzo dei punti e delle virgole), ben accennata anche la Serendipity, in modo pertinente ma precedente rispetto ai volumi su Imperfezione (2019), Finitudine (2020) e Serendipità (2021) di Telmo Pievani, pur più volte citato (la bibliografia risente della lunga stesura). Protagonista del secondo è Erasmus, un nonno lunatico, i suoi amici (i Lunar Men, imprenditori, industriali, medici non oziosi, geniali eccentrici anticonformisti) e i suoi nemici antilucreziani e antigiacobini. Il terzo capitolo è dedicato al ruolo delle bestie (vermi, topi, asini, cani e soprattutto uccelli) nelle opere di Giacomo, la solidarietà fra animali come fondamento di ogni garanzia etica. Il quarto capitolo costituisce uno spazio importante e assestante dedicato ai Paralipomeni della Batracomiomachia, capolavoro di sublime ironia, poema interrotto di uno sguardo animale, preludio necessario per arrivare alla Ginestra. Il quinto e ultimo capitolo riattraversa la relazione tra piante e pietre, la presenza degli gnomi, la passione geologica che i tre condividono (in più punti sono richiamati Vesuvio e Tambora, ovviamente). L’anno di morte di Leopardi coincide con la spedizione di Darwin sul Beagle, lì inizia un’altra storia scientifica e letteraria (l’entrata in campo della selezione naturale), è bene ripeterlo. Segnalo la miglior guida alla Biblioteca di Casa Leopardi, a pag. 46.
Stella di mare – Piergiorgio Pulixi
Rizzoli Milano 2023
Pag. 425 euro 17
Cagliari (soprattutto) e Milano. Autunno 2022. Maristella Coga ha appena compiuto 17 anni, volto ben cesellato, pelle luminosa e lentigginosa, fisico slanciato, sguardo ammaliante, sorriso malizioso: è una bellezza! Da quando aveva compiuto nove anni, le dichiarazioni d’amore si erano sprecate; a dodici, tutto il quartiere Sant’Elia sapeva chi era e in quale palazzo viveva; a tredici, maschi giovani e vecchi la bramavano, molte la invidiavano; a quattordici, era fiorita in tutto il suo sfolgorante splendore. Ora è donna fatta, intelligente e autonoma, magnifica e ribelle, pur cresciuta in un habitat altamente criminale e precario: saggia scafata nonna di riferimento, padre denunciato per abusi sessuali, madre odiosa e assente, un fratello maggiore (25 anni) in carcere per traffico di droga, un fratellino minore (10) con deficit intellettivo. Stella ha avuto tre denunce per furto, va comunque a scuola, fa uso di sostanze, è “fidanzata” col giovane boss del locale mercato degli stupefacenti, Samuel Bullegas (26), cova legittime ambizioni. E qualcuno d’improvviso la uccide, sfregiandone e deturpandone poi sanguinosamente il viso e il corpo. I colpevoli possono essere tanti, non potrà che scatenarsi una ridda di brutalità e omicidi. Le tre colleghe della Squadra mobile di Cagliari se ne rendono ben presto conto: l’elegante esperta ispettrice Mara Pittbull Rais, aspra e pragmatica; la sdrucita Eva Croce, pacata e sensitiva, rossa di capelli e milanese d’esperienza; l’amazzone bionda fiorentina Clara Pontecorvo, altissima (1,98) e possente, gran mira da tiratrice e a fine tirocinio, spesso su Tinder. Tante strade mostrano turpi sviluppi. Per le questioni di narcotraffico ci sono di mezzo i cugini Carabinieri, pure il bel furbo Mirko Capasso. Anche l’affascinante pluridecorato vicequestore meticcio 48enne Vito Strega, di nuovo colpito dalle voci, parte da Milano e le raggiunge in Sardegna, sarà della mortale partita.
L’autore e sceneggiatore Piergiorgio Pulixi (Cagliari, 1982) si è affermato con acume e coraggio come uno dei più bravi scrittori italiani sulla scena letteraria europea. Dopo aver partecipato giovanissimo al Collettivo Sabot (animato da Massimo Carlotto), dopo la tumultuosa quadrilogia sul corrotto Mazzeo (nel nordest), dopo altre apprezzate prove hard-boiled, spy-story, giallo, noir e thriller, ambientate a Milano e nella ricca Lombardia, è infine tornato con straordinaria efficacia nella natia mitica Sardegna e ha vinto il Premio Scerbanenco 2019 con “L’isola delle anime”. Riprende qui le stesse solitarie protagoniste (frequenti i riferimenti ai casi passati che le hanno rese famose insieme a Strega), la narrazione è molto frammentata attraverso circa 120 brevi capitoli, in terza varia sui due differenti campi di battaglia, i poliziotti più o meno alleati, i famigli buoni e cattivi. Tutto ruota intorno alla ragazza assassinata, vissuta in modo diverso da ognuno che l’aveva frequentata. Maristella o Stella di mare o Stella Maris o stella di periferia (da cui titoli e titoletti) è morta durante una mareggiata di maestrale (“Malu’entu”), potrà portare via la sua anima solo lo scirocco (“bentu de soli, bentu de beridadi”), prima o poi arriverà. Cagliari è molto ben raccontata, soprattutto il suo discusso enorme antico quartiere in cui l’avventura è ambientata, Sant’Elia. La vicenda coinvolge Milano in vario modo: scopriamo di più sulle origini delle voci che sente Strega e sul medico che lo ha segretamente in cura; lì opera la sua solita stalker, che lo pedina, gli entra in casa, gli rapisce la gatta, ne scopre i problemi psichiatrici; da lì l’amico e sodale Bepi Pavan si fa accompagnare in un rigido centro di reclusione per dimagrimenti forzati (almeno venticinque chili di sovrappeso), scofanandosi prima ogni bendidio (e mal non gliene colse). Segnalo l’uso del sacco da boxe per sviare gli scatti di rabbia o d’ira, a pag. 77, lo avevo detto. Segnalo pure l’uso frequente e scontato del pestaggio in vari gruppi sociali, spacciatori familiari carabinieri. Non pochi liquori e vini, ombre a Venezia. Molteplici anche i gusti musicali, a seconda delle generazioni; comunque Strega preferisce motivatamente il jazz.