Presidenziali Venezuela: inarrestabile Chávez
di David Lifodi*
Hugo Chávez ha ragione da vendere quando, a successo ormai acquisito, si affaccia dal balcone del palazzo presidenziale di Miraflores per dire che a vincere è stata l’intera America Latina. Il suo 54%, contro il 45% a cui si è fermato lo sfidante Henrique Capriles, lo conferma per altri sei anni alla guida del paese: per il presidente bolivariano si tratta del quarto mandato dal 1998 e della quattordicesima vittoria elettorale su quindici elezioni, se ci vogliamo aggiungere il referendum per la modifica della Costituzione perso per un soffio nel 2007. Dunque, Chávez governerà fino al 2019.
Quasi un continente intero ha salutato la vittoria chavista: in caso di sconfitta avrebbero subito un duro colpo tutti gli organismi integrazionisti latinoamericani di cui il presidente è stato il principale promotore, dall’Alba (la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) ad Unasur (Unión de Naciones Suramericanas) passando per la neonata Celac (la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños) ed il Mercosur (il mercato comune dell’America Latina, a cui il Venezuela aveva appena aderito), così come sarebbe stato assai incerto il futuro delle misiones, i programmi sociali di cui hanno beneficiato milioni di venezuelani indigenti. Per la Mesa de Unidad Democratica (Mud) si tratta di un duro colpo: la coalizione che sosteneva Capriles stavolta non ha potuto aggrapparsi ad alcuna scusa e lo stesso antagonista di Chávez ne ha riconosciuto la legittimità della vittoria. Del resto, il timore di brogli elettorali era più sbandierato dalla stampa estera, compresa quella italiana, che dalla stessa opposizione. La commissione di osservatori elettorali guidata dall’ex presidente Jimmy Carter ha precisato che il sistema di voto elettronico messo a punto in Venezuela è all’avanguardia e a prova di brogli e la stessa Mud ha utilizzato questa modalità di voto in occasione delle primarie che hanno incoronato Capriles, ex governatore dello stato di Miranda, dove il chavismo non ha il favore della maggioranza della popolazione. Simili certificazioni che garantivano la democraticità del sistema elettorale venezuelano sono venute anche dall’Unione Europea e dall’Osa (l’Organizzazione degli Stati Americani). Uno schiaffo per gli stessi Stati Uniti, il cui presidente Obama aveva scelto di impegnarsi finanziariamente nella campagna elettorale di Capriles: l’opposizione avrebbe goduto di un regalo sui venti milioni di dollari. Nessuna parola, invece, dalla stessa stampa autodefinitasi democratica, sulla farsa elettorale che ha portato Enrique Peña Nieto a governare il Messico. Detto questo, vediamo quali sono le prospettive di Chávez in vista di questo nuovo mandato e quali saranno le mosse dell’opposizione. E’ innegabile che, dal 2006, quando aveva ottenuto quasi il 63% dei consensi, il numero degli elettori a sostegno del presidente bolivariano sia progressivamente diminuito, grazie anche, nel caso specifico, all’astuzia di Capriles, abile a guadagnare voti pescando nell’ampia fascia degli indecisi che, prima delle elezioni, aveva fatto temere non poco sull’eventuale riconferma di Chávez. Il candidato della Mud si è presentato con il sostegno dell’intera opposizione, ha smesso, almeno in pubblico, di utilizzare un linguaggio eversivo e ha rinunciato a sbandierare ai quattro venti i piani di golpe per rovesciare il presidente. Non solo: lo stesso Capriles, che durante i suoi primi anni di attivismo politico aveva partecipato con un ruolo di spicco all’effimero quanto pericoloso colpo di stato filo-padronale dell’aprile 2002 ed apparteneva all’ultradestra di Tradición, Familia y Propriedad , si è presentato come candidato rispettabile. Nonostante il suo principale scopo, in caso di vittoria, fosse quello di riportare al governo del paese quei potentati economici che hanno spadroneggiato fino all’era Chávez , in caso di vittoria Capriles aveva garantito il mantenimento delle misiones, si era dichiarato ammiratore di Lula (che lo ha prontamente smentito sostenendo pubblicamente il presidente), e addirittura ha scelto lo slogan “in basso a sinistra”, giocando sulla posizione del suo simbolo nella scheda elettorale. In questo gioco di spostamenti nel campo avverso (allo scopo di disorientare l’elettorato e creare volutamente confusione), Capriles si è spostato prima verso il centro e poi verso sinistra, costringendo così Chávez a rivolgersi ad una fetta di borghesia che sicuramente era orientata a votare per il candidato dell’opposizione. Inoltre, va detto che stavolta la destra non ha beneficiato solo dei voti provenienti da quella parte di venezuelani che hanno sempre odiato il presidente bolivariano, ma anche da quei ceti medi insoddisfatti per la scarsa orizzontalità all’interno del Psuv (il Partito Socialista Unificato del Venezuela) e la corruzione interna all’apparato statale di cui è responsabile principalmente la rapace boliborghesia, infine da coloro che, dopo aver beneficiato dei programmi sociali chavisti, grazie ai quali sono usciti dalla povertà, adesso non avevano alcuna necessità di confermare il voto a Chávez. La stessa Unt (Unión Nacional de Trabajadores de Venezuela), il combattivo sindacato venezuelano, ha finito per dividersi tra coloro che hanno votato per Capriles, i fedelissimi di Chávez ed un terzo blocco, per quanto minoritario, schieratosi alla sinistra del presidente con un candidato autonomo, Orlando Chirino, dichiaratosi stufo di offrire il suo appoggio critico al chavismo. Altri due fattori hanno giocato sulla diminuzione dell’elettorato favorevole a Chávez, la cui vittoria, peraltro, resta comunque indiscutibile ed ottenuta con un margine più che soddisfacente sul suo sfidante. Innanzitutto la scarsa propensione, almeno di una parte del Psuv, a riconoscere al suo interno una certa dialettica democratica, corrispondente ad una decisa accelerazione verso l’accentramento delle decisioni, da cui sono derivate alcune crepe e qualche scissione all’interno del fronte socialista. Un secondo fattore che non ha giovato al riconfermato inquilino di Miraflores ha riguardato il suo eccessivo decisionismo, per cui, in prospettiva, è forte il rischio che, dietro a Chávez non si creino dei quadri altrettanto amati dalla popolazione, o comunque in grado di prendere in mano la situazione nel caso in cui torni a farsi vivo quel tumore che è riuscito a sconfiggere grazie a due operazioni a Cuba. Eppure, nonostante fossero in molti a gustare già un tracollo di Chávez (uno su tutti l’ex guerrigliero Teodoro Petkoff, che da anni trama con la peggior destra), il presidente bolivariano è riuscito a confermarsi di nuovo a Miraflores in un contesto politico tutt’altro che favorevole e con la stampa nazionale, come sempre, in larga parte ostile. Grazie alle politiche sociali di Chávez il tasso di mortalità infantile è diminuito, la Misión Robinson ha debellato l’analfabetismo, il Venezuela vanta il miglior coefficiente Gini (l’indicatore che misura la disuguaglianza nella distribuzione del reddito) di tutto il continente latinoamericano ed il tasso di povertà nel paese si è ridotto: tra il 2002 ed il 2010, la Comisión Económica para América Latina (Cepal), stima che la povertà in Venezuela sia passata dal 48,6% al 27,8%. Inoltre, non dobbiamo dimenticare l’importanza della Misión Barrio Adentro e della Misión Milagro in ambito sanitario e dell’attenzione che il presidente ha dimostrato per quei settori strategici dell’economia finiti in mano straniera prima del suo avvento.
La limpida ed incontestabile vittoria di Chávez e del movimento bolivariano, per quanto meno ampia delle precedenti tornate elettorali, è servita sconfiggere le elites neoliberiste, i mezzi di comunicazione che hanno sempre gridato alla mancanza di democrazia in Venezuela e le ingerenze statunitensi (Obama, bontà sua, è stato costretto ad ammettere a denti stretti che Caracs non rappresenta più un pericolo), ma guai ad abbassare la guardia. Il 16 Dicembre si terranno in Venezuela le elezioni per il rinnovo dei governatori. L’opposizione, forte della sua sconfitta più che onorevole rispetto al recente passato, cercherà di guadagnare quegli stati finora in mano chavista, ed il movimento bolivariano dovrà individuare candidati della stessa statura e popolarità di Chávez se vuole evitare di concedere sogni di gloria alla destra.
* da www.peacelink.it dell’8 Ottobre 2012