Poveri senza sostegno dopo la fine del reddito di cittadinanza

di Alessandro Canella (*)

Dalla cancellazione del reddito di cittadinanza all’erogazione dell’assegno di inclusione sono passati molti mesi in cui le persone povere sono state lasciate nel guado, senza forme nazionali di sostegno.
È quanto emerge dall’inchiesta di Piazza Grande, il giornale dell’omonima realtà che si occupa di persone senza dimora, che raccoglie alcune storie di ex beneficiari della misura introdotta dal governo Conte e cancellata dal governo Meloni.

Il guado in cui sono stati lasciati i poveri dopo la fine del reddito di cittadinanza

Il guado che racconta Piazza Grande nell’ultimo numero del giornale «è creato da una mancanza di informazioni, da risposte incomplete, da tempi lunghi e mesi senza ricevere alcun sostegno economico, pur avendo diritto a ricevere il nuovo Assegno di inclusione (ADI), che ha sostituito il più noto reddito di cittadinanza», spiega il giornale. E le conseguenze sono state pesanti per chi, grazie al reddito di cittadinanza, aveva iniziato un percorso verso l’autonomia, facendosi intestare le utenze delle case o aumentando le quote di affitto a suo carico se inserite in progetti sociali.

«Ci sono persone che hanno dovuto tornare alle mense o rivolgersi alle parrocchie per avere vestiti, mentre altre sono tornate a rovistare nei cassonetti per cercare qualcosa da rivendere», racconta ai nostri microfoni Andrea Giagnorio, direttore editoriale di Piazza Grande.
Il tutto per una scelta ideologica e scientemente pensata dal governo Meloni che non ha voluto concedere un periodo di transizione per accompagnare le persone dal reddito di cittadinanza alla nuova forma di sostegno.

Il problema che ha portato per cinque mesi le persone a non percepire alcuna forma di reddito sono principalmente due. La prima è una finestra di appena 12 giorni di tempo tra l’ultimo bonifico del reddito di cittadinanza e la presentazione delle domande per l’assegno di inclusione. Un lasso di tempo strettissimo, oltretutto a dicembre, mese in cui ci sono le feste natalizie, nel quale le persone dovevano raccogliere la nuova documentazione richiesta, presentare la domanda con una burocrazia e moduli che sono cambiati e vedersela accettare.

Il secondo elemento critico è rappresentato proprio dai nuovi requisiti, più stringenti, per l’accesso al nuovo sussidio. «Non bastano più i parametri reddituali e patrimoniali – spiega Giagnorio – ma per ricevere l’assegno di inclusione serve avere anche un anziano o un minore a carico o avere nel proprio nucleo famigliare un adulto con disabilità o svantaggio sociale».
Il problema, però, è che la normativa ha introdotto il criterio della certificazione di questi requisiti, che né i destinatari, né caf, patronati o servizi sociali dei Comuni sapevano come svolgere.

Per alcune persone l’Inps ha sbloccato le domande solo negli ultimi giorni, mentre altre si trovano ancora nel guado.
Di fronte all’assenza di risorse per poter campare, alcune persone hanno dovuto anche accettare di lavorare in nero, dal momento che nessuno le voleva assumere.
Una fotografia che diverge non poco dalla retorica utilizzata dal governo Meloni contro il reddito di cittadinanza, che ha presentato l’ADI come una misura per chi «ne ha davvero bisogno e non per chi potrebbe lavorare e preferisce stare sul divano».
Per leggere l’inchiesta completa e acquistare l’ultimo numero di Piazza Grande è possibile scrivere a: redazione@piazzagrande.it.

Ascolta qui l’intervista ad Andrea Giagnorio.

(*) Tratto da Radio Città Fujiko.
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alexik

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