Piscinine, 1902
Ieri era il primo maggio ma i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici erano, almeno in Italia, del tutto fuori scena. Così per ricordare di cosa si dovrebbe parlare, ecco una storia italiana del 1902. Uscirà sul prossimo numero della rivista “Come solidarietà“, rivista di strada diffusa soprattutto a Milano, dunque il posto e il modo giusto per ricordare le “piscinine”. (db)Nel 1902 il «Corriere della sera» esce il pomeriggio – con doppia data – a 4 pagine oppure a 6. Le pubblicità di giugno parlano di sciroppi, cure contro l’epilessia ,annunci alle «brave signore» contro le tarme, prodotti anti-canizie, opportunità per avere «il bagno a dondolo in casa». Quel mese di giugno sulle prime pagine ci sono la pace anglo-boera, la crisi argentina e un po’ di politica italiana (perlopiù indecifrabile con gli occhi di oggi). Nelle pagine interne il processo al brigante Musolino e molti scioperi (a Milano quello dei tranvieri). Il 20-21 giugno una corrispondenza sulla lotta dei minatori negli Usa. Gli articoli sono di solito senza firma (a parte Luigi Barzini e simili).
La storia delle piscinine di Milano che ho ricostruito – grazie alle indicazioni di un’amica (che citerò più avanti) – inizia sul «Corriere» nell’edizione del 24 giugno con queste parole: «La notizia che si dava quasi come uno scherzo è la cosa più seria del mondo. Lo sciopero delle piscinine che, per chi lo ignora, sono quelle ragazzine che imparano il mestiere della sarta, della modista, della lavorante in biancheria e della stiratrice».
«Le piccole scioperanti» – scrive il «Corriere della sera» il 24 – «hanno eletto una commissione di 7 compagne, incaricate di trattare con le sarte-maestre». Si fa sul serio registrano con stupore i giornalisti ma anche i sindacalisti colti, a quanto pare, di sorpresa dallo sciopero “bambino”.
Il giornale milanese più legato alla destra, «L’alba», si muove fra poesia (dell’infanzia), preoccupazione politica e presa in giro. Però se dietro i “toni” di scherno e i commenti dei giornalisti si cercano i fatti, risulta evidente che c’è poco da ridere. Questa, a esempio, è la cronaca su «L’alba» del 24.
«Ad un tratto le piscinine vedono sulla piattaforma di un tram due loro compagne con l’enorme scatolone e in un batter d’occhio il nugolo delle dimostranti si riversa come un’ondata sui binari contro il tram e un grido solo, unanime, irrompe da quei petti come il fischio di una tempesta tra sartìe di un bastimento: “giù! giù! abbasso le crumire! sciopero! sciopero”. Il conducente è costretto a fermare la vettura per evitare disgrazie e mentre il grosso del piccolo esercito strategicamente sta fermo davanti al tram perchè non si muova, le più coraggiose salgono sul predellino, irrompono nella carrozza e un po’ per amore, un po’ per forza, traggono a terra le piccole compagne allibite per l’improvviso assalto». E ancora: «Il corteo delle piccole scioperanti si avvia alla Camera del lavoro. Ogni sciopero come si deve ha l’obbligo di passare per quella trafila. Il battesimo del fuoco sarà qui: alla Camera del lavoro le piscinine sentiranno di potersi chiamare lavoratrici davvero, di poter parlare con serietà di diritti e di minimi di salario». Il cronista annotta che «chi meglio delle altre sa esporre le proprie ragioni» (in assemblea, davanti al sindacalista) «è la Giovannina, una “piscinina” di 13 anni».
E sul «Corriere» di quel giorno si legge: «una maestra che incontrando le scioperanti si era permessa di deriderle fu oggetto di urla e invettive. Fischiata e apostrofata di santa ragione fu costretta ad allontanarsi». E ancora: «La grande aula della Camera del lavoro, invecchiata tra le adunanze di tutti i generi, non ricorda certo di aver mai visto tra le sue pareti nulla di simile a quanto si è svolto ieri. Una nidiata di bambine attorno ai 10 anni, saranno state circa 300, sedute in buon ordine contornavano il palco (…) Alla folla scura dei lavoratori, così spesso agitata dal soffio delle passioni, era succeduta una variopinta adunanza di bimbe ciarliere e spensierate, la più grande delle quali non aveva 12 anni ».
Sul «Corriere della sera», edizione del 25-26, però si strepita contro le ragazzate. «Anche oggi si sono rinnovate le brutte monellerie delle piscinine in sciopero. In piazza santa Redegonda una piscinina che portava tanto di scatolone fu circondata dalle compagne che volevano condurla alla Camera del lavoro». E il giornalista parla di una iniziativa che si spiega solo con «il colmo della mania scioperatrice che domina Milano». Nel raccontare l’assemblea si evidenzia l’incomprensione (almeno iniziale) fra il sindacalista Scaramuccia – «se le vostre mamme sapessero che state per le strade» – e le ragazze che rispondono: «se stiamo a casa allora è inutile lo sciopero». Chi insegna a chi?
Così invece «L’osservatore cattolico» del 25: «L’accoglienza della popolazione fu piena di curiosità divertita. L’unica nota stonata ci apparve il linguaggio di alcune fra le piccole scioperanti, più degno di frequentatori di bettole che di fanciulline». Va sul pesante «L’alba» (nei giorni successivi scriverà di peggio): «Qualcuno suggerisce come rimedio quattro pompieri con relative pompe in piazza Camposanto: per certi bollori non c’è niente di meglio che una buona cura idroterapica. Altri auspicano un provvidenziale intervento delle savie mamme con una buona correzione “a posteriori”».
Il terzo giorno di sciopero, il 26, si arriva a varare la piattaforma in 7 punti. Ecco il comunicato, firmato da Scaramuccia (il segretario della Camera del lavoro) come appare sull’Agenzia Stefani,
«Le piscinine (…) hannol formulato i loro desideri alla Camera del lavoro.
1- minimo di paga giornaliera cent. 50
2- dieci ore di lavoro al giorno e un’ora di intervallo per la colazione
3 – pagamento delle ore fatte in più dell’orario
4 – abolizione dei servizi domestici
5 – paga settimanale
6 – il lavoro domenicale rettribuito con il 100% di aumento
7 – riduzione dello scatolone in modo che le bambine fino a nove anni non portino un peso superiore a 4 kg e fino a 12 anni non superiore a 10 kg».
Ecco la sostanza. I giornalisti notano il «cinguettio» o il linguaggio poco adatto alle fanciulle. Ma qui ci sono bambine sfruttate: 10 ore al giorno di lavoro sono un diritto ancora da conquistare anche per i minori.
Intanto il «Corriere della sera» ha scelto da che parte stare e quel giorno riporta i commenti delle povere sarte, scandalizzate per l’ingratitudine delle bambine: «Esse vengono da noi che non solo non sanno nulla ma altresì così bambine che dobbiamo custodirle come fossero figlie nostre. Di esse non ci si può fidare». Quel giorno davanti al negozio Bocconi – riporta il «Corriere» – «le scioperanti vennero alle mani con le presunte crumire».
Il 27 giugno «L’alba» parla di «patologia»: «si ha un bel dire che le piscinine hanno ragione, è il modo che offende. Il modo brusco, brutale, affatto in contraddizione con la cara intimità dell’infanzia in generale e dell’infanzia femminile in ispecie. Quelle bimbe undicenni, figlie del marciapiede, vocianti i loro diritti nelle piazze, destano uno stupore disgustoso. C’è della contaminazione in tutto questo».
Il 28-29 c’è poco ma spicca la copertina della «Domenica del corriere». Il giorno dopo poche righe per dire che «i passanti si divertono» con le piscinine ma a legger bene si capisce che le sartorie cedono: «quasi tutte accettano le richieste delle piscinine (…) lo sciopero volge così verso la fine». E più nulla.
Però a Milano proseguono gli scioperi – anche quelli dei minori – e infatti su «L’Alba» del 28 giugno si legge: «Non è ancora finito lo sciopero delle piscinine che comincia già un altro. Pare proprio che il male sia epidemico. Adesso è la vola dei ragazzi, quelli addetti allo stabilimento Bertarelli di arredi e oggetti sacri in via Santa Barbara 18». Il 30 è il «Corriere» a parlare dello «sciopero generale dei garzoni appartenenti a tutte le industrie (…) Si tratta di 5-6 mila ragazzi la cui età raggiunge raramente i 14 anni».
Sulle piscinine non si legge altro.
Una storia del tutto dimenticata. E sicuramente non per caso.
E’ sintomatica anche la vicenda dell’amica, Virginia Onorato, che me ne ha dato notizia. Infatti è una regista che ha lavorato per il cinema e per la Rai: sulle piscinine scrisse un “trattamento” per un telefilm ma trovò tutte le porte chiuse.
Così andava – e va – l’informazione sui diritti di chi lavora. La retorica dell’infanzia felice preferisce non vedere lo sfruttamento (o la violenza anche sessuale) contro le bambine e i bambini.
Come raccontava qualche giorno fa, su codesto blog, un articolo di Massimo Lambertini, situazioni analoghe a quella delle piscinine nel 1902 si trovano in Africa e in molte altre parti del mondo.
E in Italia? Quanto a diritti stiamo meglio del 1902 ma… I dati denunciano che un numero crescente di bambine/i lavorano, in nero e dunque fuorilegge. Probabilmente “il sommerso”, insomma quello che non si sa, è ben maggiore e va studiato in parallelo all’abbandono scolastico. Ma, con ogni evidenza, in Italia sono soprattutto ragazze/i stranieri (o figli di coppie migranti) che vengono sfruttati. E si fa finta di non vedere. E si fa finta di non vedere. E SI FA FINTA DI NON VEDERE. Forse persino quella richiesta di lavorare “solo” 10 ore al giorno per loro appare un obiettivo non troppo vicino.
Buongiorno, da tempo inseguo notizie su Giovannina Lombardi che guidò lo sciopero delle piscinine. Sono la referente milanese di Toponomastica femminile e ho chiesto all’asessore Del Corno che le venga intitolato un vialetto dei Giardini della Guastalla. Per poter concepire la targa servono dati anagrafici. Altre intitolazioni dovrebbero riguardare Lila De Nobili e Brunella Gasperini. Grazie dell’attensione.