Procurad’e moderare…

…ma anche: moderate di procurare analisi affrettate

Alcune riflessioni sul voto sardo del 25 febbraio

La vittoria di Alessandra Todde all’elezione regionale in Sardegna del 25 febbraio, ha generato considerazioni e valutazioni anche fuori Sardegna, dando al voto (in realtà più che al voto alla vittoria di Todde) delle valenze di carattere generale forse fuorvianti. Il voto ha svelato le contraddizioni della coalizione di destra e l’arroganza di Giorgia Meloni che ha scelto un candidato alla presidenza impresentabile, ma non ha chiarito come sia, debba o possa essere “l’alternativa”.

E anche il post elezioni (con l’analisi del voto isolano come test o laboratorio di alleanze fra schieramenti e partiti) rivela una sostanziale incomprensione della specificità sarda.

Biani

Lo stesso Mauro Biani ha vignettocommentato la vittoria di Alessandra Todde scomodando Michela Murgia, dimenticando che Michela Murgia nel 2014 partecipò alle elezioni con una coalizione contrapposta proprio ai due schieramenti a “direzione” italiana, come Soru e Chessa oggi. Ma qui ci interessa sottolineare un altro dato, partendo dal fatto che ha vinto Todde ma non ha vinto la coalizione di centro-sinistra; coalizione che, causa la possibilità del voto disgiunto partiti/presidente, ha preso meno voti della coalizione di centro-destra. Probabilmente avrebbe vinto se fossero stati capaci di unificare le proposte di chi è andato con Soru e con Chessa. E se le campagne elettorali non fossero il pessimo e affrettato spettacolo simile a tifo da stadio che esalta il peggio di contendenti e sostenitori. Peggio che non risparmia neppure il dopo elezioni.

Mentre sarebbe necessaria un’analisi concreta e approfondita del voto, che escluse la conferma delle tradizionali roccaforti moderate di Olbia e Oristano, ha rivelato non poche sorprese, almeno ad uno sguardo frettoloso. A cominciare dal voto massiccio per Truzzu in molte delle zone interne della Sardegna, quella della mitologica “costante resistenziale” . Su questi aspetti riprendiamo i contributi dalle pagine FB di due collaboratori della Bottega, Gian Luigi Deiana e Natalino Piras.

e.LEZIONI SARDE 1- toddeu laudamus?

di Gian Luigi Deiana

1 – rappresentare la società, o ridurla in pezzi:

viviamo in un sistema politico fondato sulla rappresentanza di aree sociali; le aree sociali sono varie e la rappresentanza deve auspicabilmente essere plurale; deve però ancor più auspicabilmente essere adeguata al suo compito, pena la totale confusione di storie, di prospettive, di interessi e di timori; quando lo stato confusionale nella società supera i limiti di guardia la rappresentanza politica si riplasma su umori individuali, su disposizioni amicali ecc., la società si trova esposta a due pessime alternative: la prima, sottrarsi al vaglio elettorale o peggio alla dimensione politica; la seconda, abbandonarsi all’abbaglio immaginifico di un faro sovrastante, ciò che usualmente chiamiamo leader;

2 – organizzare maggioranze, organizzare minoranze:

la riprova della adeguatezza dei soggetti politici, in quanto rappresentativi di aree sociali, consiste nella loro capacità di organizzare il consenso (di aree sociali ampie) come anche di organizzare il dissenso (di aree sociali minoritarie); tutte le scorciatoie sono tossiche: costruzione di leader, esasperazioni umorali, fusioni a freddo, colpi di mano opportunistici sono facce diverse della riduzione della rappresentanza a giri di giostra;

3 – il caso todde in sardegna:

il risultato delle elezioni regionali sarde è oggettivamente rilevante, non solo per la sardegna ma per il possibile impatto, psicologico e politico, che può avere sull’ondivaga e confusa scena politica italiana; la domanda obbligata è ora questa: a quale tipologia di rappresentanza risponde la risoluzione risultata vincente in sardegna, cioè l’alleanza pd-cinquestelle? si tratta di una fusione a freddo? si tratta di un ennesimo fenomeno di affidamento a una figura leader? oppure si tratta di una sorta di necessità sociologica, cioè ricostruire una minima corrispondenza tra un’area sociale genericamente popolare (molto ampia, lasciata da qualche decennio in balia di un totale disorientamento e quindi ormai quasi priva di coscienza collettiva) e una sua organica espressione politica? se il caso todde sarà in grado di rispondere a questa necessità sociologica, l’esito politico delle elezioni sarde è da salutare come assolutamente positivo: da un punto di vista di sinistra si tratterebbe cioè del soddisfacimento di una condizione comunque necessaria, per quanto insufficiente; parziale, ma presumibilmente in grado di proporre un embrione di classe dirigente non impantanata in rendite di posizione claniche o notabilari;

4 – il caso soru:

la composizione proposta da renato soru denominata “rivoluzione gentile” è sopravvenuta (salvo per la formazione indipendentista “liberu” che l’aveva regolarmente deliberata da molti mesi) in un breve volgere di giorni e quasi alla vigilia della presentazione di simboli e liste; non solo, tutti i soggetti minoritari che uno a uno vi si sono risolti, erano già da tempo ufficialmente impegnati su un progetto assolutamente diverso, cioè un progetto, appunto, di organizzazione del dissenso: cioè la formazione di una coalizione antagonista; quindi la formazione cosiddetta “rivoluzione gentile” è apparsa da subito, agli occhi di un elettorato oggettivamente strafatto e di già molto rassegnato all’astensione, una plateale fusione a freddo, viziata di sorpresa, opportunismo, illusione di successo, e visibilmente lanciata essenzialmente contro l’alleanza pd-cinquestelle; all’interno di questa opzione, per inciso, è affiorata una antitesi politica oggettiva che da anni affligge la generica sinistra e il pd in particolare: cioè l’antitesi tra renzismo e cinquestelle; il fatto che soru sia stato a suo tempo un alfiere del governatorismo a retorica renziana, come oggi lo sono personaggi come calenda o bonaccini, pone un serio problema di comprensione: come è possibile che una sinistra antagonista sposi gentilezze simili?

5 – dieci piccoli indiani, eppure rimase qualcuno (la resistenza solitaria di lucia chessa):

questo non vuole essere né un buono né un cattivo augurio per alcuno; intende però non trascurare la situazione sul campo per quanto riguarda ciò che mi sta a cuore: mi sta a cuore la necessità vitale di un soggetto politico antagonista, che abbia forza sufficiente nella rappresentanza di un’area sociale apparentemente minoritaria ma diffusa, e intelligenza sufficiente nell’ organizzazione delle sue istanze; un’area costituita da giovani precari, da studenti, da periferie, da paesi spopolati, da immigrati ecc.; ora, con quale affidabilità può essere recuperato a questo fine il naufragio della composizione allineata dietro il nome di renato soru? al di là dell’enfasi sui numeretti o della retorica cosiddetta progettuale, cosa ne resta? eppure, eppure la partita elettorale lascia sul campo un segno da cui provare a ritessere: come noto, si tratta della resistenza, coraggiosa, aperta e soprattutto davvero gentile, realizzata dal gruppo denominato “sardegna resiste”, che portava la candidatura di lucia chessa; anche questa resistenza va considerata come una condizione assolutamente insufficiente, e comunque assolutamente necessaria;

6 – cento piccoli enigmi: i paesi dell’interno marciano a destra (elementi del caso truzzu)

da La Nuova Sardegna del 27.02.2024

metà degli elettori non ha votato; metà dei votanti ha votato a destra; un quinto dei votanti ha effettuato il cosiddetto voto disgiunto, in particolare nelle città, determinando un curioso effetto incrociato: da circa cinquantamila voti dei partiti di destra si è disgiunto il voto in favore della candidata presidente del centro-sinistra, col risultato di una decisiva inversione nel confronto aritmetico tra truzzu e todde, appunto a favore di quest’ultima; la spiegazione di questo paradosso è a questo punto futile: non è per niente futile, però, la considerazione del consenso alla destra, in particolare al più importante partito di governo, da parte di paesi interni storicamente di sinistra o storicamente autonomisti: per esempio, perché centri come bitti, sorgono, o tonara, hanno dato alla destra cifre di consenso che si attestano fra il cinquanta e il sessanta per cento? perché? perché negli umori sociali, e quindi nella loro traduzione politica, il vuoto non esiste: ciò che trascura di fare la sinistra (organizzare consenso, organizzare dissenso) inevitabilmente lo fa la destra, e lo fa con straordinaria facilità e persino senza organizzazione; per questo, come che sia, l’alleanza pd-cinquestelle va considerata positivamente, e il fatto che essa abbia trovato come interprete alessandra todde può legittimamente essere inteso come un punto di possibile riapertura del dialogo politico; purtroppo, ora come ora non si può contare su niente di meglio.

e.LEZIONI SARDE 2: ANTIFAX,
SU TRINZERAMENTU NEL LAGO OMODEO
domandina delle cento pistole, o dei cento manganelli

di Gian Luigi Deiana

la domandina è semplice semplice: il risultato delle elezioni regionali sarde, un improbabile battito di farfalla assurto imprevedibilmente a valenza interplanetaria, si conta quasi sul peso di briciole: tremila voti su settecentomila o ottocentomila votanti, cioè metà di un milione e quattrocentomila elettori; un puro caso ha impedito l’inverso, una briciola di grammi di carta su un botto di tonnellate, ma l’inverso va immaginato;

l’attenzione sta andando alle città, e quindi è facile dire che truzzu ha perso a causa di cagliari; ma a sassari ha perso anche peggio e non era il sindaco di sassari; il problema è che la destra che fa sottecchi al fascio si è disseminata oggi nelle zone interne; e che quindi è qui, negli ammiccamenti dei pochi e nel vuoto delle strade, ormai pervaso di smemoratezza, superficialità esistenziale e depressione, che si è giocato quel margine fortunoso di tremila voti;

est innoghe chi amos mantesu su trinzeramentu, non sezis bois …. bois;

dunque cito prima, per dovere di cortesia, i nostri dirimpettai di resistenza del tirso di là: bottidda e burgos, esporlatu e benetutti, fino a sedilo e ottana; e sono orgoglioso come un bambino del tirso di qua: neoneli, ula, busachi, fordongianus, e tadasuni e soddì e boroneddu, e infine ARDAULI my land; qui siamo interni che più non si può, siamo l’utero che conserva le acque per i tempi di pena di tutti gli altri; non avevamo notabili e imbastitori di cordate;

ora, tutti noi che qui abbiamo votato in primo luogo contro l’espansione in atto della destra reale, evitando il gioco al suicidio, abbiamo il diritto di imporre a chi invece vi ha giocato la sua mossa di poker infatuata di sè: cosa sarebbe oggi, in questo stesso giorno, una sardegna nella quale un vessillo di vittoria del fascio ( a prescindere dal mite viso di truzzu) potesse andare in giro a vantare la vittoria per ko su tutte le aree povere dell’interno: un rosario nero da aritzo a talana, da ovodda a orune, da bitti a gavoi… ; antologie di indipendentismo, di murales, di mitologie disfatte, recuperate all’ammasso della destra, e sùbito da domani spendibili in abruzzo ad avezzano, pescasseroli e i monti della laga?

e tutto questo per impedire con ogni mezzo una alleanza elettorale tra partiti legittimamente antipatici quali pd e cinquestelle?

Gian Luigi Deiana   da qui 

 

Una riflessione sulle trasformazioni della società barbaricina in questo scritto di Natalino Piras di alcuni anni fa

Briatores*

*Questo è un pezzo di diverse estati fa. Briatore smentisce di aver detto che non sarebbe più tornato in Sardegna se avesse vinto Alessandra Todde. I fatti sotto raccontati non possono però essere smentiti. Neppure da Briatore.

Una delle estati più drammatiche degli ultimi cinquant’anni. Lo è stata. Lo è. E noi qui con Briatore, con la sua presenza e la sua ombra. Ma ne valeva la pena? A una cosa è servito: a rivelare i nostri ruoli di pastores e intellettuali. Da un lato il ribadire una storia di tempo fermo, di mentalità asservita all’assistenza. Voglia ne hai tu di programmare autonomia e cambiamento. Abbiamo nel sangue questo attendere altrui benevolenza. E quando protestiamo non è etica protestante la nostra. L’altro aspetto rivela come di fronte a contingenze scottanti i nostri opinionisti e pontificatori “opinionino”, pontifichino e tergiversino. Sempre gli stessi, che passano da una sagra, una spiaggia, una tv, da un festival all’altro. Et nos inoke. Come la pietra. Sfinges. Furbe e sempre opportuniste contestazioni di romanzieri. Oppure silenzio. Come se fossimo noi, non Briatore, a vendere l’ombra al diavolo per ricchezza, come il Peter Schlemihl di von Chamisso.

In sardo briatore significa uno che litiga. Ma pure che rampogna. Tutta terminologia impropria per l’uomo d’affari Flavio Briatore, mere, padrone del Billionaire a Porto Cervo, in Costa Smeralda. Mere in terra anzena, in terra d’altri, prinzipale di una considerevole parte della costa sarda, luogo della vacanza vip, a costi elevatissimi che la maggior parte dei sardi, sempre la solita solfa, non si possono permettere. (Da poco ci hanno pensato i russi a lasciare al Billionaire un buffo di poco meno di centomila euro, bargaminato in champagne).

A estate inoltrata, Briatore, che ebbe pendenze con la giustizia italiana, è stato invitato a pranzo dai pastori, a Bitti, in un’ azienda che fu meno di cinquant’anni fa cuile, ovile. Ho sentito qualche altra ombra, alcuni giorni fa, raccontare di nuove visite briatoriane, magari meno reclamizzate. Lo scopo dei pastores è quello di utilizzare Briatore come uomo immagine: della loro protesta per il prezzo del latte, per lo svilimento del lavoro della campagna, per essere lasciati soli a gestire un mercato per molto tempo assistito, regionalmente e istituzionalmente gestito. Una fabbrica elettorale. Una campagna che ha sfornato tanto giornalismo, tanta antropologia, innumerevole finzione. Ce chi da questo sfruttamento del noi pastori ha saputo trarre profitto senza che ai pastori questo interessasse realmente. Il termine concreto, l’unità di misura era su casu, non il libro. E adesso arriva Briatore. Anche lui si fa pastore. Crea questa apparenza che genera indignata protesta, pure giornalistiche convenzioni, slogan, ballos non serios. E, molto più pericolose, captationes di benevolenza, mascherate da distacco, da assenza di presa di posizione. Vediamo qualche dettaglio. Oltre la protesta, nei pastori c’è una logica di capitale: associare il prinzipale del Billionaire a una catena di vendita del prodotto. Da parte sua Briatore, non nuovo a sortite in terra barbarica sarda come elemosiniere, dice di essere d’accordo sulla protesta dei pastori. E gli altri? Dalla terra dei pastori arrivano attestati di stima a Briatore, di benvenuto. Non solo la gente comune ma anche uomini-simbolo della cultura e dello spettacolo, politici, intellettuali. Sembrerebbe la realizzazione di un sogno, la venuta del principe azzurro finalmente bene accolto dai notabili e dal popolo basso. Solo che Briatore non è il principe azzurro né mai pensato da parte sua, ci sembra di arguire, di diventarlo. Sempre a proposito di utilizzo merce torna in mente una cronaca di qualche anno fa quando Briatore patron della Renault andò a festeggiare in smeraldina costa la vittoria di un grand prix, in un locale che non era il Billonaire. E, dissero le cronache, non pagò il conto perché ritenuto troppo esoso. Dice un proverbio sardo: Corvu chin corvu… Sta qui il punto.

Non si vuole qui fare nessuna chiamata di correo. Chi è che non viene solleticato, nella dimensione del sogno, se uno, importante, danaroso, ti propone di sponsorizzare il tuo interesse, la tua immagine? Sta qui la domanda: da dove viene la dazione del denaro per la realizzazione del sogno? È che bisogna sfatare la dimensione di un sogno che rischia di diventare, lo è già, sonno, torpore dopo che la feria della ragione ha generato mostri. Cosa si intende per feria della ragione? È quando la vendita della propria ombra al diavolo del bisogno e del sogno della ricchezza viene sostituita dall’ombra di altri demoni: quelli delle briciole di uno spietato liberismo spacciato per pane intero nelle terre di costa smeralda. A proposito di immagine, che bisogno ha la gente del nostro spettacolo e del nostro folklore, che molto ha lavorato sul recupero della tradizione con molta fatica e rigore, di dare il benvenuto paesano a Briatore? L’ospite? La persona importante? Il diverso? Antonio Pigliaru e Michelangelo Pira avrebbero da ridire sul fatto che possa esserci solidarietà del “noi barbarico” con uno che ebbe conti da risolvere con la giustizia, dal “noi barbarico” tradizionale intesa come “altro stato”, altra nazione. Il fatto è che ha sempre ragione Machiavelli quando dice che “gli uomini dimenticano piuttosto la morte del padre, che la perdita del patrimonio”. Che patrimonio intellettuale ha da lasciarci Briatore? Anni fa lo intervistò Vittorio Zincone per “Sette” del “Corriere della sera”. A una domanda sulle ultime recenti letture, l’allora patron della Renault rispose che i libri non erano nel suo genere di interesse. Altre carte. Donne. Motori. Adesso, aggiorniamo noi per Zincone, ci mette anche casu.

Una delle estati più drammatiche. Chi sa quando e come finirà. Nel frattempo:

1) il caro prezzi ai limiti dello strozzinaggio e dell’usura ribadisce il nostro antico male: la vocazione alla bardana per la bardana e, nella modernitate, l’inadeguatezza a programmare turismo come giusta economia, come mercato equo e solidale

2) sempre male unidos, siamo briatores tra di noi, mentre Briatore Flavio e consorte presenziano, con tanto di mediatica, globale reclame (altro che a dir di Sardigna) alle nozze della figlia di Ecclestone, nella medievale Bracciano, a palazzo degli Odescalchi (dice un modo di dire sardo a indicare la noblesse e il fatto che se non c’è uno non se la può dare: Ite ti credes? Chi est de sa casa borromeana?)

3) intellettuali e scrittori: sono (siamo?) organici a questo tipo di isola, di insularità.        Natalino Piras   da qui

ilgiornale flavio-briatore-sta-i-pastori

diego-il-pastore-che-difende-briatore

 

ANSA-tre tigri contro tre tigri

Sporcarsi le scarpe di fango

di Fiorenzo Caterini

Una cosa mi ha colpito in queste ultime elezioni regionali:

la totale sconfitta del centrosinistra nei paesi, nelle zone rurali, anche in quelle realtà, come la Barbagia, o il Guspinese-Sulcis-Iglesiente, tradizionalmente favorevoli alle forze progressiste.

Le zone resistenti, insomma, quelle “rosse”, della tradizione pastorale, industriale e mineraria, sono passate al centrodestra.

Un collasso clamoroso, forse ancora poco evidenziato nella sua entità, con situazioni dove la Todde ha faticato a raggiungere il 30% per cento. Poi la Todde ha vinto come si sa grazie soprattutto alle due principali aree urbane della Regione.

Ho riflettuto, analizzato i dati e sentito un po’ di persone, per cercare di capire meglio questo fenomeno.

Intanto la prima spiegazione che mi è giunta, specie dagli osservatori vicino alla Todde che ammettevano una maggiore forza dei candidati locali del centrodestra e una loro maggiore abilità “clientelare”, non mi ha convinto del tutto. Perché il collasso del centrosinistra nei paesi è stato abbastanza generale e perché in molte realtà, dove si è verificata questa situazione, mancava il candidato locale del centrodestra. Neppure sommando le altre due liste di Soru e della Chessa, che possiamo definire di sinistra, si è riusciti a pareggiare il risultato del centrodestra, soprattutto a livello di liste.

Possiamo sicuramente annoverare la “maggiore forza dei candidati locali del centrodestra” come una concausa, ma non una causa principale.

La prima riflessione è di carattere globale. In Occidente i sovranisti, i populisti conservatori, per non dire reazionari, i destrorsi, ormai sfondano dappertutto nelle aree rurali, come ormai già da tempo sfondavano nei quartieri popolari e tra gli operai. Lo abbiamo visto con le elezioni di Trump, ad esempio, ma anche con la Brexit. Sì è completata così, negli ultimi anni, una clamorosa inversione di tendenza. Questa tendenza generale ormai consolidata, favorita dall’imperante disimpegno sociale e conseguente tramonto della funzione culturale dei partiti, non ha risparmiato anche quelle aree “resistenziali” della Sardegna, che sono anche loro capitolate alle sirene emozionali della destra.

La seconda riflessione è che, forse, la vittoria della Todde ha messo in secondo piano il fatto che la corrente, in questo momento, con la Meloni sulla cresta dell’onda, è pienamente favorevole alla destra. Sappiamo che negli ultimi anni gli italiani hanno premiato alcuni leader (Berlusconi, Renzi, Salvini, Grillo) elevandoli a quote stratosferiche per poi, nel giro di pochi anni, facendoli precipitare in basso. E in questo momento la Meloni è ancora nel suo momento topico, con una grande forza trainante nel suo elettorato.

E fin qui, ci ritroviamo di fronte ad uno scenario contestuale, che prescinde dalla situazione speciale.

Invece vorrei soffermarmi brevemente sulla terza riflessione che ho fatto, che mi sembra la più pertinente a queste elezioni regionali sarde. Essa riguarda una certo “urbanocentrismo” che sta montando sempre più nel centrosinistra odierno, a tutti i livelli, e che va persino oltre quella caratteristica, che ormai sta diventando proverbiale, cioè quella altezzosità elitaria; e il tanto discusso post sul confronto curriculare altro non fa che alimentare questa impressione. Ma oltre a questa altezzosità si sta aggiungendo, secondo me, un imborghesimento (in senso proprio, cittadino) che rende ancora più elitario il rapporto tra gruppo dirigente ed elettori. La città di per sé è il luogo che, con la sua impronta, assorbe risorse dalle campagna in un rapporto che storicamente non è ugualitario. Questo rapporto diseguale tra campagne e città accentua l’impressione che si ha del distacco e della disattenzione verso problematiche e istanze delle persone che vivono, e resistono, nei paesi. Ho sentito alcuni sindaci di sinistra, ad esempio, lamentarsi per la scarsa attenzione dedicata a loro, come se la somma di tanti piccoli paesi poi non facesse la differenza, come ha rischiato di farla.

Anche una vittoria data per sicura, quando sicura non lo era ancora, accentua l’idea che, in fin dei conti, vincere a Cagliari e a Sassari era bastante, trascurando l’esito dei paesi. Invece no, non bastava per nulla.

Per cui, se nelle prossime elezioni il centrosinistra vorrà recuperare in quelle aree, dovrà, forse, nuovamente sporcarsi le scarpe di fango.

Fiorenzo Caterini   da qui

I fratelli Sorinas, le sorelle Campolargos e la zia Vittoria 

di Enrico Euli

I fratelli Sorinas (Soru e Solinas), animati da spirito di rivalsa, si aggiravano come spettri sulle sorti delle elezioni in Sardegna.

La vendetta di Soru non è riuscita, ma per pochissimo davvero: sarebbero bastati duemila voti in più per lui ed il fantasmagorico ‘campo largo’ della Todde sarebbe già in soffitta in una notte.

Quella di Solinas, invece, ha funzionato: i sardisti-leghisti sono riusciti a far fallire Truzzu, pur votando le loro liste (che hanno preso più voti di quelle della Todde).

Si sa che Solinas è uomo di peso (e che anche Salvini si sta ingrossando alquanto).

Si sapeva che il miserando Truzzu non avrebbe trovato sostegno nella mia città, che è stato capace di devastare per anni con cantieri infiniti, assedi di quartieri interi, ingorghi automobilistici, occupazioni di suolo pubblico, ritardi ed inadempienze mai visti prima.

Ma i leghisti-sardisti hanno agito nell’ombra ed hanno vinto contro di lui e contro la Meloni, pur di manifestare il loro potere interno alla coalizione di governo. Perdendo però le elezioni.

Sì, perché le elezioni le ha perse una destra suicida e non le hanno vinte i loro avversari.

I proclami notturni di Schlein e Todde, le sorelle Campolargos, sono patetici.

Dietro il vestito niente.

La Todde è stata eletta presidente con 330.000 voti su 1.450.000 potenziali elettori (di cui è andato alle urne più o meno la metà).

E parlano di democrazia maggioritaria, di potere delle maggioranze!

Ma quali?

La fiducia sta a zero, l’astensione cresce di più punti all’anno, la disaffezione è totale.

E non mi si venga a dire che gli astensionisti sono degli irresponsabili e dei disfattisti, che non vogliono fare politica.

Sono loro, i politici, ad essersi appropriati della politica e ad averne espropriati i cittadini.

Sono loro che ne hanno fatto un loro feudo, al quale chiedono -ogni cinque anni- solo un rito di conferma da parte di chi ancora li segue.

Ma chi se ne frega se metà delle persone non vota…

L’importante è essere eletti per 2000 voti in più e poterla chiamare Vittoria.

Ah sì, dimenticavo…la zia Vittoria…

Ora si dice: l’aria è cambiata, il vento è girato, si può fare.

Vincere, anche se a culo, anche se per una volta, può dare subito alla testa.

Ma ricordiamocelo: se viviamo una vita di destra, anche quando le elezioni non le vince la destra, le vince la destra.

La Todde anela a riforme della sanità, a visioni energetiche alternative, a lotte contro la povertà organizzata, alle matite contro i manganelli. Una Cinquestelle della prima ora, a sentirla.

Ricordiamoci che fine ha fatto Di Maio.

La zia Vittoria è tornata, ma -come al solito- aiuterà solo qualcuno a sperare (e votare) ancora.

La nostra vita resta -più o meno agevolmente e serenamente- sul lato destro della strada.

Sì, proprio lì, dove gli umani non respirano ed avanzano le macchine.

Enrico Euli  da qui

Infine una analisi dal voto di un’attivista interno al “campo largo” che ha sostenuto Alessandra Todde. da qui

ELEZIONI. TRE DATI PER UNA PRIMA RIFLESSIONE.

Chi mi conosce sa che sono tra coloro, non pochissimi ma comunque troppo pochi, che cercano di basare le considerazioni politiche sul voto guardando le cifre, e naturalmente cercando di interpretarle.

Una prima analisi di queste cifre la voglio fare su tre elementi, che vanno, soprattutto il secondo, ulteriormente specificati. Eccoli.

1. IL PESO REALE DEI CANDIDATI SUGLI ELETTORI.

Degli aventi diritto al voto (1.447.753) si sono recati alle urne 757.598 elettori (52,33% nei quali va però incluso un 1,92% di schede bianche e nulle). Questo significa che il “partito” del non voto (astenuti e voti non espressi) raggiunge il 49,59% e che la somma dei voti dei 4 candidati alla Presidenza supera di poco (50,41%) la metà degli elettori.

Come è noto le percentuali dei candidati e dei partiti vengono espresse sempre sul computo totale dei voti validi; ma è ovvio che una cosa, dal punto di vista specifico del peso sull’insieme del corpo elettorale e quindi sociale, è ottenere il 45% se vota l’80-90% degli elettori (come è avvenuto per decenni), altro è se vota il 50%. SE dunque vogliamo “pesare” i candidati sul totale degli elettori i risultati diventano ben diversi. Eccoli.

Non votanti 690.155 (47,67%)

Bianche e nulle 27.737 (1.92%)

Alessandra Todde 331.109 (22,87%)

Paolo Truzzu 328.494 (22,69%)

Renato Soru 63.100 (4,36%)

Lucia Chessa 7.158 (0,49%)

Sappiamolo: la nostra Presidente parte con un consenso espresso da parte di poco più di un sardo su cinque. A differenza di ciò che proclama il centro destra nazionale al governo (“gli italiani hanno scelto noi”), consideriamo questo dato con la giusta preoccupazione: siamo ben distanti da un consenso vero, e quindi da un coinvolgimento, dei nostri concittadini. Il recupero di questo consenso deve essere un faro di tutto il nostro operare da domani.

2. LE DUE SARDEGNE.

Questo dato va ancora ben esaminato nelle sue ulteriori sfaccettature (prima fra tutte le differenze territoriali). Io mi sono fermato ad una prima divisione: da un lato il voto negli otto centri (Cagliari, Sassari, Quartu, Olbia, Alghero, Nuoro, Oristano e Carbonia) con oltre 30.000 abitanti e dall’altro il voto nel resto dell’isola. Qui il dato tiene conto solo dei voti espressi nei quali, come è ormai noto, regionalmente Alessandra Todde prevale su Truzzu di 2.615 voti.

Il dato aggregato sugli 8 centri maggiori -che costituiscono sommati il 33% del totale dei voti espressi e nei quali Alessandra Todde ha prevalso in 5 e perso in 3, è nettamente a favore della nostra candidata con quasi 10 punti di scarto:

Alessandra Todde 120.353 (49,85%)

Paolo Truzzu 96.627 (40,03%)

Renato Soru 21.823 (9,04%)

Lucia Chessa 2.607 (1,08%);

per contro nei restanti 2/3 dell’Isola il dato si rovescia a favore di Truzzu, anche se non con le stesse proporzioni

Paolo Truzzu 231.867 (47,47%)

Alessandra Todde 210.756 (43,47%)

Renato Soru 41.277 (8,45%)

Lucia Chessa 4.551 (0,93%);

Sappiamolo: bisogna riconquistare la fiducia dei sardi che vivono “peggio” e nel cui elettorato prevalgono due tendenze “impolitiche”, cioè la sfiducia (maggiore astensione al voto) e il voto clientelare che infatti premia la destra.

3. VOTO AL PRESIDENTE E VOTI ALLE LISTE.

Il voto ai candidati alla presidenza non coincide con quello delle liste che li sostenevano. Intanto c’è una differenza tra la somma dei voti ai 4 candidati (729.861) e la somma dei voti alle 25 liste che li sostenevano (683.202) equivalente a 46.657 voti. Ma un dato in particolare va tenuto in considerazione, anche a partire dal fatto che le liste complessivamente sono stati votate meno dei candidati, e cioè che non solo la somma dei voti alle liste che sostenevano Truzzu sopravanza di quasi 4 punti quelli del candidato (dato che è inverso per Alessandra Todde dove la differenza è del 2,8% a favore della candidata), ma che questa somma sopravanza di 2000 voti gli stessi voti della nostra candidata.

Ecco la tabella

Todde: candidata 331.109 (45,37%) – liste 290.720 (42,55%);

Truzzu: candidato 328.494 (45,01%) – liste 333.873 (48,87%);

Soru: candidato 63.100 (8,64%) – liste (54.569);

Chessa: candidata 7.158 (0,98%) – lista (4.040).

Sappiamolo: se il voto alle liste del centrodestra è amplificato dal peso delle candidature portatrici di clientela e quindi ha un significato politico esiguo (cito il caso emblematico di Franco Mula eletto col centrodestra per la circoscrizione di Nuoro per la terza volta e ogni volta in una lista diversa), quello minore a quelle di centrosinistra segnala invece un deficit di organizzazione e di ruolo politico dei partiti. Sarà molto più difficile ricostruire un nuovo rapporto tra istituzioni e cittadini se non si ricostruisce un tessuto democratico nel quale i partiti -parlo di partiti, non di comitati elettorali- devono tornare a svolgere quel ruolo di cerniera e insieme di “palestra” per la crescita di una nuova classe dirigente politica.

Pietro Pani  da qui

 

Redazione
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