Femminismo “ladino”: por la libertad
Maria Galindo, Mujeres Creando e il femminismo boliviano
di Maria Teresa Messidoro (*)
Maria Galindo non è mai stata una persona facile da definire e comprendere: boliviana, quasi sessantenne, pensatrice, scrittrice e cofondatrice dell’Associazione Mujeres creando, anarco-femminista, orgogliosamente lesbica, attivista nel campo del “de-patriarcare” la società e contro i femminicidi impuniti, non rientra certo in schemi predefiniti ordinari.
(vedere a questo proposito l’articolo apparso in Bottega https://www.labottegadelbarbieri.org/scuotere-e-ripensare-il-femminismo/)
Dopo il colpo di stato contro Evo Morales, in Bolivia, consumatosi lo scorso novembre, Maria Galindo ed il Collettivo Mujeres Creando, hanno assunto una posizione molto chiara, senza esitazioni. Sul giornale Pagina 7, lei scrive: “Fernando Camacho (politico rappresentante dell’aera golpista) e Evo Morales sono complementari. Entrambi si ergono come unici rappresentanti del popolo. Entrambi odiano le libertà delle donne e delle dissidenze sessuali. Entrambi sono omofobi e razzisti, entrambi usano il conflitto a proprio vantaggio”. Ed aggiunge: “Esigiamo la convocazione di nuove elezioni con altre regole, dove tutta la società sia coinvolta, perché nessun@ abbia più bisogno di un partito politico per poter essere ascoltat@ e per poter effettivamente esercitare il diritto di essere rappresentat@”.
(leggere a questo proposito un interessante articolo di Raúl Zibechi, un articolo che ha fatto discutere per la sua posizione non allineata sui fatti boliviani dello scorso novembre https://desinformemonos.org/bolivia-un-levantamiento-popular-aprovechado-por-la-ultraderecha/).
Nono sono mai mancate critiche alla Galindo dallo stesso movimento femminista boliviano, quando ad esempio i gruppi Pan y Rosas y CuñaMbarete, l’hanno accusata più volte di autoproclamarsi come l’unica autentica portavoce del femminismo del paese.
Ma ciò che è successo a fine gennaio inizio febbraio è gravissimo dal punto di vista della libertà di espressione, al di là delle singole opinioni su ciò che Maria Galindo sostiene e scrive. E’ successo infatti che in quello che sarà poi l’ultimo articolo di Galindo su Pagina 7, lei attacca senza mezzi termini l’attuale presidente boliviana Jeanine Áñez. Galindo denuncia il clima creato dal nuovo governo, secondo lei illegittimo, che accusa di sedizione chiunque non sia d’accordo con le sue politiche, chi pretende di protestare, chi, afferma Galindo, pensa che sia “sedizioso” proprio il governo attuale. Autodefinendosi “seductoramente sediciosa”, cioè seducente sediziosa, una persona assetata di essere sediziosa, quasi irriverentemente (“burlonamente”) sediziosa, analizza con lucidità questo governo, che incarna perfettamente un nuovo modello dispotico e quasi dittatoriale.
L’articolo completo di Maria Galindo si trova qui
https://www.paginasiete.bo/opinion/maria-galindo/2020/1/22/seductoramente-sediciosa-244178.html)
Come affermano Raquiél Gutiérrez e Raúl Zibechi, in un articolo apparso sul sito Desinformemonos all’inizio di febbraio, Maria Galindo è stata “utile” e ben accetta sulle colonne del giornale quando criticava il governo MAS di Morales, ma rifiutata ed allontanata quando ha messo a nudo le relazioni di Áñez con i pezzi recalcitranti della destra agroindustriale boliviana. Solo in questo modo si può spiegare la censura applicata nei confronti della scrittrice, liquidata con un commento lapidario sullo stesso giornale: in un momento di crisi profonda della situazione del paese, in vista delle prossime elezioni, che si terranno a maggio, cercare di limitare la libertà di partecipazione, anche solo attraverso degli articoli, è molto preoccupante.
Pensando alle armi in mano di chi da sempre vuole controllare il potere, le classi dominanti boliviane, che non vogliono rinunciare minimamente alla propria egemonia.
(qui l’articolo di Gutiérrez e Zibechi
https://desinformemonos.org/por-la-libertad-contra-la-censura-a-maria-galindo/)
e qui la presa di posizione ufficiale della direttrice di Pagina 7, Isabel Mercado, https://www.paginasiete.bo/opinion/maria-galindo/2020/1/30/de-columnas-libertades-responsabilidades-244991.html)
Negli stessi giorni, sempre in America Latina, ma in un altro paese, il Cile, dove la ribellione popolare e la conseguente brutale repressione non cessano (anche se non fanno più notizia) esce sul sito Derechos digitales una petizione contro la vigilanza di massa. Derechos Digitales è una organizzazione indipendente e totalmente autogestita che da quasi quindici anni si pone come obiettivo lo sviluppo, la difesa e la promozione dei diritti umani nel contesto digitale. Il lavoro di questa organizzazione, che parte dal Cile ma mantiene una prospettiva latinoamericana, si concentra soprattutto sulla libertà di espressione, la problematica della privacy e dei dati personali, i diritti d’autore e la possibilità di accesso alle conoscenze in tutti i campi.
In un articolo apparso sul sito il primo febbraio si denuncia il tentativo dello Stato cileno di introdurre tecnologie di vigilanza di massa e riconoscimento facciale in spazi pubblici, ufficialmente come campagna “Calle segura”, strade sicure. In un particolare momento politico, dopo mesi della rivolta sociale più importante vissuta in Cile da almeno trent’anni, in uno scenario in cui almeno tre organizzazioni internazionali hanno constatato la persistenza di gravissime e generalizzate violazioni dei diritti umani, il significato di tale campagna è fin troppo evidente. Come potranno i cileni continuare a manifestare con tranquillità e libertà sapendo che i propri visi possono essere identificati in ogni momento, mentre i propri comportamenti potranno essere analizzati e utilizzati dallo stesso governo che li reprime? La risposta è ovvia.
Per questo Derechos Digitales invita tutt@ ad inviare una formale protesta alla Subsecretaría de Prevención del Delito, esigendo trasparenza, nel rispetto di quei diritti umani che hanno spinto intere generazioni cilene a scendere in piazza da novembre dell’anno passato.
Per esigere dunque che la dignidad se haga costumbre, la dignità diventi un costume.
Con il rispetto della libertà di partecipazione ed espressione, in Bolivia e in Cile.
E in qualunque parte del mondo.
(*) vicepresidente Associazione Lisangà – Culture in movimento