Quando a tirare i dadi è Alessandro
Ecco la mia introduzione a «Il dono della diversità» di Alessandro Ghebreigziabiher che esce in questi giorni (*)
Un portavoce dell’Onu riferisce all’Ansa (11 maggio 2000) che in Sri Lanka l’esercito ha ucciso duemila civili e fra loro 100 bambini. Un giornalista – io a esempio lo sono stato per molti anni – se fosse bravo cercherebbe di capire le radici di questa tragedia e se avesse tempo proverebbe a fare i nomi dei responsabili. Alessandro Ghebreigziabiher invece è un narratore, un rabdomante di storie. Il dramma di quei bambini, di quelle bambine per lui significa immaginare che ognuna/o di loro racconti il suo motivo per non voler morire. Una fantasia certo, ma in questo modo possiamo sapere qualcosa di loro, diventano più vicini a noi invece di restare i numeri freddi di una terrificante statistica. Fra quei «Cento motivi per non morire» c’è uno (il numero 45) che mi appartiene più di altri: non voglio morire «perché mi piace ascoltare le storie». Ed è questo che rende così preziose le persone come Alessandro: loro raccontano, scovano, cesellano, a volte inventano storie e ce le regalano. Nel tempo degli effetti speciali e degli orologi che ti mordono i polpacci c’è ancora molta gente che quando incontra un vero narratore, una narratrice autentica resta lì, oltre l’orario previsto e non se ne vuole andare.
Alessandro Ghebreigziabiher sa scriverle e sa raccontarle. Dal vivo l’ho sentito, per ora, una sola volta (era con sua moglie, Cecilia Moreschi) in «Nostro figlio è nato»
a incantare e commuovere il pubblico con una storia vera fra Iraq e Francia. Parole scelte con cura, gesti al minimo, un filo di musica e suoni. Credo che molte delle persone quel pomeriggio abbiamo vissuto, come me, un’esperienza indimenticabile.
Importa che le vicende siano davvero accadute? Sì, se lo si afferma; no, se invece si gioca sui tanti sentieri dell’immaginazione. Se il maestro che deve fare i conti con i simboli religiosi – lo incontrerete qui – esiste davvero è importante che capisca i bisogni dei grandi, le definizioni esatte, i contesti storici ma ancor più vitale è che comprenda i sogni dei bambini.
E’ più improbabile che a Vicenza un venditore di rose sia multato per 5164 euri (o euro, come dicono altri) o che due bimbi legati da mille fili (Hassan e Said) possano trovarsi divisi dalla burocrazia? E’ meno vera la casa-mondo della fantasia di Alessandro che la reale scuola Carlo Pisacane di Roma? L’altro giorno ero lì, proprio in quella scuola, concreta e bella, ad ascoltare Andrea Satta (dei Tetes De Bois): cantante, scrittore e anche lui costruttore di storie. Girando nei corridoi in festa vedo che alcune classi si chiamano Miriam Bakeka o Iqbal Masih. Pensavo al libro di Alessandro – questo che ho letto in anteprima (alcune storie le conoscevo e amavo già) – e così, per un attimo, ho giocato a dirmi che forse Alessandro era passato di lì e aveva ribattezzato lui le aule. Invece no: ci sono in giro un po’ di Ghebreigziabiher per fortuna… ma ne servirebbero altre/i.
Tornando dalla Pisacane il mio tram è passato in una piccola galleria all’inizio della via Prenestina. Qualcuno (o più probabilmente qualcuna e il cambio di una vocale è importantissimo a volte) aveva scritto su un muro a grandi caratteri: «Per ogni donna stuprata e offesa facciamo un». Finiva così. Ho pensato – cioè mi sono inventato una piccola storia – che le ragazze fossero state interrotte da un’auto della polizia e non avessero terminato la scritta. Subito dopo ho elaborato una variante: invece no, l’avevano lasciata così apposta. Per costringerci a pensare: cosa facciamo (dovremmo fare) per ogni donna stuprata e offesa? Insomma toccava a noi mettere una parola dopo il «facciamo un». Un corteo? Un’assemblea con le persone che conosciamo? Una protesta contro certi giudici, poliziotti, servizi sociali, giornalisti, politici che minimizzano o ignorano? Oppure l’un o una migliore da fare… io non riesco ancora a pensarlo e devo sforzarmi, magari chiedendo aiuto anche a voi. Ditemi: «facciamo» cosa?
Da 24 ore dunque cercavo in un angolo della mia mente l’un(a) «da fare»; proprio allora ho letto per la prima volta una storia di Alessandro che, come quella dello Sri Lanka, parte da una piccola notizia, di quelle che quasi sempre sui giornali sono “brevi”, quasi invisibili e invece dovrebbero essere titoloni: «in Congo ogni giorno 1152 vengono violentate, 48 ogni ora». Alessandro, da narratore, mi ha dato una delle risposte possibili, credo che piacerebbe alle autrici della scritta interrotta: ognuna di quelle 48 donne congolesi ha un nome, una storia. Noi dobbiamo cercarla e poi narrarla, ricordarla.
A volte si racconta per piacere, altre per necessità. Per amore, oh sì. Per meglio capire. Per fare addormentare bimbe e bimbi. Per magia. Perché la kora di un griot ha raccolto in mare (come in «Undici» di Savina Dolores Massa) gli ultimi momenti di vita di 11 ragazzi che volevano migrare. A volte si narra persino per vendetta. Mi è capitato da poco di sentire Sandro Portelli, ecco un altro rabdomante di storie, dire – a proposito delle schifezze di Rodolfo Graziani e del colonialismo italiano – in un’assemblea: «Come si dice vendetta in cinese? Si dice: racconta la storia a 5 famiglie. Ecco, il nostro lavoro di memoria è questo».
Quasi sempre Alessandro Ghebreigziabiher preferisce il registro ironico e paradossale ma a volte intuiamo che mentre scriveva i suoi occhi erano pieni di lampi o di lacrime. Proprio come i miei mentre attraversavo, stupito e ammirato, le pagine di questo libro/viaggio.
A novembre nel blog – che con altre/i animo – ho scritto, che io, appassionato di fantascienza, mi ero fatto sfuggire (per 6 anni e 2 mesi circa) «il primo romanzo scritto da un extraterrestre» ovvero «Il poeta, il santo e il navigatore» dove l’alieno è un amico – ma voi siete libere/i di fantasticare che sia un alter ego – di Alessandro Ghebreigziabiher. Un ottimo libro che spero prima o poi sarà ristampato. Lì il mio innamoramento per la scrittura di Alessandro si è completata ed esplicitata. E dopo poco tempo ho trovato un’altra conferma nelle storie qui raccolte.
Grazie ancora ad Alessandro Ghebreigziabiher per avermi ricordato, in queste pagine, due regoline che ogni narratore o ascoltatore deve sempre tenere a mente.
«Centottanta gradi e nel dado il sei diventa uno», insomma il mondo si può guardare a rovescio e/o mettere sottosopra.
E se parliamo di «Qualcosa da rendere migliore» è sempre bene aggiungere subito: «A cominciare dal sottoscritto, naturalmente».
(*) Questa è la mia prefazione alla bellissima (secondo me) antologia «Il dono della diversità» di Alessandro Ghebreigziabiher che esce in questi giorni con Tempesta Editore (http://www.tempestaeditore.it). Dalle note di presentazione del libro: «Il testo consiste in un’antologia di racconti ispirati da reali fatti di cronaca, attraverso un arco di tempo di quattro anni, dalla fine del 2008 all’estate del 2012. L’obiettivo delle storie non è solo quello di dare sfogo ad una mera reazione alla notizia, come si potrebbe fare in un diario, bensì provare a narrarla da un altro punto di vista, per offrire altri spunti per comprenderla. In particolare, i fatti interessati riguardano il mondo dell’intercultura e dell’immigrazione nostrani, da cui il titolo il dono della diversità, ovvero lo stimolo ad interpretarli non solo come problemi ma anche occasioni di arricchimento, grazie soprattutto alla loro varietà». E nel prologo, l’autore chiarisce: «Perché Il dono della diversità? Semplice. Perché credo fermamente che la diversità debba essere celebrata ogni giorno, ora, attimo della nostra vita come un regalo. Un regalo da conquistare, un naturale presente che non è mai dovuto, un dono che non finiamo mai di scartarne la confezione, fortunatamente. Sì, perché la conoscenza di sé è un’avventura straordinaria, che riguarda tutti indistintamente, sia chi viene accolto e anche chi desideri accogliere. Perché solo conoscendo noi stessi scopriamo e comprendiamo gli altri e viceversa.
E quale modo migliore esiste di raccontare ed ascoltare storie per incontrarci tutti?».
Alessandro Ghebreigziabiher è scrittore, blogger, videomaker, narratore (secondo m in scena è bravissimo) e regista teatrale. Il suo sito è: http://www.alessandroghebreigziabiher.it ma è ovunque (persino su youtube) e lo trovate anche qui, su codesto blog.
A me viene da completare così quella scritta: “… facciamo un gruppo di autocoscienza maschile in un paese, in un quartiere nuovo…”, Per far crescere il numero di uomini che scelgono di cambiare le loro modalità di stare nelle relazioni: finché tutti gli uomini saranno cambiati e si occuperanno di educare ogni nuovo cucciolo alla convivialità e al rispetto.
Beppe Pavan