Professore dica lei: dove sono i Pirenei?

Cosa occorre sapere per insegnare all’Università? O meglio: cosa occorre essere per insegnare all’Università? 

di Raffaele Mantegazza

Cosa occorre sapere per insegnare all’Università? O meglio: cosa occorre essere per insegnare all’Università? Alla domanda un interlocutore ingenuo risponderebbe in modo netto: occorre saper insegnare e occorre essere insegnanti. Risposta di buon senso. Risposta sbagliata.

Chi è entrato all’Università animato dalla passione pedagogica di trasmettere qualcosa ai giovani ha assistito in questi decenni, con una accelerazione incredibile, allo smantellamento della didattica universitaria non solo nelle pratiche ma anche nelle intenzioni dichiarate.

Due soli esempi

  • Per poter diventare professore associato o ordinario occorre spedire le proprie pubblicazioni al Ministero, ottenere l’abilitazione e poi attendere la chiamata tramite concorso da parte di un Ateneo; fra i criteri di valutazione del Ministero NON ESISTE alcun riferimento alla didattica. Un aspirante docente può avere seguito duecento tesi, fatto centinaia di ore di insegnamento, può avere ricevuto ottimi giudizi dagli studenti nella valutazione obbligatoria che essi compilano alla fine di ogni corso, può essere un grado di motivare ed entusiasmare un gruppo di 12 studenti come un’aula di 400: tutto questo non è neanche richiesto nella documentazione. Occorre avere pubblicato articoli in “riviste di fascia A” (dirette da Ordinari) o libri in collane (dirette da Ordinari) referate (da Ordinari), occorre avere fatto ricerche internazionali, occorre anche avere attratto risorse economiche per l’Ateneo (sic!). Dunque, occorre (forse) saper fare ricerca ma nessuno valuta se si è in grado di fare didattica. Anche il rito della lezione simulata che era presente nel concorso per Associati (si estraeva a sorte un tema e si aveva un giorno per preparare una lezione che era pubblica) è stato abolito, con tutto il valore perlomeno simbolico che aveva. Tutto viene valutato via web; mica devo vedere un docente al lavoro se non mi interessa valutarne la didattica.
  • Esiste un sistema di valutazione della ricerca (chiamato VQR, Valutazione della qualità della ricerca) che ogni 3 anni valuta appunto le ricerche dei docenti (che lo faccia bene o male è un altro discorso). Non esiste un sistema di valutazione della didattica.

Esistono le Commissioni Paritetiche che prevedono la presenza in pari numero di docenti e di studenti e che hanno per legge il compito di monitorare la didattica; ne presiedo una e devo dire che gli studenti portano in Paritetica problemi anche grossi con grande fiducia. Ma la Paritetica ha solo una funzione istruttoria, poi deve demandare le decisioni ai Consigli di Dipartimento o di Coordinamento didattico. Devo ammettere che a volte qualcosa cambia, ma con lentezza ed estrema difficoltà.

Ma allora chi è il professore universitario? Una persona che sa fare ricerca (forse). Ma la sa trasmettere ai giovani? Sa programmare e tenere una lezione? Sa gestire un esame? Sa seguire un laureando o un dottorando? Sa insegnare il metodo di studio? Soprattutto: è in grado di intrattenere con ragazze e ragazzi una relazione educativa e pedagogica? Intendiamoci: esistono grazie al cielo colleghi e colleghe che sanno fare queste cose e che sono ottimi insegnanti. Ma la cosa non viene richiesta, non viene valutata e non viene presa in considerazione. E credo che questi colleghi condividano un senso di frustrazione, l’idea di non essere minimamente considerati da nessuno.

Tranne che dagli studenti: che si innamorano di queste figure, che si affezionano, che le seguono con ingenuo candore e con entusiasmo. Poveri ragazzi e poveri colleghi che non hanno ancora capito come gira il mondo. E che credono ancora il quel titolo “professore” che i ragazzi fanno bene ad abbreviare in “prof” e che forse dovremmo, per decenza, eliminare del tutto.

LE VIGNETTE SONO DI MAURO BIANI

Redazione
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