Qiu Jin, storia vera della ragazza del lago…
… assassinata a 31 anni: scrittrice, femminista e rivoluzionaria
di Grazia Teresella Berva
La storia della Giovanna d’Arco cinese: femminista, rivoluzionaria e scrittrice, fu giustiziata in seguito al fallimento della rivolta contro la dinastia Qing
Appassionata di vino, spade ed esplosivi, Qiu Jin non incarnava il prototipo della tipica donna cinese dell’Ottocento. Da ragazzina scriveva poesie e leggeva le storie di eroine come Hua Mulan, fantasticando di poter diventare come una di loro. E ci riuscì davvero, sebbene la sua vita sia poi stata spezzata prematuramente.
La sua storia, ricordata recentemente dal New York Times, è diventata poi un simbolo della lotta femminista in Cina. Ambiva a scardinare la concezione patriarcale della società, definita dalle rigide regole confuciane sulla distinzione dei sessi, e la sua lotta partì proprio dentro le mura di casa.
Qiu Jin nacque nel 1875, nona figlia di un mercante di Xiamen, una città nel sud-est del Paese. Rimasta orfana di madre ancora bambina, iniziò prestissimo a interessarsi di politica. In un periodo storico in cui non era accettabile nemmeno che le donne uscissero di casa, la sua passione era già di per sé rivoluzionaria.
Suo padre, di idee progressiste, contribuì a formare la sua coscienza permettendole di studiare in una scuola primaria locale ed evitandole in parte la tortura della fasciatura dei piedi, chiamata anche del Loto d’oro, una pratica piuttosto comune a quel tempo. Lo scopo di tale mostruosa tecnica era quello di donare un’andatura fluttuante alla donna, conseguenza delle estremità strizzate in scarpine dalla forma di mezzaluna.
Non abbiamo molte informazioni sull’infanzia e l’adolescenza di Qiu Jin, se non quelle che lei stessa ha lasciato nei suoi scritti personali. Sappiamo che utilizzava diversi nomi d’arte, ma il suo preferito era Jianhu Nüxia, che significa Guerriera del Lago Jian. Oltre a studiare e scrivere poesie, iniziò poi ad andare a cavallo, tirare con l’arco, usare la spada e praticare le arti marziali.
Pur concedendole molte libertà, suo padre le impose però di sposare un giovane di famiglia benestante, Wang Tingjun, che nel 1896 divenne suo marito. Costretta a vivere da reclusa, per via dell’ambiente tradizionalista dei suoceri, iniziò a sopportare a fatica la sua esistenza, sfogandosi nelle lettere che inviava al fratello e nelle poesie.
L’infelicità si attenuò solo con la nascita del primogenito Wang Yuande, nel 1897, e della piccola Wang Guifen quattro anni dopo. Dopo la maternità, il marito sembrava rispettarla di più e decise quindi di lasciare la casa dei suoi per andare a vivere a Pechino insieme alla moglie e ai figli.
Nella città, agitata dal fervore rivoluzionario, Qiu Jin ebbe l’opportunità di fare nuove conoscere e lasciarsi contagiare dallo spirito del cambiamento. Mentre il consorte sprecava le sue ore tra concubine e scommesse, iniziò a vestirsi con abiti maschili. Finalmente, nel 1904, la coppia decise di separarsi e lei decise di partire sola, senza figli, per il Giappone.
Il Sole e la Luna non hanno più luce, la Terra è buia,
Il nostro mondo di donne sta affondando, chi ci potrà aiutare?
Ho venduto i gioielli per pagare questo viaggio tra gli oceani,
Ho reciso il mio legame con la famiglia e lasciato la mia casa.
Liberando i miei piedi mi libero anche da mille anni di veleno,
Con il cuore più leggero richiamo gli spiriti di tutte le donne.
Ahimè, questo delicato fazzoletto,
Per metà è bagnato di sangue e per metà di lacrime.
All’estero si dedicò allo studio e continuò ad attivarsi contro la tirannia della dinastia dei Qing, pubblicando saggi e articoli per incitare le donne cinesi alla lotta. Tornata in patria nel 1906, si stabilì a Shangai, fondando un giornale e insegnando in una scuola femminile, ma trovò grande opposizione da parte delle autorità locali.
Diventata direttrice di una scuola per sportivi, fondata da suo cugino, iniziò segretamente a preparare la rivolta. Non ci fu il tempo necessario: scoperta dalle truppe governative, il 13 luglio Qui Jin venne arrestata e portata nella prigione femminile di Shaoxing. Venne sottoposta a lunghi interrogatori e torture, ma non disse nulla. Si limitò a scrivere una poesia.
Vento d’autunno, pioggia d’autunno, muoio di profonda tristezza.
Venne giustiziata due giorni dopo, tramite decapitazione. Chiese di poter scrivere ai suoi nemici, ma non ottenne il permesso. Domandò anche di non essere svestita prima dell’esecuzione e di non esporre in pubblico la sua testa, e almeno su queste richieste venne accontentata. Oggi è considerata in Cina una delle figure più eroiche mai esistite, proprio come Giovanna d’Arco in Francia.