Politica: salvate Mogor
di Daniela Pia
Un dialogo illuminante.
Dice Mogor Dell’Amore: «Il paradosso, sire,
è un nodo che permette a un uomo di sembrare intelligente anche mentre si lega stretto il cervello come si stringe il collo di una gallina, destinata a finire in pentola. Il significato della vita è nella morte; la ricchezza causa povertà, dell’anima; e così la violenza può diventare gentilezza, e la bruttezza bellezza, e ogni cosa il suo contrario. Questo è un vero labirinto di specchi pieno di illusioni e inversioni. Un uomo può sguazzare nei pantani del paradosso fino all’ultimo giorno della sua vita senza che gli passi per la testa un solo pensiero davvero degno di questo nome»
Risponde il principe Salim: «Voi capite che potreste morire per le parole che avete appena rivolto al re?».
Mogor: «Se in questa città io posso morire per una cosa simile, allora questa non è una città in cui valga la pena vivere. E inoltre io avevo inteso che in questa tenda a comandare era la ragione, non il re».
Risposta di Akbar il Grande, il grande grande, grande nella sua grandezza, doppiamente grande: «Signori un estraneo ci ha dato una grande lezione. Bisogna stare fuori dal cerchio per vedere che è rotondo».
Questa conversazione, tratta dal romanzo «L’incantatrice di Firenze» di Salman Rushdie, mi pare sappia ben rappresentare la diffusa sensazione di smarrimento che molti di noi vivono rispetto alle attuali tifoserie partitiche. Verso quelle frange di ultras che per blandire il potere si avvalgono anche della delegittimazione, di chi sta fuori dal cerchio, spargendo «la calunnia [che] è un venticello».
Chi sceglie di porsi fuori dai cori, inneggianti il salvatore di turno, chi osa intuire trappole e pericoli, raccontando che il re è nudo, è subito visto come il nemico: bisogna individuarlo come corpo estraneo, da isolare e deridere .
Da additare come incoerente, se non addirittura un poco demente. Queste le strategie poste in atto contro chi non si conforma. Nessun Mogor Dell’Amore di questi tempi, potrebbe avere in Italia diritto di parola né di cittadinanza.
Questa politica nostrana che si autopromuove come diversa ogni paio di mesi, utilizza le logiche collaudate di un nuovo già vecchio; stanca e, quando si traveste da sinistra, sfianca. Qui in questa tenda nella quale ci ripariamo, sempre più a fatica, a comandare è il re di turno e non la Ragione. Un imperatore che finge di vestire abiti strabilianti: «Così l’imperatore marciò alla testa del corteo, sotto il grande baldacchino, e la gente per la strada e alle finestre non faceva che dire: “Dio mio, quanto sono belli gli abiti nuovi dell’imperatore! Gli stanno proprio bene!”. Nessuno voleva confessare di non vedere niente, per paura di passare per uno stupido, o un incompetente. […] “Ma l’imperatore non ha nulla addosso” disse a un certo punto un bambino. “Santo cielo” disse il padre “Questa è la voce dell’innocenza!”».
Sì, innocenza, e coraggio. L’innocenza del bambino e il coraggio di Mogor. Ci sarà mai una politica capace di rispettare questo? Nel frattempo, racconta la favola, la sfilata si dipanava: «E l’imperatore rabbrividì, perché sapeva che avevano ragione; ma intanto pensava: “Ormai devo condurre questa parata sino alla fine” e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una coda che non c’era».
Il discorso di Daniela Pia ha, secondo me, un valore generale (universale addirittura) ma è evidente che la sua fonte di ispirazione è nel triste clima italiano dove chiunque – da Rodotà a Erri De Luca neanche a dirlo passando per i No Tav – dissenta va bollato, anzi demonizzato. Non a caso, come annota Giuseppe Faso, si usa sempre più il termine «disfattismo», tanto caro al fascismo. Ma va di moda anche «scomposto» che è il massimo dell’insensatezza ma piace molto a «La repubblica» che – di nuovo cito Faso – «negli ultimi anni ha contribuito alla messa in circolo di alcune parole di plastica pigliatutto: decoro, degrado, etc». Se volete leggere le considerazioni di Faso le trovate qui: http://www.cronachediordinariorazzismo.org/2014/04/ibridi-scomposti/
Come mai l’articolo di Faso esce in una newsletter che si occupa di «ordinario razzismo»? Perché il meccanismo è quello: noi contro i mostri.
Mentre di giorno in giorno fa propri i valori, il linguaggio, l’ignoranza della destra, ogni tanto «La repubblica» offre come inserto, gadget o supplemento qualche testo di valore. E’ il caso de «iLibra» (a 5,90 euri) pubblicati da Laterza, alcuni dei quali davvero molto belli. Questa settimana a esempio in edicola c’è «Il demone della paura» di Zygmunt Bauman, una cinquantina di pagine chiarissime quanto invece è confusa l’appendice la «Cronistoria delle paure» che infatti… riprende la titolazione e lo stile di «Repubblica». Se in un giorno di noia o di vago malessere i giornalisti di «Repubblica» meditassero su quanto scrive Bauman – in particolare nel capitolo intitolato «I diritti come antidoto alla paura» – rischierebbero di trovarsi un pochino a sinistra, una prospettiva che (secondo il loro punto di vista) è il peggio del peggio. Perciò avanti così: abbasso i diritti, viva la compostezza e disfattista chi non ci sta.
Sì. Però in amicizia voglio dire che ‘Diritti !’ non basta. È da 2 secoli oppure forse 2 millenni che gridiamo ‘Diritti !’ E i doveri ? Il diritto alla mobilità sociale, ovvero il diritto di avere delle opportunità nella vita per avvicinarsi alla felicità, qualunque cosa la felicità sia, è anche il dovere, da parte di altre e altri, di offrire mobilità sociale e opportunità. Vogliamo ! Sì. Vogliamo. Dobbiamo, anche. Quindi, proviamo. Soluzioni ! Poi ovviamente mi aspetto la lapidazione da parte dell’ortodossia quando scrivo così. No, il problema è che troppi tra noi animali siamo soltanto interessati al potere, schegge, frammenti oppure interi bastimenti. ‘Animal Farm‘ basta per farsi un’idea. Diversità, mobilità, opportunità, esperimenti, pratica, soluzioni ! Questo è quello che io voglio urlare.