Poesia: “Il suo nome è Muhammad Al-Zaqzoq”
Per non fermare il cuore del mondo.
di Marco Campedelli (*)
Il suo nome è Muhammad Al-Zaqzoq. È un poeta. Vive a Gaza. Questa è la storia che mi è venuta incontro.
Pane e poesia a Gaza.
Tra la guerra di missili e delle bombe Muhammad parla della guerra della fame.
Parla di fame, parla di pane. Non parla di poesia. O meglio sì, ne parla come fame, come pane. Dopo un assalto al forno del pane dice: «io ho comprato un sacco di farina saccheggiata per più del quadruplo del suo prezzo abituale, e sono tornato a casa come se stessi reggendo un tesoro inestimabile». Parla di fame, pane e felicità. Dei suoi bambini. «Dio solo sa quanto eravamo felici». I suoi bambini «esultavano, preda di quella oscura gioia nel deserto del terrore e del dolore».
Si poteva finalmente fare il pane. Per fare il pane però, una volta che i bambini l’hanno impastato con lui, con la loro madre, ci vuole un forno. Ci sono dei forni di fango delle famiglie rurali lì a Gaza. «Le donne del forno sono generose. Ti lasciano cuocere il pane. Basta portare carta, cartone per accendere il fuoco». Beh, niente di più semplice, vero? Ma non c’è carta in casa, non c’è nemmeno un pezzo di cartone.
«C’erano soltanto il miei libri», dice il poeta.
Il suo tesoro più prezioso. La fonte delle sue ricerche, i libri segnati, autografati da altri poeti, altre poete. Libri come paesaggi, “minimi e immensi”. Si può rimandare la gioia dei bambini che aspettano? In tempo di guerra e di bombe che piovono sulle case, ci sarà forse un’altra attesa?
Un’altra gioia possibile? «Ula, rivolgendomi un timido sguardo e usando tutta la delicatezza possibile, mi ha detto usiamone uno o due, quando la guerra finisce puoi sostituirli. I bambini hanno bisogno di cibo più che di letture».
Qui c’è il punto di contatto tra pane e poesia. Misterioso, inatteso, drammatico. Il nostro poeta dice: «la brutalità di quelle parole mi ha devastato (…), non mi era mai venuto in mente che mi sarei trovato a scegliere tra un libro e un pezzo di pane per i miei figli».
200 libri, una modesta biblioteca, ma preziosa, messa insieme con fatica, passione, determinazione: «la mia biblioteca era un ammasso pulsante di carne e sangue, di ricordi e di vite, di faccende sbrigate nelle strade e nei vicoli di Gaza».
Togliere un libro ad un poeta è come levargli la pelle.
«Non ho intenzione», dice il nostro poeta di Gaza, «di bruciare una singola pagina di nessun libro. Ci deve essere un’altra soluzione».
Ora siamo noi dentro questo racconto. E non possiamo più uscirne. E cerchiamo con lui la soluzione. Cosa fare? Scende in strada e si accorge che ragazzi e vecchi cercano carta come lui, ma non la trovano.
«Per un attimo mi sono domandato», dice, «se ad Hamad [la sua città] di carta ne fosse rimasta ancora, sopraffatto da un opprimente stato di disperazione mentre guardavo a destra e a sinistra e seguivo il miraggio di trovare carta. Mi ero arreso all’idea di tornare a casa, prendere due libri dagli scaffali e sacrificarli per preparare il pane per i miei bambini affamati».
Ed ecco quello che avremmo voluto fare noi a questo punto del racconto.
«Stai cercando scatole di cartone, non è vero? Ne hai? Ecco qui tre grandi pezzi di cartone. Niente è troppo prezioso per te».
Un uomo era apparso ad una porta e aveva detto quella parola che avremmo voluto dire noi. Un poeta con la sua poesia si fa pane per la città affamata. Si fa pane, con il suo corpo, con la sua parola.
Restiamo dentro questo racconto scomodo, non un romanzo ma un fatto della vita, che accade oggi mentre noi siamo qui. Che rapporto c’è tra pane e poesia? Che relazione esiste tra pane e poesia in tempo di guerra? Questa storia non ci dà una risposta. Ci fa arrivare fino al punto di giuntura delle ossa della vita e della poesia. Non ci dà soluzioni definitive, ma forse una domanda aperta, provvisoria, fragile.
Non apre un libro Muhammad, non legge una poesia davanti ai figli. Dov’è la poesia allora? Forse in quella disperazione tra dover scegliere tra poesia e pane? Mai prima di allora il nostro giovane poeta si era trovato davanti alla poesia come corpo vivente. La carne della poesia, la stessa carne dei
suoi figli.
(*) Testo e foto tratti dalla rivista “Rocca” n. 22 del 15 novembre 2024 https://rocca.cittadella.org/pane-e-poesia/
La redazione della Bottega ringrazia “cicala”, la nostra amica – libraia militante e molto altro – per la segnalazione.