Preti, pedofilia e omertà: un altro anello della…

catena che non si spezza

di «Noi siamo Chiesa» (*)

 

La vicenda di don Mauro Galli (condannato a sei anni e quattro mesi dal Tribunale penale di Milano per violenza sessuale su minore) continua: il Tribunale ecclesiastico ha emesso una sentenza di sostanziale assoluzione nel giugno 2019 che solo ora è stata comunicata alla vittima. Il testo non si può avere perché ancora coperto dal segreto pontificio. La pratica è ora alla Congregazione per la dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio). La vittima – con la sua famiglia – non ha accettato questa procedura e questa assoluzione e domenica 17 ha scritto un proprio testo per l’arcivescovo Delpini che sarà a Rozzano alla parrocchia di Sant’Angelo (dove avvenne la violenza).
“Noi Siamo Chiesa” è solidale con la vittima e condivide il lungo e appassionato impegno della famiglia nei confronti degli “imbrogli” del sistema ecclesiastico che, nonostante quello che dice papa Francesco, continua ancora a difendere in vari modi i violentatori, cattolici di serie A perché hanno la tonaca, e penalizza ed emargina le vittime, cattolici di serie B. L’arcivescovo Delpini non può stare zitto.

Milano, 17 gennaio 2021

LETTERA A MONSIGNOR DELPINI IN OCCASIONE DELLA VISITA PASTORALE IN UNA PARROCCHIA NELLA QUALE HA COPERTO UN PRETE ACCUSATO DI PEDOFILIA

Rozzano (Milano) – Parrocchia S. Angelo, 17 gennaio 2021

buonasera monsignore,

è molto difficile per noi esprimere gratitudine per questa visita. La memoria ci porta all’incontro con Lei avvenuto nell’ottobre del 2012, in presenza di Don Alberto Rivolta. Allora esprimevamo il nostro sgomento per la decisione che avevate preso in Diocesi di spostare Don Mauro Galli ancora con i minori dopo la nostra denuncia di abuso sessuale. E nemmeno dopo quell’incontro Lei ha preso l’iniziativa di avviare l’Indagine Previa per accertare i fatti… l’indagine è stata avviata nel gennaio 2015, epoca successiva alla nostra denuncia alle autorità civili. Perché? Eppure quando è stato interrogato dalla Polizia ha dichiarato di essere stato subito avvisato dal Parroco di un presunto abuso sessuale, e si è precipitato in parrocchia addirittura la vigilia di Natale del 2011. Ricorda?

Da allora ha scelto di interrompere completamente qualsiasi rapporto con noi. Qual è il nostro “torto”? Essere la famiglia di un minore violentato da un prete? Papa Francesco proclama continuamente la vicinanza della Chiesa alle vittime di pedofilia: ma quale vicinanza? Un unico incontro. Un incontro a cui ha fatto seguito il nulla. Completamente dimenticati. Anzi no. In Tribunale abbiamo avvertito la vicinanza della Diocesi attraverso la difesa del prete, contro la vittima. Triste e dolorosa realtà. Siamo una famiglia scomoda per la Chiesa, probabilmente.

Anche questa parrocchia, la parrocchia che frequentiamo fin da quando eravamo bambini, ha scelto di non affrontare il tema della pedofilia (sebbene i casi di preti pedofili che “sono passati” in questa parrocchia siano almeno 4, e non osiamo pensare quante siano le vittime!), negli anni sempre la solita metodologia: spostare il prete altrove e far tacere tutto. Ma perché? Con il trasferimento di Don Alberto Rivolta a Rho (unico sacerdote che ci è stato sempre vicino) più nessuno ha avvicinato la nostra famiglia. Addirittura il nuovo parroco, Don Roberto Soffientini, ci ha detto che siamo gente che “sputa nel piatto in cui mangia” ancora prima di conoscerci. Questa è la vicinanza? Monsignore, forse non ha mai conosciuto una vittima. Forse non ha la minima idea di come si conviva con un disturbo post traumatico. Negli anni abbiamo conosciuto tante e tante altre vittime, in tutta Italia, attraverso l’Associazione Rete L’ABUSO… e il copione è sempre lo stesso. Non abbiamo trovato una sola vittima che sia stata accolta dalla Chiesa. Violentati e allontanati. Dovremmo esserLe grati? Non riusciamo, monsignore. Sarebbe bastato mantenere i rapporti con noi, avere il coraggio di chiedere scusa, agire per affrontare seriamente questo dramma (che è profondamente e radicalmente esteso, ma Lei lo sa ben meglio di noi), e aiutare il prete a prendere coscienza del reato commesso (oltre ad essere un grave peccato, la violenza sessuale è anche un reato in Italia… ma questo evidentemente non è contemplato anche nel diritto canonico visto il risultato del processo canonico in prima istanza).

E forse, monsignore, non ha idea di quanti preti ci abbiano contattato in questi anni per esprimere la loro vicinanza a noi e la negazione di qualsiasi sentimento di stima nei Suoi confronti. Ma non possono “esporsi”, già. Anche ex-preti ci hanno contattato: preti che hanno lasciato la Chiesa anche e soprattutto per come viene gestito il dramma della pedofilia.

E la gente? In questi giorni qui Le faranno festa, una grande accoglienza. Ma ci saranno anche tanti assenti, gente che Lei non vedrà mai, che in questi giorni andrà a Messa altrove proprio per non partecipare alle celebrazioni da Lei presiedute. In tanti ci stanno scrivendo. Lo scandalo non è il fatto che avvengano gli abusi sessuali (dramma devastante per chi li subisce), lo scandalo è la gestione di tali abusi da parte della Chiesa. E per noi questa è la realtà che stiamo vivendo. Si poteva scrivere un altro pezzo di storia. Sarebbe bastato riconoscere i propri errori ed affrontarli. La Chiesa di Milano ha fatto un’altra scelta. Questa lettera verrà resa pubblica: non ha alcun senso tacere o riconoscere un dialogo personale ove non c’è mai stato.

La Verità vi farà liberi”, e non lo abbiamo detto noi…

I familiari della vittima di don Mauro Galli (condannato a 6 anni e 4 mesi in primo grado nel Tribunale di Milano, assolto in prima istanza dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo). La famiglia fa parte della parrocchia di Rozzano visitata dall’arcivescovo.

 

Ecco il testo della la lettera che la vittima ha ricevuto dal Tribunale Ecclesiastico.

TRIBUNALE ECCLESIASTICO REGIONALE LOMBARDO

piazza  Fontana 2 –  20122 Milano

Egregio signor … (abbiamo omesso il nome)

in data 14 dicembre 2020 ho ricevuto la Sua lettera del 29 novembre scorso, con la quale chiede informazioni circa il processo penale canonico relativo al sacerdote don Mauro Galli.

Ben volentieri Le offro le informazioni che sono in grado di poterLe riferire. Rispondo a Lei e non alle altre persone firmatarie della lettera in quanto è Lei la persona direttamente interessa­ta, nonché ormai maggiorenne.

Prima delle risposte vere e proprie. anche allo scopo di renderle più chiare. penso giusto fare qualche premessa.

Lei fa riferimento alla abolizione del segreto pontificio relativamente ai delitti canonici del ti­po di quello trattato nel processo concernente don Galli. Quello che Lei ricorda è certo vero. Tuttavia, occorre tener conto che tale abolizione è stata decisa da Sua Santità Francesco con una disposizione resa nota il giorno 6 dicembre 2019 e che, come tutte le diposizioni normati­ve canoniche, non ha effetto retroattivo, salvo che ciò venga espressamente disposto, come non è nel caso.

La sentenza di primo grado relativa a don Galli è stata emessa da questo tribunale – in com­ posizione collegiale e con tre giudici estranei alla diocesi di Milano – in data 24 giugno 2019, quando il segreto pontificio era ancora pienamente in vigore.

Il tribunale, emessa la decisione, ha notificato la sentenza alle parti del  processo –  che sono l’ imputato e il Promotore di giustizia (nome canonico del Pubblico ministero che sostiene l’accusa), né c’era alcuna costituzione di cosiddetta parte civile da parte Sua, come verosi­milmente fatto invece presso il tribuna le statale di Milano – e, dopo ciò, ha trasmesso gli atti del processo medesimo alla Congregazione per la Dottrina della fede, che è l’ unico tribunale di appello per tutta la Chiesa in merito ai delitti in parola.

Stante dunque, all’epoca, la vigenza del segreto pontificio, il tribunale né ha potuto dare in­ formazioni a terze persone rispetto alle parti, né rispondere ad eventuali richieste, che peraltro formalmente mai aveva ricevuto. In particolare, questo tribunale mai ha ricevuto la richiesta del Suo avvocato, alla quale Lei fa riferimento nel Suo scritto.

Successivamente – ossia il 16 luglio 2020, quindi in epoca ancor più recente rispetto alla emissione della sentenza – la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un Va­demecum, ossia una so11a di Istruzione per aiutare i Vescovi e i tribunali nello svolgimento del loro lavoro in questo tipo di cause. Intervenendo su un punto molto importante e cercando di favorire una disciplina comune su un tema così delicato l’ultimo articolo di detta Istruzione (n. 164) stabilisce quanto segue:

Fatto salvo quanto  previsto dall’Istruzione sulla  riservatezza  delle cause  del 6  dicembre 2019,  l’ autorità ecclesiastica competente (Ordinario ) informi nei dovuti modi la presunta vit­tima e l’accusato. qualora ne facciano richiesta, circa le singole fasi del procedimento, avendo cu­ ra di non rivelare notizie coperte da segreto pontificio o segreto di ufficio la cui divulgazione po­trebbe portare detrimento a terzi.

Da questo momento (luglio 2020) è dunque possibile dare informazioni. seguendo però queste regole. Tali informazioni  possono essere date:

  1. a) alla presunta vittima (non a terze persone),
  2. b) qualora questa ne faccia richiesta,
  3. c) le informazioni debbono concernere le fasi del proce­dimento senza tuttavia violare il segreto cui si fosse tenuti, in ogni caso quello d’ufficio, evitando detrimento per altre persone.

Tutto ciò premesso, passo a rispondere alle sue richieste, dividendo le risposte per punti solo allo scopo di loro maggiore chiarezza e di essere sicuro di esprimermi meglio:

  1. Le posso confermare che il processo di primo grado si è concluso in data 24 giugno 2019 con sentenza dimissoria (ossia non assolutoria piena) di don Galli.
  2. Gli atti del processo – fatte le debite notifiche alle parti (imputato e Promotore di giu­ stizia), con le precisazioni in merito illustrate sopra sono stati trasmessi alla Congregazione per la Dottrina della fede.
  3. La fase processuale attualmente in essere è quella del grado di giudizio di appello in detta sede, circa la quale non sono in possesso di alcuna informazione
  4. Non sono in grado di trasmettere (in tutto o in parte) gli atti di causa: a) sia in quanto ciò confliggerebbe con l’osservanza del segreto d”ufficio. b) sia per la semplice ragione che questo tribunale non è più nemmeno in possesso di detti atti, avendoli a suo tempo trasmessi a chi di dovere.

Sperando di aver potuto soddisfare almeno in parte la Sua richiesta (da parte mia sono consa­pevole di averLe detto tutto quanto era in mio potere comunicarLe). non mi resta che ringra­ziarLa per l’attenzione e ricambiare i Suoi cordiali saluti

Milano. 15 dicembre 2020                        mons. dott. Paolo Bianchi, vicario giudiziale

(*) Noi Siamo Chiesa è la sezione italiana del movimento progressista International Movement We Are Church, fondato nel novembre del 1996.

Cfr www.noisiamochiesa.org


LA VIGNETTA qui sopra – scelta dalla “bottega” – è di Vincenzo Apicella: vecchia ma tristemente attuale (e non solo per gli Usa).

Sulla tragedia dei preti pedofili e sull’immobilismo (a dir poco) del Vaticano la “bottega” ha ripreso – un anno fa – una documentata accusa di «Noi siamo Chiesa»; cfr Vescovi: solo parole sui preti pedofili. Sul tema vedi almeno questi altri due testi: Preti pedofili, chi in Italia non vuol vedere – con le riflessioni di Francesco Troccoli a partire da due libri di Federico Tulli – e Preti pedofili: in Italia “200 casi insabbiati” con la mappa della rete «L’abuso».

 

Redazione
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