Pollicino nel bosco e una droga di Stato
di Daniela Pia
Me ne andavo ieri, il sole appena sorto, mezzo addormentata, verso la salita che mi porta fra i campi. Mi trascinava l’entusiasmo di Bianca, pastore maremmano che
mi ha adottato. Le nostre conversazioni mattutine sono condivise, mio malgrado, dagli ultimi abitanti del quartiere, quasi campagna. Lo sguardo spaziava e il silenzio non era. Era frullio d’ ali che si svegliavano e si stiravano. Tubare di tortore, crocchiare di paglia superstite al grano dopo la messe. Suoni, silenzio e pensieri.
Annusavo l’ odore che esalava da terra, dai fichi marcescenti; sondavo fra i rami se ancora alcuno vi fosse a dissetarmi la strada. Nuvole all’orizzonte di un luglio in divenire. Vento di mare, non amico.
A un tratto ho intuito che un triste Pollicino moderno aveva calpestato quella stessa strada, forse la notte appena trascorsa, trasportato da pneumatici lisci o magari da sogni nati già morti. Un Pollicino illusosi, al bar, mentre trepidante acquistava quindici biglietti che ha grattato, senza aver vinto.
Quindici da cinque euro l’uno. Illuso di farsi miliardario. Ha percorso la strada sterrata, lo/la speranzoso/a lasciando ogni 20 metri una traccia inquinante, non una pietrolina bianca, che indicasse il ritorno: tagliandi di quadrati argentati, graffiati avidamente, a rivelare numeretti ingannevoli, deludenti, spenti. Coriandoli di carta a indicare un non-ritorno. Settantacinque euro di carta straccia. Settantacinque euro di una droga di Stato, venduta legalmente. Che distruggono donne, uomini, famiglie. Li ho raccolti, uno a uno, per poter ritornare. Li ho sottratti alla ghiaia, marchiata dall’urina del cane. Li ho trattati da rifiuti speciali: merda disumana, disanimale, a bruciare. A bruciare.
Daniela, mi è piaciuto tanto!