Quando affronteremo la lobby delle armi?

articoli, video e vignette di Toni Capuozzo, Chiara Rossi, Gianandrea Gaiani, Patrick Boylan, Franco Fracassi, Pepe Escobar, Gianni Lixi, Nicola Gratteri, Davide Bertok, Movimento No Base, Antonia Sani, Peppe Sini, Costituente Terra, Fulvio Scaglione, Francesco Masala, ReCommon, bortocal, Mauro Biani

scrive bortocal

…come è oggi la situazione in Ucraina?

non ribadisco che a mio parere, per riaprire le trattative sugli accordi di Minsk, che l’Ucraina rifiutava di rispettare, e porre termine alla guerra civile contro le minoranze russe di quel paese, la Russia aveva a disposizione altre possibili iniziative che una guerra aperta: soprattutto in campo economico, col blocco delle esportazioni di gas e petrolio,

prendiamo atto che la scelta alternativa è stata quella di una invasione militare, che ha avuto all’inizio addirittura l’obiettivo velleitario di cancellare l’Ucraina dalla carta geografica, negandone l’identità stessa.

ma il fallimento iniziale di questo primo obiettivo russo rischia oggi di nascondere il fallimento della strategia alternativa scelta dall’Ucraina e, dopo due mesi dall’andamento incerto, la progressiva affermazione della Russia sul campo.

non a caso la Russia era disponibile a trattative, che l’Ucraina ha rifiutato, sia immediatamente prima della guerra (e allora l’Ucraina ha fatto fallire la proposta di mediazione tedesca) sia subito dopo.

oggi il rifiuto ucraino di trattare, se non su posizioni totalmente irrealistiche, maschera la disperazione dovuta al fatto che oggi è sostanzialmente la Russia a rifiutarle, perché si sente vincente…

allora, che cosa dovrebbe fare un capo di stato effettivamente interessato a ridurre i danni della guerra al suo popolo? (non sto parlando di Zelensky, evidentemente, che non appartiene di sicuro a questa categoria).

prendere atto delle forze reali sul campo e largheggiare in concessioni, ponendo forse le basi di un consolidamento interno futuro, ed impedendo il collasso completo del paese, dato che questo potrebbe riportare in primo piano il disegno originario di Putin, inizialmente fallito.

naturalmente il prezzo da pagare sarebbe sicuramente anche quello di mettersi personalmente da parte e lasciare spazio ad altri leader; ma è poi così assurdo salvarsi la pelle, anziché rischiarla in una ostinazione senza senso, contando su armi americane sempre più potenti, cedute peraltro ad un esercito in via di sfaldamento?

la Russia non ha già appena dimostrato in Siria di essere in grado di sconfiggere una guerra americana fatta per procura attraverso gli integralisti islamici locali?

perché dovrebbe andare meglio con gli integralisti neonazisti ucraini?

e peraltro non si direbbe.

non sono certo uno stratega, la mia analisi dei rapporti di forza in campo può essere totalmente sbagliata; ammetto pure la possibilità che Zelensky, e soprattutto i suoi burattinai americani, abbiano fatto delle valutazioni più accurate delle mie e che i rapporti di forza siano invece contrari e garantiscano la sconfitta di Putin sul campo; dopotutto loro hanno dei dati, anche logistici, che io non ho.

però questo non cambierebbe la sostanza delle mie argomentazioni e soprattutto della mia domanda: che cosa induce un capo di stato a buttarsi in una guerra anche quando una valutazione obiettiva e sensata delle forze in campo indica una sconfitta probabile, salvo eventi assolutamente imprevedibili?

e quei leader che resistono ad una resa, fino all’ultimo uomo, contro ogni evidenza, facendo massacrare il loro popolo e distruggere il loro paese, sono eroi o criminali?

magari criminali con qualche attenuante, perché malati di mente, direi io…

che tuttavia domando ancora: e noi che cosa ci facciamo al loro fianco?

da qui

 

 

 

scrive Francesco Masala

Il 24 febbraio lo slogan era “bisogna difendere l’Ucraina”, lo stesso 24 febbraio, cinque minuti dopo, lo slogan era diventato “bisogna colpire la Russia”, lo stesso 24 febbraio i grandi strateghi dell’impero del male (dell’Europa) avevano uno slogan riservato, “bisogna sfasciare l’Europa”.

Il terzo obiettivo, quello “riservato”, è stato raggiunto, e l’Europa sostituirà i suoi fornitori cattivi di gas e petrolio, con fornitori buoni e democratici, la Libia, l’Egitto, il Qatar, gli Usa, tra gli altri (che gioia!).

 

La guerra va male, bisogna stare attenti, non perché è stata uno sbaglio dall’inizio, non perché è stata provocata, non perché l’Ucraina è un campo di battaglia e non resterà più niente, tutti noi siamo dalla parte giusta, il punto è che costa troppo, rischiamo di non vincerla, queste sono le discussioni all’interno dell’Impero.

 

qui un aggiornamento di Comma 22

 

Come Paese dobbiamo domandarci: quando, nel nome di Dio, affronteremo la lobby delle armi? Quando, in nome di Dio, faremo ciò che tutti nel nostro istinto sappiamo che deve essere fatto? – Joe Biden

 

il presidente americano Joe Biden ha firmato la legge, già approvata dal Congresso americano, per il nuovo pacchetto da 40 miliardi di dollari di aiuti militari e umanitari all’Ucraina

 

18 maggio: Sciopero generale contro la guerra (da qui)

 

genocidio contro il popolo ucraino:

Sfiora quota 4.000 il bilancio delle vittime civili accertate in Ucraina dal 24 febbraio, secondo l’agenzia dell’Onu per i diritti umani ripresa dal Kiev Independent che parla anche di 9 vittime a Kharkiv e di 7 a Lugansk. Gli abitanti uccisi finora dalle forze russe sono infatti almeno 3.998 (dato aggiornato a mercoledì), mentre i civili feriti sono almeno 4.693. L’agenzia ritiene comunque che i dati effettivi siano molto più alti.

da qui

 

genocidio contro il popolo degli Stati Uniti d’America:

negli Usa, dati del 2022, aggiornati al 18 maggio

Morti per armi da fuoco 7.229

Feriti 13.474

(da Internazionale n.1461 del 20 maggio 2022, pag.33)

 

per chi ha tempo e voglia di cercarlo, ecco uno dei più bei film sulla denazificazione, American History X (qui il trailer)

 

 

 

scrive Toni Capuozzo

 

IL PIANO DI PACE ITALIANO

E’ quasi un piccolo giallo, perchè non è chiaro se sia stato davvero consegnato all’Onu. Di certo la Russia non l’ha preso sul serio, e neanche l’Ucraina. A mio avviso, è bene che sia stato elaborato, e lo si diffonda, e lo si critichi e modifichi, e qualunque cosa, e che insomma si parli di negoziati invece che di guerra. Certo che è difficile improvvisarsi mediatori e mandare contemporaneamente armi.

da qui

 

 

 

 

Guerra Ucraina | I dubbi del New York Times: “Vittoria Kiev irrealistica, Putin non farà marcia indietro. Biden dica a Zelensky che c’è un limite all’invio di armi”

 

Pensare che l’Ucraina possa sconfiggere la Russia e riconquistare tutti i territori, compresa la Crimea, “non è un obiettivo realistico“. Il motivo è che la Russia resta “troppo forte” e che Vladimir Putin “ha investito troppo prestigio personale nell’invasione per fare marcia indietro“. In un editoriale pubblicato il 19 maggio dal titolo “La guerra in Ucraina si sta complicando, e l’America non è pronta“, il New York Times esprime tutti i suoi dubbi e la sua preoccupazione per il conflitto che si protrae ormai da tre mesi. L’articolo è firmato dall’Editorial Board, ovvero dal gruppo di giornalisti opinionisti che lavorano al Nyt. Rappresenta il loro pensiero condiviso, frutto del dibattito, di ricerche e delle informazioni raccolte da esperti. E il quotidiano più autorevole degli Stati Uniti invoca un cambio di strategia: Joe Biden, si legge nell’editoriale, “dovrebbe chiarire a Volodymyr Zelensky che c’è un limite a quanto gli Stati Uniti e la Nato affronteranno la Russia e ci sono limiti alle armi, al denaro e al sostegno politico che possono raccogliere”. Solo così, prosegue l’articolo, le decisioni dolorose che dovrà prendere il governo ucraino si baseranno su “una valutazione realistica dei suoi mezzi e di quanta più distruzione può sopportare l’Ucraina”. In Italia un ragionamento in questi termini verrebbe subito tacciato di essere filo-putiniano.

L’articolo del New York Times comincia proprio dai 40 miliardi di dollari di aiuti per Kiev approvati dal Senato americano. Sottolineando subito dopo gli avvertimenti di Avril Haines, direttrice dell’intelligence nazionale, su una possibile escalation della guerra e una maggiore probabilità che la Russia possa minacciare l’utilizzo di armi nucleari. Da qui il titolo dell’editoriale: la guerra è cambiata e quale sia la strategia degli Stati Uniti non è più chiaro. Per questo, gli editorialisti del Nyt pongono una serie di dubbi e domande. Ad esempio: “Gli Stati Uniti stanno cercando di aiutare a porre fine a questo conflitto?”. Oppure “stanno ora cercando di indebolire la Russia in modo permanente?”. E ancora: “L’obiettivo è cercare di evitare una guerra più ampia e, in tal caso, in che modo fornire l’intelligence statunitense per uccidere i russi e affondare una delle loro navi raggiunge questo obiettivo?”.

Secondo il New York Times, senza chiarezza su questi e altri punti, gli Stati Uniti mettono “a rischio la pace e la sicurezza a lungo termine nel continente europeo”. Inoltre, anche il sostegno degli americani a Biden potrebbe scemare, perché “l’inflazione è un problema molto più grande per gli elettori americani rispetto all’Ucraina”. Per questo gli editorialisti del quotidiano invitano a non galvanizzare l’opinione pubblica con “gli straordinari successi dell’Ucraina contro l’aggressione russa”. Pensare che Kiev sia vicina a vincere la guerra viene definito “un presupposto pericoloso“. Un’ambizione irrealistica, prosegue il ragionamento, perché Putin non può più tornare indietro…

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Perché il Pentagono convoca Raytheon, Lockheed Martin, Boeing e non solo per l’Ucraina – Chiara Rossi

 

Lockheed Martin e Raytheon, ma anche Boeing e General Dynamics, all’appello del Pentagono sul dossier Ucraina.

Reuters ha rivelato che oggi il Dipartimento della Difesa incontrerà i vertici delle otto principali aziende che producono armi negli Stati Uniti. Si discuterà della capacità dell’industria bellica nazionale di soddisfare le esigenze di armi da inviare all’Ucraina, soprattutto se la guerra con la Russia dovesse durare anni.

Inoltre, sempre oggi il presidente degli Usa Joe Biden dovrebbe annunciare ulteriori 750 milioni di dollari in spedizioni di armi in Ucraina.

Il Pentagono ha già fatto sapere che le armi più utili sono i sistemi più piccoli, come i missili anticarro Javelin e i missili antiaerei Stinger. Quest’ultimi già inviati quasi quotidianamente da Washington e dagli alleati europei in Ucraina.

Raytheon Technologies e Lockheed Martin producono insieme i missili Javelins, mentre Raytheon produce Stinger.

Secondo fonti del Pentagono, gli Usa potrebbero trasferire Humvee corazzati, ma anche elicotteri che possono essere equipaggiati per attaccare i veicoli russi. Oltre a una serie di altre attrezzature sofisticate.

Nel frattempo, il presidente ucraino Zelenskiy fa pressioni sui leader statunitensi ed europei affinché forniscano armi e attrezzature più pesanti in vista della battaglia in Donbass…

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Che fine faranno le armi fornite all’Ucraina? Negli USA cominciano a chiederselo – Gianandrea Gaiani

 

La stampa statunitense si sta accorgendo dei rischi connessi alle massicce forniture di armi all’Ucraina per combattere i russi e comincia a porre gravi e inquietanti interrogativi circa la capacità di Washington di mantenere un efficace controllo delle armi inviate a Kiev.

Il Washington Post, in particolare, ha posto il problema in un ampio e documentato articolo di John Hudson pubblicato il 14 maggio, chiedendo se gli aiuti militari andranno nelle mani giuste e quanto alto sia il rischio che vengano risucchiate in un’Ucraina che è uno dei principali hub europei del traffico di armi.

Ora oltre Atlantico c’è chi teme che parte delle attrezzature donate a Kiev possa finire nelle mani degli avversari dell’Occidente o che possa riemergere in altri conflitti nei prossimi decenni. Questo perché – dice al Washington Post William Hartung, un esperto del think tank Quincy Institute – mentre in Afghanistan “gli Stati Uniti avevano una presenza importante nel Paese che consentiva di avere almeno la possibilità di tracciare i percorsi delle armi, in Ucraina il governo statunitense è cieco in termini di monitoraggio delle armi fornite alle milizie civili e ai militari”.

Nonostante questa differenza di presenza sul campo però, la fuga degli americani e dei loro alleati da Kabul e il successivo immediato tracollo delle forze armate governative afghane, hanno lasciato in mano ai talebani 7,12 miliardi di dollari di armi e mezzi statunitensi inclusi missili, aerei, elicotteri, veicoli, armi e munizioni, secondo un rapporto del Pentagono di cui Analisi Difesa si è occupata a fine aprile.

In Ucraina, secondo Rachel Stohl, vicepresidente dello Stimson Center – “è semplicemente impossibile tenere traccia non solo di dove vanno tutti questi equipaggiamenti e chi li userà, ma anche come vengono usati”.

Il quotidiano statunitense ha del resto ricordato che l’Ucraina è sempre stata, fin dalla sua indipendenza post-sovietica, il paradiso del traffico e dei trafficanti di armi grazie anche alla corruzione endemica e dilagante…

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Lo sfondone di George W. Bush smaschera la guerra in Iraq e dà ragione a Assange – Patrick Boylan

 

L’ex presidente George W. (“Dubja”) Bush si era rivolto mercoledì scorso, 18.5.2022, ad una platea di ammiratori riunitisi al Centro Studi a lui dedicato a Dallas, Texas, presso l’Università Metodista del Sud. Il tema del suo discorso era l’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin – un disastro che Bush ha attribuito al fatto che la Russia non ha il sistema di controlli e di contrappesi tra i vari poteri dello Stato che caratterizza il governo statunitense.

Invece in Russia, ha asserito Bush, un solo uomo comanda e, nel caso dell’Ucraina, “un solo uomo ha potuto scatenare in maniera ingiustificata e brutale l’invasione…”

… ora il lapsus…

“… dell’Iraq – voglio dire, dell’Ucraina.” Poi una piccola risata d’imbarazzo.

Ma non finisce qui. Bisogna osservare attentamente nel video il linguaggio del corpo successivo: i giornali italiani non ne hanno parlato, forse per non inferire. Notate i cenni del capo, prima a sinistra (accompagnato da un mezzo sorrisetto malizioso) e poi a destra, accompagnati da una leggera alzata di spalle e poi un inclinarsi in avanti come se Bush volesse scrollare qualcosa di dosso e passare all’attacco, mentre egli pronunciava queste parole:

“già, anche Iraq. In ogni modo…”

Questo insieme di esternazioni verbali e non verbali comunicano il seguente significato:

“Già, anche in Iraq – ma chi se ne importa (heh heh heh). Passiamo a altro.“

E i suoi ammiratori a ridacchiare con lui. Neanche uno di loro si è alzato, indignato, per interrompere Bush e chiedergli: “Davvero non t’importa nulla se la tua invasione dell’Iraq sia stata ingiustificata e brutale?”

Fino ad oggi nell’Ucraina, secondo quanto afferma il governo di Kiev, sono morti circa 13.000 civili (secondo l’ONU, 3.000) mentre, con la sua invasione dell’Iraq nel 2003, Bush ha ucciso ben 300.000 iracheni (forse 600.000: Lancet), la stragrande maggioranza civili.

Ora scrollarsi di dosso centinaia di migliaia di morti con un’alzata delle spalle e un ghigno, come ha fatto Bush, è un atteggiamento, non da statista, ma da “killer” professionista. Lo scorso marzo Biden ha applicato quel epiteto a Putin e ci si chiede come mai, neanche una volta nei diciannove anni dal 2003 a oggi, non l’abbia applicato al suo predecessore alla Casa Bianca, viste le ecatombi infinitamente peggiori che Bush ha provocato. E non soltanto in Iraq.

Oggi i nostri mass media, per battere i tamburi di guerra, amano descrivere Putin come “il nuovo Hitler”. Epiteto ridicolo e spropositato. I carri armati di Hitler sono arrivati fino all’Atlantico mentre quelli di Putin non sono arrivati neanche a Kiev, che è la porta accanto. Ora, grazie all’ammissione (involontaria) dello stesso ex presidente degli Stati Uniti lo scorso mercoledì a Dallas, abbiamo un termine più appropriato: Putin non è affatto il nuovo Hitler, è semmai il nuovo Bush.

E forse neanche quello. In fondo, Bush supera Putin di gran lunga. Come abbiamo visto, in Iraq ha seminato 100 volte più vittime. Inoltre ha invaso paesi sovrani in ben tre continenti, contemporaneamente! In quanto alla brutalità, nell’assedio che Bush ha ordinato della città irachena di Fallujah, grande quanto la città ucraina di Mariupol recentemente messa sotto assedio dai russi, i marines statunitensi hanno stanato i resistenti utilizzando il vietatissimo fosforo bianco per bruciare gran parte della città, ancora abitata. In altre parole, i marines hanno bruciato vivi, oltre ai combattenti, bambini, anziani, donne di ogni età. Invece, a Mariupol, gli ultimi resistenti e i loro scudi umani sono fatti uscire vivi. (Vedere il documentario sull’uso di fosforo bianco a Fallujah realizzato per RAI News24 da Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta nel 2005 e che ne descrive tutto l’orrore.)

Ma evidentemente per Bush, che agiva in Iraq davvero da “Nuovo Hitler” (ha persino allestito, insieme ai britannici, numerosi centrali di tortura tipo Gestapo), quelle vite umane non avevano peso. E – come constatiamo dal suo discorso mercoledì a Dallas – continuano a non averne oggi. Forse perché i fallujiani uccisi dai marines non erano belli e biondi sostenitori della NATO, come lo sono gli ucraini che Bush ha elogiato all’inizio del suo discorso mercoledì scorso. Erano di carnagione scura e anti NATO (o meglio, anti “Coalizione dei volonterosi”) – quindi per lui è come se non esistessero. A tal punto che sarebbe inutile rimproverargli oggi di aver ucciso in Iraq cento volte più civili di quanto i russi non ne abbiano uccisi finora in Ucraina: per Bush, cento volte zero rimane sempre zero.

E non solo per Bush. All’epoca dell’invasione USA dell’Iraq, quei morti apparivano molto di rado sulle prime pagine o nei telegiornali. Le sofferenze che Bush, con la sua invasione, ha causato alle singole famiglie irachene non sembravano interessare gli editori – certamente non come interessano oggi le sorti delle singole famiglie ucraine nelle città toccate dal conflitto con la Russia.

Invece, durante l’occupazione USA dell’Iraq durata quasi dieci anni, i giornali e le TV ponevano l’attenzione dei loro lettori e telespettatori sugli attacchi che le forze USA subivano da parte di chi resisteva: “Vedete, cari lettori, i nostri boys non sono gli aggressori, sono le vittime dei guerriglieri iracheni”, raccontavano i servizi TV e giornalistici, in un incredibile rovesciamento dei ruoli. Incredibile ma che ha fatto presa: infatti, la maggioranza della popolazione in tutti i paesi occidentali credevano davvero che le truppe statunitensi non facessero affatto la guerra, bensì solo il peacekeeping (mantenimento della pace) per disarmare i fanatici iracheni che combattevano per non si sa cosa.

In pratica, i mass media occidentali dal 2003 al 2010 raccontavano l’Iraq come i mass media russi oggi raccontano l’Ucraina. Il quotidiano russo Izvestia presenta il conflitto asetticamente, quasi senza morti o devastazioni, così da convincere la popolazione russa della bontà e della giustezza della “operazione militare speciale” in corso, la quale non andrebbe assolutamente considerata una guerra – proprio come le operazioni USA in Iraq o in Afghanistan venivano chiamati non guerre ma “peacekeeping”.

Almeno, così fino al 2010. Poi apriti cielo.

Il 22 ottobre 2010, Julian Assange, un giornalista/editore australiano che ha creato il sito WikiLeaks, rivelò i War Logs dell’Iraq e dell’Afghanistan, documenti militari ufficiali che lasciavano intravedere tutto l’orrore di una guerra vera e propria – altro che “peacekeeping”! – condotta dalle forze statunitense in quei due paesi. Assange squarciò il velo di menzogna steso dal Pentagono sulle sue operazioni all’estero. Queste e rivelazioni sono poi servite a creare, nella pubblica opinione statunitense, un tale disgusto verso le due guerre che, alla fine, il Pentagono non aveva altra scelta che di ritirare le truppe e di dichiarare forfait.

Rivelare la verità è servita a sconfiggere i baroni della guerra.

I quali hanno giurato, poi, di farla pagare a Julian Assange, incarcerandolo a vita o, se ciò non dovesse essere possibile, assassinandolo. Assange è tuttora imprigionato a Londra in attesa di essere estradato, appunto, negli Stati Uniti, cioè nel paese che aveva complottato la sua uccisione.

 

Per vedere il solo discorso di Bush cliccare qui.
Per vedere l’intero servizo della ABC-7, cliccare qui.

 

da qui

 

 

 

 

Ora è il momento di sedersi, rilassarsi e guardare il declino dell’OccidentePepe Escobar

 

da The Cradle

 

A Davos e oltre, la narrativa ottimista della NATO suona come un disco rotto, mentre sul campo la Russia sta accumulando vittorie che potrebbero far crollare l’ordine atlantico.

Tre mesi dopo l’inizio dell’Operazione Z della Russia in Ucraina, la battaglia dell’Occidente (12%) contro il Resto del mondo (88%) continua a creare metastasi.

Eppure, la narrazione – stranamente – rimane la stessa.

Lunedì, da Davos, il presidente esecutivo del World Economic Forum Klaus Schwab ha presentato il comico e presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nell’ultima tappa del suo tour di sollecitazione di invio delle armi, con un caloroso tributo. Herr Schwab ha sottolineato che un attore che impersona un presidente che difende i neonazisti è sostenuto da “tutta l’Europa e l’ordine internazionale”.

Intende, ovviamente, tutti tranne l’88 per cento del pianeta che aderisce allo Stato di diritto – invece del falso costrutto l’Occidente chiama un “ordine internazionale basato su regole”.

Tornata nel mondo reale, la Russia ha lentamente ma inesorabilmente riscritto l’Arte della Guerra Ibrida. Eppure, all’interno del carnevale delle psyops della NATO, dell’aggressiva infiltrazione cognitiva e della sbalorditiva ondata adulatoria dei media, si sta dando molto risalto al nuovo pacchetto di “aiuti” statunitensi da 40 miliardi di dollari all’Ucraina, ritenuto in grado di diventare un punto di svolta nella guerra.

Questa narrativa “rivoluzionaria” viene per gentile concessione delle stesse persone che hanno bruciato trilioni di dollari per proteggere l’Afghanistan e l’Iraq. E abbiamo visto come è andata a finire.

L’Ucraina è il Santo Graal della corruzione internazionale. Quei 40 miliardi di dollari possono cambiare le regole del gioco solo per due classi di persone: in primo luogo, il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e, in secondo luogo, un gruppo di oligarchi ucraini e ONG neo colonialisti, che metteranno alle strette il mercato nero delle armi e degli aiuti umanitari , e poi riciclare i profitti nelle Isole Cayman.

Una rapida ripartizione dei 40 miliardi di dollari rivela che 8,7 miliardi di dollari andranno a ricostituire le scorte di armi statunitensi (quindi non andranno affatto in Ucraina); 3,9 miliardi di dollari per USEUCOM (l'”ufficio” che detta le tattiche militari a Kiev); 5 miliardi di dollari per una “filiera alimentare globale” confusa e non specificata; 6 miliardi di dollari per armi reali e “addestramento” in Ucraina; 9 miliardi di dollari in “assistenza economica” (che scomparirà in tasche selezionate); e 0,9 miliardi di dollari per i rifugiati.

Le agenzie di rischio statunitensi hanno declassato Kiev a un cassonetto di entità che non rimborsano i prestiti; quindi, i grandi fondi di investimento americani stanno abbandonando l’Ucraina, lasciando l’Unione Europea (UE) e i suoi stati membri come l’unica opzione del paese.

Pochi di questi paesi, a parte entità russofobe come la Polonia, possono giustificare alle proprie popolazioni l’invio di enormi somme di aiuti diretti a uno stato fallito. Quindi spetterà alla macchina dell’UE con sede a Bruxelles fare quanto basta per mantenere l’Ucraina in coma economico, indipendente da qualsiasi input da parte degli Stati membri e delle istituzioni.

Questi “prestiti” dell’UE, per lo più sotto forma di spedizioni di armi, possono sempre essere rimborsati dalle esportazioni di grano di Kiev. Questo sta già accadendo su piccola scala attraverso il porto di Costanza in Romania, dove il grano ucraino arriva su chiatte sul Danubio e viene caricato ogni giorno su dozzine di navi mercantili. Oppure, tramite convogli di camion che viaggiano con il racket delle armi per il grano. Tuttavia, il grano ucraino continuerà a nutrire il ricco occidente, non gli ucraini impoveriti.

Inoltre, aspettatevi che quest’estate la NATO elabori un altro mostro psyop per difendere il suo diritto divino (non legale) di entrare nel Mar Nero con navi da guerra per scortare le navi ucraine che trasportano grano. I media pro-NATO lo mostreranno come l’Occidente che ha “salvato” dalla crisi alimentare globale, che sembra essere direttamente causata da pacchetti seriali e isterici di sanzioni occidentali.

 

La Polonia punta all’annessione morbida

La NATO sta infatti aumentando massicciamente il suo “sostegno” all’Ucraina attraverso il confine occidentale con la Polonia. Questo è in sintonia con i due obiettivi generali di Washington: primo, una “guerra lunga”, in stile insurrezione, proprio come l’Afghanistan negli anni ’80, con i jihadisti sostituiti da mercenari e neonazisti. In secondo luogo, le sanzioni strumentalizzate per “indebolire” la Russia, militarmente ed economicamente.

Altri obiettivi rimangono invariati, ma sono subordinati ai primi due: assicurarsi che i Democratici siano rieletti a medio termine (non succederà); irrigare il complesso industriale-militare con fondi che vengono riciclati come tangenti (già in atto); e mantenere l’egemonia del dollaro USA con tutti i mezzi (difficile: il mondo multipolare sta facendo il suo dovere ).

Un obiettivo chiave che viene raggiunto con sorprendente facilità è la distruzione dell’economia tedesca, e di conseguenza dell’UE, con una grande quantità di società sopravvissute che alla fine verranno svendute agli interessi americani…

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Le capriole di chi vuole fare la pace con la guerra – Gianni Lixi

 

E’ difficile stimare il numero di morti dall’inizio dell’occupazione Russa in Ukraina. E’ probabile però che la stima sia superiore ai 4000. A questi bisogna aggiungere un numero imprecisato di soldati russi che pare altissimo.  Affianco a questi numeri ci sono le atrocità che si accompagnano ad una guerra da una parte e dall’altra, le vite spezzate dentro, i danni ecologici che questa guerra sta generando a causa di scelte scellerate che molti governi stanno facendo, l’insicurezza alimentare che colpirà sopratutto le popolazioni più vulnerabili della terra. Ecco , questo è quello che tre mesi di guerra hanno generato. Non c’è niente altro.  Non uno spiraglio che le morti e le assurde atrocità che un uomo è capace di fare in tempo di guerra possano cessare. Tutto questo dopo almeno 5 miliardi di dollari in aiuti militari  che Europa (1,5 miliardi) ed USA (3,5 miliardi) hanno mandato. E Biden non troverà difficoltà a far approvare al congresso gli ulteriori 20,5 miliardi promessi. Ora chiedo  ai:“non sono un guerrafondaio ma dobbiamo dare la possibilità agli Ukraini di difendersi….” Sino a dove si vogliono spingere nel dare la possibilità agli Ukraini di difendersi? Fino ad adesso abbiamo conosciuto morte e distruzione nonostante gli aiuti. Mandiamo più armi? mandiamo militari così la guerra finisce prima? Ma non vi accorgete che c’è un unico paese che si sta avvantaggiando della guerra ? Gli USA e la sua lobby delle armi.

In questo periodo di stallo, e con le morti che continuano, i paladini delle armi hanno qualche dubbio ma non vogliono cedere ed allora o alzano il tiro o fanno delle capriole verbali per non ammettere che l’invio di armi è ed è stata una posizione che non ha aiutato gli Ukraini ed ha reso il mondo geopoliticamente più instabile. Non leggo i giornali ma per avere informazioni delle veline governative, ascolto spesso in questo periodo radio radicale e la sua rubrica “stampa e regime” il cui nome più appropriato sarebbe “stampa di regime” perché è la migliore rassegna stampa governativa che fa da  portavoce a Draghi. I conduttori cercano di scegliere tutti gli articoli che supportano la guerra e sopratutto accompagnano quei pochi articoli che non la supportano con dei commenti che tendono a ridicolizzarli fino ad arrivare a delle risatine per sbeffeggiarli. Bene, a parte il mio autolesionismo, l’ascolto può essere molto interessante. Parlando di capriole forse quella più acrobatica è stata quella di  Marco Taradash che ha detto che la  bella democrazia Ukraina è riuscita ad integrare nell’esercito i fascisti del battaglione Azov! (sentito con le mie orecchie). Poi ci sono quelli che alzano il tiro : si devono inviare sempre più armi ed anzi si doveva intervenire prima ed in maniere più decisa in Crimea. La conduttrice della rassegna stampa di radio radicale Flavia Fratello ha cercato di sfruttare maldestramente la gaffe di Bush quando l’ex presidente ha parlato della  ingiustificata e brutale occupazione dell’Iraq (lapsus chiaramente Froidiano).  La giornalista se l’è presa con  chi è contro l’invio delle armi perché, sosteneva, nel caso dell’Iraq si lamentavano  contro l’occupazione USA dell’Iraq quindi devono essere coerenti ed accettare l’invio delle armi per combattere l’occupazione Russa. Non si capisce bene il sillogismo frutto delle mirabolanti capriole a cui stiamo assistendo in questo periodo. Mi scusi signora Fratello ma io non ho sentito nessuno che fosse contrario all’occupazione Irachena che non fosse anche contrario all’occupazione Russa. Cosa c’entra l’invio delle armi? Nella sciagurata guerra di occupazione USA del 2003 , chi si opponeva all’occupazione non chiedeva l’invio di armi all’IRAQ, chiedeva che gli USA smettessero di occupare un altro paese! La signora Fratello parla da  Radio radicale ed è giornalista di  La7 che sono due testate sioniste che mai fanno menzione dell’occupazione israeliana della Palestina. Ricordo sempre che la popolazione civile Palestinese, che chiede la cessazione dell’occupazione, non chiede invio di armi ma chiede che tutto il modo adotti il boicottaggio (BDS) contro il certificato regime di Apartheid del paese occupante. Ma per USA ed Europa il BDS è fuorilegge e mette in galera chi lo pratica. Cioè il boicottaggio va bene per la Russia (paese occupante) , non va bene per israele (paese occupante da 74 aa).

E cosa dire delle capriole e dei contorsionismi degli esegeti di Berlusconi. Siamo subito chiari, Berlusconi è sempre stato inascoltabile ma in questi ultimi anni è certamente imbarazzante ascoltarlo senza provare un minimo di compassione. L’altro giorno gli è scappata una verità grazie al fatto che il bimbo Berlusconi è riuscito a vedere il Re Nudo. Ha detto infatti che , con l’invio di armi all’Ukraina siamo in guerra anche noi. “Voce dal sen fuggita poi richiamar non vale”, ed invece gli esegeti si sono esercitati in mille equilibrismi per cercare di ridimensionarne il significato: non voleva dire quello!….. E’ stato un contentino per il suo alleato in vista delle prossime elezioni ecc….

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Ucraina, Gratteri lancia l’allarme sulle armi: “Non sono tracciabili. A chi le stiamo inviando?”

 

Da anni l’Occidente fornisce grosse quantità di armi all’Ucraina. Adesso da quando la Russia ha lanciato l’operazione militare per smilitarizzare e denazificare il regime di Kiev il paese è stato ancora più imbottito di armi. Nonostante il presidente Zelensky continui a chiedere sempre più armi.

Dove vanno tutte queste armi? Siamo sicuri che non finiscano nelle mani di organizzazioni criminali? A fare queste domande non è un pacifista qualunque, ma il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, vera e propria punta di lancia dell’antimafia in Italia, ospite della trasmissione ‘Otto e mezzo’ condotta da Lilli Gruber su La7.

“Gli armamenti non sono tracciabili. Quello che è successo in Bosnia, può ripetersi nel Paese che la Russia sta aggredendo. A chi vanno le nostre armi?”.

La guerra, spiega Gratteri, è un grande affare per le mafie: “La guerra può essere un affare importante, una grande opportunità per le mafie. Dopo il conflitto nell’ex Jugoslavia, la ‘Ndrangheta ha comprato molte delle armi che circolavano indisturbate”.

Lo è stato in passato e può esserlo adesso: “Il mercato nero delle armi esiste ancora. In Bosnia, ogni famiglia nucleare ha il suo arsenale. Dopo la guerra nell’ex Iugoslavia, le mafie, le organizzazioni criminali, andavano in Bosnia, in Montenegro, e un kalashnikov costava 750 euro. Subito dopo la guerra, ogni famiglia aveva 4/5 kalashnikov, due bazooka, dieci chili di plastico C3 e C4”, quindi continua Gratteri “chi dice che questo non possa ripetersi? Queste usate dagli ucraini sono armi più sofisticate, sono armi pesanti. A prezzi stracciati, sono facilmente acquistabili. Dobbiamo stare attenti, però: non sono tracciabili. A chi le stiamo inviando?”

da qui

 

 

 

Pacifisti in Conferenza da Amburgo a Trieste, Porti di Pace -Davide Bertok

 

In occasione dello Sciopero nazionale contro la guerra promosso dai Sindacati di Base il 20 maggio è arrivata a Trieste Sibylle Hoffmann di Ziviler Hafen Amburgo, che ha tenuto una conferenza presso il Knulp di via Madonna del Mare presentata da Alessandro Capuzzo di The Weapon Watch sul gemellaggio di pace fra Amburgo e Trieste.

La collaborazione fra attivisti italiani e tedeschi, trae origine da iniziative comuni intraprese contro i traffici di armi nei rispettivi porti, e si estende alla prossima raccolta firme per un Referendum che dichiari la città anseatica Porto di Pace, come da previsione Statutaria; nonchè alla concreta esigibilità dello status Disarmato e Neutrale di Trieste, inscritto nel Diritto internazionale.

L’iniziativa si è aperta col saluto di Solidarietà agli scioperanti Italiani contro la guerra del’Iniziativa Popolare contro i trasporti di armamenti attraverso il porto di Amburgo (Volksinitiative gegen Rüstungsexporte) che sostiene le richieste contro l’aumento della spesa militare e per l’aumento della spesa sociale, e si augura il successo dello sciopero il cui slogan “Insieme contro la guerra”, è lo stesso della lotta per un porto civile (Ziviler-Hafen, appunto) ad Amburgo.

Sibylle Hoffmann ha illustrato le modalità per la realizzazione del Referendum, effettivamente praticabile ad Amburgo, il cui secondo step inizia con la raccolta di 65.000 firme il 29 agosto per tre settimane. Mentre lo status di Neutralità triestino, pur definito dal Trattato di Pace del 1947 e ratificato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché dal Parlamento Italiano non viene a tuttoggi praticato.

Fra le due città si sta delineando una strategia, che da una parte si concentra sulla collaborazione con alcuni pacifisti tedeschi azionisti di “Hamburger Hafen und Logistik AG – HHLA”, grande azienda portuale amburghese concessionaria della Piattaforma Logistica nel porto di Trieste; e sull’appoggio al Referendum amburghese.

Mentre l’Iniziativa popolare Volksiniative gegen Rüstungsexporte sostiene il movimento disarmista, a Trieste e nel mondo. Primo risultato della comune attività è stato l’aiuto fornito per la partecipazione all’Assemblea azionaria di HHLA, dalla Dachverband der Kritischen Aktionärinnen und Aktionäre (Associazione degli Azioniste e Azionisti Critici) che ha presentato le domande dei pacifisti alla Direzione dell’azienda.

Rispondendo alle domande rivolte, la Direzione di HHLA ha avuto una caduta di stile affermando che “Le armi non sono merci automaticamente pericolose” (Rüstungsgüter sind nicht automatisch Gefahrgüter). Ed ha palesato un errore sulla responsabilità dei vettori, che sono sempre a conoscenza della tipologia di merce trasportata per poter prendere le misure adeguate alla movimentazione, in relazione alla pericolosità del carico.

Inoltre, per tutte le merci di tipologia militare dirette verso Paesi “a rischio”, il vettore deve dare comunicazione previa alle Autorità portuali e doganali del porto di transito. Riguardo allo scalo triestino, la legge italiana 185/90 e il Trattato Internazionale sulle Armi Convenzionali vietano non solo l’esportazione, ma anche il transito e il trasbordo delle merci militari verso Paesi a rischio bellico, o che violino gravemente i Diritti umani.

Dopo l’intervento americano volto a bloccare la Via della Seta, concordata fra i Governi italiano e cinese, la Tedesca HHLA è sopravvenuta nella gestione della Piattaforma Logistica Triestina in porto. L’azienda è di proprietà per circa due terzi della Città di Amburgo. Uno dei terminal amburghesi di HHLA è posseduto per un terzo da società Cinesi. HHLA è proprietaria di terminal anche a Tallinn in Estonia e Odessa in Ucraina.

Sarà interessante verificare le risposte alle domande che gli azionisti e operatori di Pace di Amburgo e Trieste porranno all’azienda, nella prossima Assemblea.

da qui

 

 

 

 

scrive Costituente Terra:

 

CHE COSA FINISCE

 

Cari Amici,

se nel pieno di una crisi in Europa  il loquace Biden è andato in Asia

a provocare  la Cina, vuol dire che non siamo alla resa dei conti

finale né con la Russia né con la Cina, ma all’intimidazione e alla

sfida, e anche la guerra in Ucraina comincia ad apparire come ben

diversa da come l’abbiamo percepita fin qui.

È una guerra mondiale, perché tale è una guerra che coinvolge le

grandi Potenze, ma resta una guerra mondiale a pezzi, come non si

stanca di definirla il papa per farla cessare; è una guerra efferata,

ma messa in scena come uno spettacolo, dove a contare non sono le

tragiche moltitudini delle vittime, tranquillamente immolate da una

parte e dall’altra, ma i primi attori solitari, i Putin, gli Zelensky,

i Biden, gli Stoltenberg; è una guerra combattuta con altri mezzi,

l’economia, l’Intelligence, le fake news, le maratone e non solo con

le armi; è una guerra che ostenta molte armi, ma più accantonate e

predisposte allo sterminio che destinate alla difesa e alla conquista;

è una guerra preventiva, da un lato per salvarsi da un cane che abbaia

ma non morde e dall’altro per rassicurare Paesi che nessuno minaccia;

è una guerra per fiaccare un antagonista che contende un primato

esclusivo e cacciarlo tra i paria, ma non per distruggerlo. In questo

senso è una buona notizia: non è una guerra senza chiaroscuri e senza

speranze, come ce l’hanno venduta gli analisti e i crociati nostrani,

ma una guerra che ancora possiamo prendere in mano, arginare, far

finire, riportare alla ragione.

Non si tratta in realtà né di balcanizzare la Russia post-sovietica,

né di giocare il finale di partita con la Cina, né di annettersi

l’Ucraina per poi invadere l’Europa con o senza la NATO. Non si tratta

della fine della storia e dell’ultimo uomo alla Fukuyama, ma della

fine di un mondo quale con ottusità e violenza abbiamo costruito fino

ad ora; è l’annuncio, come diceva padre Balducci della prima guerra

del Golfo, del “declino, anzi della fine dell’età moderna così come

cominciò cinquecento anni fa col genocidio degli Indios nel lontano

Occidente”. La fine dell’età moderna era per lui “la fine dell’età

dell’egemonia mondiale euro-atlantica”, cioè di quel sistema di legge

e di mercato, a cui ormai è approdata anche la Russia di Putin, “che

ha reciso nella coscienza profonda dei popoli  del Sud la speranza di

una conquista pacifica del diritto a prendersi in mano la propria

storia”. Sono i popoli che all’ONU si sono rifiutati di votare per la

guerra tra la Russia e l’Occidente, gli 82 Paesi che se ne sono

dissociati, tra cui c’è tutta l’Asia, a parte il Giappone, e gran

parte dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente, una parte

preponderante cioè della popolazione della Terra, che la vorrebbe

salvaguardare, conservare, difendere; è il vero mondo che non va

umiliato ed escluso, come invece l’America atlantica vuole fare della

Russia.

E allora è questo il vero cimento a cui siamo chiamati: chiudere la

parentesi infausta che abbiamo aperto ripristinando la guerra con la

guerra del Golfo, dissipando le straordinarie risorse che ci erano

state offerte con la rimozione del Muro. Dobbiamo intraprendere invece

la ricostruzione della storia quale avevamo cominciato a concepirla

nel Novecento, a partire dalla Carta atlantica di Roosevelt e

Churchill in piena guerra mondiale (niente a che fare col Patto

atlantico) fino al pensiero politico nuovo di Gorbaciov; a partire

dalla Dichiarazione di Nuova Delhi per “un mondo libero dalle armi

nucleari e non violento” alla Carta di Abu Dhabi che attribuisce  la

pluralità delle religioni alla stessa volontà divina, dalle

Costituzioni postbelliche all’ “uscita dal sistema di dominio e di

guerra” dei convegni di Cortona, dal Concilio ecumenico Vaticano II

alla “Fratres omnes” di papa Bergoglio. Questo è il futuro, al netto

della Bomba.

 

 

 

Nessuna base per nessuna guerra – Movimento No Base

Quattrocentoquarantamila metri cubi di edifici. 73 ettari di territorio cementificato a fini militari. In un territorio già insopportabilmente militarizzato. All’interno di un parco naturale, dove non si potrebbe cementificare un metro quadro. In segreto, in aperto spregio alla trasparenza democratica e alla partecipazione popolare. A danno di chi ci vive e chi ci lavora. Attraverso le procedure del PNRR, con soldi pubblici – 190 milioni di euro – che dovrebbero essere ufficialmente destinati a fondamentali progetti ambientali e bisogni sociali. Nel contesto di un tragico e pericolosissimo scenario di guerra in cui il governo decide di eliminare l’Iva per i servizi e beni militari anziché finanziare scuole, sanità, edilizia popolare e agevolata, misure di prevenzione e contrasto della violenza di genere.

 

Questo è ciò che ha cercato di imporre al territorio pisano e in particolare alla comunità di Coltano e al Parco di Migliarino San Rossore Massacciuccoli il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi pubblicato il 23 marzo 2022 sulla Gazzetta ufficiale e tenuto nascosto da più di un anno da chi governa a livello locale, il sindaco Michele Conti e il presidente della Regione Eugenio Giani, e nazionale. Un chiaro attacco alla democrazia rispetto al quale la popolazione chiede il ritiro immediato del decreto.

Contro questa imposizione un territorio è insorto, con forza. Da ogni parte d’Italia arrivano solidarietà e sostegno. Tanti territori si riconoscono in Coltano, perché i tratti costitutivi del progetto di base militare, sono propri del sistema capitalista e patriarcale in cui siamo immers*.
Un sistema che associa la sicurezza al controllo, al filo spinato, ai mezzi blindati. Un sistema che vuole trasformare Pisa nella più importante piattaforma logistica per la guerra, da Camp Darby all’aeroporto militare. Per noi la sicurezza è diritto a un’abitazione dignitosa,​ autodeterminazione e indipendenza economica, un ambiente e un cibo sano, servizi sociali che funzionano, diritti e sicurezza sul lavoro, libertà dalla violenza e dalla devastazione su corpi e territori.

Un sistema che disprezza la tutela dell’ambiente e del paesaggio, perché è un ostacolo alla produzione continua e incontrollata. Nel quale la guerra è il paradigma dell’inquinamento e della distruzione delle risorse. Per noi il mondo che verrà avrà più campi da coltivare e meno speculazione edilizia, più biodiversità e meno ruspe, più tutela delle risorse naturali, più risorse ai parchi per vivere meglio e più a lungo.

Un sistema che si fonda sull’economia di guerra che investe in armi, continua ad aumentare le spese belliche, invia missioni militari all’estero è l’espressione più organizzata della violenza patriarcale che impone e riproduce identità di genere funzionali a questo sistema. Noi vogliamo che le risorse pubbliche vengano utilizzate davvero per rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale, di genere e provenienza che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine.
Noi vogliamo un mondo di pace in cui le persone possano crescere e vivere sapendo che i loro diritti sono garantiti e non debbano avere paura.

Un sistema opaco, autoritario, patriarcale e razzista. Che pensa di poter decidere sulla vita di tutti e tutte noi per decreto, scavalcando discussione e partecipazione. La nostra idea di democrazia è ascolto, interesse collettivo, partecipazione, trasparenza.

CONTRO la costruzione di una nuova base militare a Coltano e in qualunque altro territorio, PER ribadire che i soldi pubblici devono essere spesi per la nostra sicurezza sociale e l’accesso ai servizi, la tutela dell’ambiente e del territorio.
Per questo e per molto altro lanciamo una manifestazione nazionale a Pisa il 2 giugno.

Per informazioni: 3711177310
movimementonobasepisa@gmail.com

Qui i progetti della base di Coltano tenuti nascosti per lungo tempo alle comunità.

da qui

 

 

 

Intesa Sanpaolo: dalla Russia agli Usa in sostegno del gas

A tre mesi dalla data che ha sconvolto la vita di milioni di persone in Europa e nel resto del mondo dando il via a una nuova spirale di violenza in Ucraina e di repressione in Russia, ReCommon pubblica il rapporto ‘La finanza va alla guerra: Intesa Sanpaolo tra industria fossile russa e gas statunitense’.

La finanza va alla guerra

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Intesa Sanpaolo è il gruppo finanziario italiano con le relazioni più strette con Mosca, curando tutti i principali investimenti italiani in Russia e viceversa. Tra il 2016 e il 2021, i finanziamenti concessi all’industria fossile russa ammontano a 4,9 miliardi di dollari. Di questi, 2,9 miliardi alla sola Gazprom, principale società energetica controllata dallo Stato, che può fare il bello e il cattivo tempo quando si tratta di export di gas russo verso l’Europa, di cui quest’ultima è dipendente, Italia in primis. I profitti derivanti dal business di queste società rappresentano il forziere che alimenta l’offensiva militare in corso in Ucraina.

Oltre ai numeri, quando si parla di ‘esposizione al business russo’ ci sono anche altri dati da tenere in considerazione: ‘uomini forti’ nelle posizioni chiave e curiose coincidenze. Tra queste, la mancata inclusione di Gazprombank tra le banche russe soggette a sanzioni economiche da parte dell’Unione europea, attraverso l’esclusione dal sistema SWIFT. Intesa Sanpaolo e Gazprombank detengono il MIR, primo fondo di investimenti italo-russo. Inoltre, l’unico italiano nel board del sistema SWIFT è proprio di Intesa Sanpaolo: Banca Intesa Russia, per la precisione.

 

Negli stessi anni, la più importante banca italiana è riuscita a fare breccia nell’immaginario collettivo come banca sostenibile e al servizio dei territori. Niente di più distante dalla realtà: tra il 2020 e il 2021, Intesa Sanpaolo ha finanziato i settori del carbone, del petrolio e del gas con 9 miliardi di dollariDi questi, 6,4 miliardi nel solo 2021: un incremento del 146% rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda gli investimenti, al 1 gennaio 2022 ammontano a 4 miliardi di dollari+50% rispetto all’anno precedente. È proprio per il suo mix di operazioni creditizie e di investimenti nel business fossile che Intesa Sanpaolo può essere definita la ‘banca nemica del clima’ n.1 in Italia.

In attesa di capire che cosa sarà degli interessi in Russia di Intesa, l’istituto di Corso Inghilterra risulta esposto anche negli Stati Uniti, a cui l’Italia ha scelto di legarsi a doppia mandata per buona parte della sua ‘nuova dipendenza’ dal gas.

Il gas che arriva in Europa dagli Stati Uniti è prodotto prevalentemente nel Permian Basin, attraverso l’utilizzo di pratiche ultra-invasive come il fracking o la trivellazione orizzontale. Si stima che, fra il 2020 e il 2050, la combustione di tutte le riserve di petrolio e gas del Permian Basin possa produrre l’emissione di 46 miliardi di tonnellate di CO2: una vera e propria ‘bomba climatica’.

Nel business dal gas made in USA, Intesa è già ben posizionata – in primis sul fronte dei terminal per l’export, pronta a saltare sul carro dei ‘vincitori fossili’ di questa guerra: tra il 2016 e il 2021 ha concesso infatti prestiti per 1,9 miliardi di dollari alle multinazionali maggiormente coinvolte nella produzione e trasporto di petrolio e gas del Permian BasinDi questi, 830 milioni di dollari per progetti di gas naturale liquefatto (GNL) che arriva in Europa.

«Chiediamo che Intesa Sanpaolo implementi un piano di fuoriuscita da tutto il settore carbonifero, che smetta di finanziare progetti fossili nella Regione artica e che inizi a disinvestire da tutte quelle società che ora, mentre parliamo, stanno espandendo il proprio business fossile. Inoltre, chiediamo al gruppo di chiudere immediatamente ogni relazione con l’industria fossile russa», commentano Simone Ogno e Daniela Finamore di ReCommon, autori del rapporto. «Investitori, organizzazioni della società civile, movimenti per la giustizia ambientale e climatica sono in prima fila a denunciare gli sporchi affari del gruppo: ormai davvero in pochi credono al greenwashing di Intesa Sanpaolo, che continua a tingere di verde un business nero», concludono.

da qui

 

 

 

L’Avventura della Pace – Antonia Sani

La Pace è un’avventura. Colgo l’espressione dal titolo della recente pubblicazione

di Bruna Bianchi, già docente di Storia delle donne a Ca’Foscari.

Avventurosa è la percezione di una Pace non priva di contraddizioni nei secoli.

Sulla sua interpretazione sono stati impiegati fiumi di inchiostro, spesi fiumi di parole

ai tavoli dove i Trattati nel suo nome spartivano territori e esistenze umane.

La parola Pace è comunemente intesa come “assenza di conflitti”, a partire dagli ambienti familiari, è l’aspirazione a una quiete senza ansie, il leopardiano  ” e il naufragar m’è dolce in questo mare”; è la parola più frequentemente impressa in lingua italiana e latina su tombe e monumenti funebri, sotto i quali ogni essere umano ha raggiunto la fine delle angosce,delle lotte , delle amarezze, delle travolgenti gioie della vita .  Una pace passiva; è, dunque , sia trionfo dell’egoismo e dell’inerzia, ma anche esaltazione dell’altruismo e della generosità nel caso di una rinuncia pacifica all’autoreferenzialità ….

Pace è talvolta una generica proclamazione del nulla.  Pensiamo agli iridati tessuti di borse e valigie, alle bandiere arcobaleno pendenti dalle finestre di case e balconi al tempo della guerra in Iraq (2002-03) con al centro la scritta PACE, lasciate pian piano sbiadire prima della decisione individuale / collettiva di toglierle.

Cosa intendevano coloro che le avevano appese? Chi pensava al mito di Iride? Chi al ponte variopinto tra Dio e l’umanità?  Pace significava essere uniti nel dire NO a una guerra lontana, a indicare (ma non tutti consapevolmente) da che parte si stava; soprattutto auspicare per se stessi e i propri familiari una vita “sicura”, come se lo stendardo della pace fungesse da amuleto e potesse servire a tener lontani gli appetiti violenti, le aggressioni alla propria abitazione…

Ma “Un mondo di pace” significa anche un mondo in cui tutti/e abbiano cibo e lavoro nella giustizia sociale; a questo tendono  i gruppi di volontari, a casa nostra e nel mondo, uomini e donne, ragazzi e ragazze che impegnano la propria vita nell’educazione dei bambini, nell’assistenza agli anziani, e , in questi anni recenti, nell’accoglienza dei migranti; ma anche volontari e volontarie che si scontrano su terreni di guerra mettendo a rischio la propria vita per un sogno.

Il sogno di un mondo di pace.

Sono costoro una netta minoranza. La stragrande maggioranza della popolazione , a partire dai più giovani, intreccia oggi la pace con l’emergenza climatica, il rispetto per l’ambiente, battaglie ideali che affascinano come sull’orlo di un precipizio, ma che non trovano riscontro in una quotidianità fatta di abitudini consolidate che mettono a repentaglio una pace vagheggiata ,sì, ma contrastata quotidianamente a partire dalle politiche di governi protesi alla conservazione del potere assecondando al meglio le aspettative dei propri cittadini, (che – peraltro – solo a un maggiore benessere aspirano, incuranti – essi e i governanti – delle conseguenze- in primis l’inquinamento- che mettono a forte rischio la sostenibilità del pianeta).

Qui sta LA GRANDE CONTRADDIZIONE. I sistemi adottati dagli Stati nel mondo globalizzato restano gli stessi di sempre. “Si vis pacem para bellum” si diceva a Roma alla vigilia della caduta dell’Impero Romano d’Occidente. L’uso delle armi, la  loro vendita oggi moltiplicata al parossismo, serve a essere sempre pronti a proseguire nella direzione del possesso di beni e dello sfruttamento di popolazioni , ciò che ha contribuito allo sviluppo delle nostre società nella direzione che oggi i sostenitori della green economy contestano, pur non essendo in grado di opporre  le necessarie rinunce a livello individuale.

Un esempio lampante è l’incendio delle foreste dell’Amazzonia, per consentire la prosecuzione della direzione mondiale intrapresa dai poteri forti.. Troppo flebili sono le voci nel mondo dei gruppi che si oppongono.

La Pace è stata storicamente il prodotto di guerre. La famosa pax augustea ne è la rappresentazione..

Le ” orrende” armi tacciono quando sulle migliaia di morti, sui viventi che hanno perso le proprie case, i luoghi cari passati in mano nemica, sulle leggi dettate dallo Stato vincente, si stende la “pace”, una ” pace subìta” dai vinti, che porta in sé il germe della ribellione, una “ pace proprietà esclusiva” dei vincitori, pronti a gestirla con proprie modalità. Così è stato sempre.

Come superare la contraddizione lacerante, tra una pace intesa come “serenità individuale” e l’ astrattezza del concetto quando si passa al piano della “pace bene comune”, ovunque proclamata ma lungi dall’essere praticata?

Alcune delibere ONU ci vengono in aiuto, a partire dalla celebre ris.1325 del 2000- “Donne, Pace,Sicurezza”, epigono di varie altre risoluzioni sui “Diritti delle Donne e della Pace.”

La Pace finalmente nel suo autentico connotato..

Si entra subito su un terreno concreto: la risoluzione riguarda il ruolo delle donne nei conflitti armati.:

  1. a)  prevenzione e soluzione del conflitto, b) consolidazione della pace , partecipazione paritetica,

in particolare nei ruoli decisionali in materia di prevenzione e soluzione dei conflitti.

Le azioni che la 1325 attribuisce alle competenze degli Stati devono essere attuate dai rispettivi Governi..

Le associazioni internazionali di donne, tra queste in primo piano la WILPF ( Womens International League for Peace and Freedom) di antica datalamentavano a cinque anni dalla risoluzione l’assenza di interventi da parte dei rispettivi governi, tra gli altri la non paritetica presenza dei generi nelle istituzioni.

Ma l’aspetto più interessante della 1325 riguarda la ” costruzione” della Pace. Al di là di una vaga idea di pace si dispone la messa in atto di interventi atti a tutelare, a proteggere le parti più a rischio delle popolazioni vittime dei conflitti armati.

Ha inizio qui l’avventura della Pace, intesa come percorso post-bellum .. ” La comprensione degli effetti dei conflitti armati sulle donne e le ragazze, i meccanismi istituzionali efficaci per garantire la loro protezione e piena partecipazione nel processo di pace possano contribuire considerabilmente al mantenimento e alla promozione della pace e della sicurezza internazionali.”.

Il cammino ha tre tappe : la prevenzione, la gestione ,e la soluzione dei conflitti. In tutti e tre i livelli viene ribadita la necessità della rappresentazione delle donne nelle fasi di adozione delle decisioni.

La prevenzione si innesta sulla soluzione del conflitto precedente, per evitare nuove guerre.

La soluzione prevede negoziazioni degli accordi di pace adottati in una prospettiva di genere, nel rispetto dei diritti umani e politici delle donne, della loro possibile attività in iniziative di pace durante il reinsediamento. Tutte le parti coinvolte in un conflitto armato – recita la 1325 – devono adottare misure specifiche per proteggere donne e ragazze da violenze di genere, stupri e altre forme di abusi sessuali.

La 1325 ha ormai quasi 20 anni, ma i suoi dettami sono ancora ben lungi dal  garantire il rispetto in ambito nazionale e internazionale dei diritti umani.!  Eppure, la Pace non può che fondarsi su questi presupposti . Essa deve liberarsi dai proclami universalistici non in grado di sventare appetiti e violenze che minacciano “il bene comune”.

Questo ” bene comune” bisogna pensare a come rappresentarlo. Ci viene in soccorso l’Agenda ONU 2015-30 “Per lo sviluppo sostenibile“, in cui la Pace fa i conti coi linguaggi contemporanei “Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e creare istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli”. .Da questa risoluzione prende le mosse la recente proposta di un seminario “Cultura della Pace in Sicilia”  che fonda il suo progetto su un’educazione interculturale e sul pluralismo religioso.

L’ obiettivo è la formazione di una generazione in grado di ” gestire la pace” , senza tabù, in un clima di laicità, in cui le diversità non siano da respingere, le armi convenzionali e nucleari siano il nemico da distruggere, la green economy  non sia un finto stratagemma, la parola Pace non significhi nascondere la testa sotto la sabbia, o sventolare vessilli di facciata,  ma la fucina dove forgiare gli strumenti per una reale  pacifica convivenza a partire dai territori in cui si vive.

 

“FERMARE LA GUERRA IN UCRAINA, FERMARE TUTTE LE GUERRE, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI” – Peppe Sini 

Nel pomeriggio di sabato 21 maggio 2022 a Viterbo presso il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” si e’ svolto un incontro di riflessione e di testimonianza contro la guerra e le stragi di cui essa sempre e solo consiste.
Di seguito una sintesi dell’introduzione del responsabile della struttura nonviolenta viterbese, Peppe Sini.
*
1. La guerra e’ un crimine
La guerra sempre e solo consiste dell’uccisione di esseri umani e della distruzione di beni necessari alla vita degli esseri umani.
La guerra sempre e solo e’ nemica dell’umanita’.
Chi prepara, promuove, esegue, sostiene una guerra, con cio’ stesso prepara, promuove, esegue e sostiene l’uccisione di esseri umani.
Chi prepara, promuove, esegue, sostiene una guerra, con cio’ stesso coopera alla distruzione dell’umanita’ e del mondo vivente.
A tutte le guerre occorre opporsi.
Non esiste ne’ guerra giusta ne’ guerra necessaria: la guerra e’ sempre e solo un crimine contro l’umanita’.
Abolire la guerra occorre.
E per abolire la guerra occorre abolire altresi’ gli eserciti e le armi che della guerra sono gli strumenti.
*
2. Solo la nonviolenza difende i diritti umani di tutti gli esseri umani, solo la nonviolenza si prende cura dell’intero mondo vivente
La guerra viola tutti i diritti umani, ed innanzitutto il primo e fondamentale: il diritto alla vita.
Difendere i diritti umani, difendere la democrazia, difendere la civile convivenza, richiede innanzitutto una nitida e intransigente opposizione alla guerra.
Per difendere la vita, la dignita’ e i diritti di tutti gli esseri umani, per difendere la democrazia, il diritto, la civile convivenza, l’umanita’ ha una e una sola risorsa: la nonviolenza.
La nonviolenza e’ l’umanita’ che prende coscienza di se’ e dei propri doveri.
La nonviolenza e’ l’umanita’ che si riconosce come un’unica famiglia.
La nonviolenza e’ l’umanita’ che si riconosce parte e custode dell’intero mondo vivente.
La nonviolenza e’ la sola politica possibile e necessaria nell’epoca tragica aperta degli orrori di Auschwitz e di Hiroshima.
*
3. Fermare la guerra subito
Ogni giorno di guerra e’ una strage di esseri umani innocenti ed inermi.
Ogni giorno di guerra l’intera umanita’ viene mutilata, straziata, denegata.
Ogni giorno di guerra la barbarie divora una parte di umanita’.
Ogni giorno di guerra il male distrugge una parte della vita.
Ogni giorno di guerra avvicina l’ecatombe dell’umanita’ intera.
Dinanzi alle stragi nessun’altra considerazione puo’ prevalere rispetto al compito primo e ineludibile: salvare le vite, fermare immediatamente la guerra.
Dinanzi al pericolo dell’espansione della guerra che da un giorno all’altro puo’ divenire mondiale e nucleare, quindi apocalittica, nessun’altra considerazione puo’ prevalere rispetto al compito primo e ineludibile: salvare l’umanita’, fermare immediatamente la guerra.
Ogni guerra puo’ e deve essere interrotta da un negoziato. Alle armi si sostituiscano le parole. Alle stragi si sostituisca il dialogo.
Vi sara’ modo nel corso del negoziato di riconoscere torti e ragioni, di trovare esiti per quanto possibili soddisfacenti, ma quello che piu’ conta, quello che solo conta, e’ fermare le stragi, salvare le vite, far cessare la guerra.
Prima che sia troppo tardi si fermi la guerra e si avviino negoziati di pace.
Troppe persone sono gia’ morte.
L’intera umanta’ e’ in pericolo.
*
4. Tre dirimenti considerazioni
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo’ salvare l’umanita’ dalla catastrofe.
*
5. Alcune letture utili
Tra la caterva di pubblicazioni (quelle recenti perlopiu’ di taglio giornalistico e di valore sovente infimo) consiglieremmo le seguenti in guisa di introduzione ovvero per saperne qualcosa di piu’:
a) Sull’Holodomor una testimonianza letteraria straordinaria e’ nel libro di Vasilij Grossman, Tutto scorre…, tradotto in italiano da Adelphi (di Grossman ovviamente occorre aver letto anche almeno Vita e destino, sempre presso Adelphi).
b) Sul sistema di potere di Putin sono ancora assai utili i tre volumi di Anna Politkovskaja pubblicati sempre da Adelphi: La Russia di Putin, Diario russo e Per questo, e la raccolta Proibito parlare edita da Mondadori.
c) Sulla Russia oggi: una sintetica introduzione e’ quella di Mara Morini, La Russia di Putin, edita dal Mulino.
d) Sull’Ucraina oggi: una sintetica introduzione e’ quella di Massimo Vassallo, Breve storia dell’Ucraina, edita da Mimesis.
e) Sulla guerra in corso sono particolarmente utili i tre volumi di “Limes” e i due fascicoli di “Domino” (ovviamente gli interventi sono polifonici e fin dissonanti, e di assai diversificati approcci e valore); il volume a cura di Memorial Italia, Ucraina. Assedio alla democrazia, edito da Rcs; il volume di Franco Cardini e Fabio Mini, Ucraina. La guerra e la storia, edito da PaperFirst; la raccolta di interventi di papa Francesco, Contro la guerra, edito da Rcs e Libreria editrice vaticana.
f) Per una riflessione sulla pace e’ ancora insuperata la vecchia antologia curata da Ernesto Balducci, Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un’utopia, edita da Principato.
g) Sulla nonviolenza i libri migliori sono ancora la raccolta di scritti di Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, pubblicata da Einaudi e piu’ volte ristampata; e la raccolta di scritti di Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, edita da Protagon.
h) Come e’ noto i contributi piu’ rilevanti all’azione e al pensiero di pace, solidarieta’, nonviolenza sono venuti dal movimento delle donne: tra i libri panoramici che suggeriremmo per un primo orientamento segnaliamo ancora una volta i seguenti: Adriana Cavarero, Franco Restaino, Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999, Bruno Mondadori, Milano 2002, 2009; Giancarla Codrignani, Ecuba e le altre. Le donne, il genere, la guerra, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; Pieranna Garavaso, Nicla Vassallo, Filosofia delle donne, Laterza, Roma-Bari 2007; Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; Giovanna Providenti (a cura di), La nonviolenza delle donne, Quaderni Satyagraha – Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006; Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune Edizioni, Mantova 2001; Chiara Zamboni, La filosofia donna, Demetra, Colognola ai colli (Verona) 1997.
i) Per pensare i compiti dell’umanita’ nel tempo presente segnaleremmo infine alcuni decisivi lavori di Guenther Anders, Hannah Arendt, Zygmunt Bauman, Simone de Beauvoir, Albert Camus, Hans Jonas, Primo Levi, Emmanuel Levinas, Rosa Luxemburg, Vandana Shiva, Simone Weil, Virginia Woolf.
*
6. Una semplice, ineludibile conclusione
Cessi immediatamente la guerra: si avviino immediatamente negoziati di pace.
Si fermino immediatamente le stragi e le devastazioni in corso: si avviino immediatamente negoziati di pace.
Si revochino tutti gli atti di aggressione e di belligeranza: si avviino immediatamente negoziati di pace.
Siano soccorse, accolte, assistite tutte le persone in fuga dalla guerra e dalla fame, dalle devastazioni e dagli orrori.
Si rechino immediati aiuti umanitari alle popolazioni vittime della guerra.
Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Siamo una sola umanita’ in un unico mondo vivente casa comune dell’umanita’ intera.
Salvare le vite e’ il primo dovere.
*
7. Un percorso di riflessione ed alcune ulteriori e piu’ dettagliate proposte pratiche
In questi mesi il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo ha ripetutamente formulato percorsi di analisi e proposte operative.
Segnaliamo di seguito alcuni interventi di sintesi che possono essere consultati nella rete telematica, tutti pubblicati nel notiziario “La nonviolenza e’ in cammino”:
– “Mitakuye Oyasin”. Alcune parole contro la guerra dette a Viterbo e nel viterbese il 24, 25 e 26 febbraio 2022;
– “Partecipando al digiuno contro la guerra”, 2 marzo 2022;
– “A un passo dall’apocalisse atomica: cessate il fuoco”. 4 marzo 2022;
– “Nulla rimane della scolara di Hiroshima”. Alcune parole contro la guerra dette a Viterbo e nel viterbese il 5, 6, 7 e 9 marzo 2022;
– “Intervenga l’Onu a fermare le stragi”, 10 marzo 2022;
– “Con il popolo ucraino, contro la guerra”. Un discorso a Santa Barbara, 12 marzo 2022;
– “Ogni vittima ha il volto di Abele. Fermiamo la folle guerra di Putin”. Un discorso il 15 marzo 2022;
– “Salvare le vite e’ il primo dovere”, 16 marzo 2022;
– “Quattro conseguenze della guerra in corso, e quattro cose che e’ urgente fare”, 18 marzo 2022;
– “Con le lacrime agli occhi. Tredici ragionamenti contro la guerra in corso in Ucraina e sui nostri doveri di esseri umani (con in appendice uno scritto di Benito D’Ippolito)”, 20 marzo 2022;
– “Alcune parole dette oggi alla stazione ferroviaria”, 25 marzo 2022;
– “Esposto contro la decisione del governo italiano di inviare armi in Ucraina, cosi’ contribuendo alla guerra e alle stragi di cui essa consiste, in flagrante violazione dell’articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana”, 28 marzo 2022;
– “Alcune parole di polvere e cenere dette da un uomo che e’ vecchio in un giorno di digiuno”, 6 aprile 2022;
– “Col sangue degli altri”. Una lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri, 10 aprile 2022;
– “L’umanita’ intera sostenga la tregua pasquale proposta da papa Francesco e persuada ad accoglierla il governo russo aggressore, il governo ucraino e gli altri governi coinvolti nella guerra”, 11 aprile 2022;
– “I giorni dell’orco”, 17 aprile 2022;
– “Presidente, apra gli occhi. Il piano del governo russo e di quello americano e’ ridurre l’Ucraina in macerie e l’intera Europa in miseria”. Una lettera aperta al Quirinale, 29 aprile 2022;
– “Breve e franca una lettera aperta alla Presidente della Commissione Europea, affinche’ voglia finalmente adoperarsi per la pace che salva le vite”, 2 maggio 2022;
– “Due cose che potrebbe e dovrebbe fare l’Unione Europea per la pace che salva le vite”, 6 maggio 2022;
– “Un’azione efficace, e forse la piu’ efficace, per fermare la guerra e salvare innumerevoli vite: sciogliere la Nato”, 8 maggio 2022.

 

L’ OPINIONE PUBBLICA – Antonia Sani

Arrivano in continuazione messaggi in rete che dovrebbero aiutarci a capire il quadro geopolitico relativo a questa guerra. Non si tratta di testi di facile comprensione, poiché chi li spedisce li invia come il prodotto sofferto di ragionamenti meditati alla ricerca
della propria verità.
La verità su questa guerra.

Una guerra di cui si parla da lontano, non combattuta sul nostro territorio, “una guerra per procura”, spesso viene detto.  “Ci troviamo in presenza di due guerre: una combattuta in scontri armati, l’altra con droni e sostegni tecnico-scientifici,” come viene sentenziato.

Ma tutti capiscono cosa si intende dire ? Siamo certi che le notizie dei tg pronunciate a rotta di collo, infarcite di termini sempre più incomprensibili per la gran parte di un pubblico incolto, mal collocate nel corso dei notiziari alla sola ricerca di sollecitare l’audience,  finiscano per non essere comprese se non addrittura allontanate da milioni di ascoltatori?

A due mesi dallo scoppio di una guerra improvvisa non dichiarata abbiamo notato che gran parte dei cittadini con cui siamo in contatto sta scivolando in un mondo spettacolare e insieme doloroso, inatteso e non prevedibile, su cui prevale l’incapacità di esprimere un giudizio, mentre è partita  contemporaneamente quella solidarietà altamente diffusa dai ripetitivi mezzi di informazione verso gli ucraini , prima   sconosciuti nonostante il rifugio trovato nel nostro Paese dai loro luoghi di guerra.

Qualcuno dice “siamo in guerra” e ne tenta un resoconto. In una specie di partita a scacchi vengono teorizzate machiavelliche elucubrazioni sulle posizioni militari, con soddisfazione personale ma di fatto personalmente distanti i protagonisti radiotelevisivi dagli atroci assassinii, dalle donne disperate, da volontari e volontarie sui luoghi dei bombardamenti, dalle incessanti carovane di famiglie in fuga da un luogo all’altro, da o verso la Russia, che le Tv non cessano di mostrare.

I  sondaggi per la popolazione sono un importante indice delle  quotidiane informazioni  (stampa, radiotv,video) .
La guerra,  una specie di gara come per le partite internazionali al di fuori del proprio territorio ?
È facile rabbrividire (anzi, fingere di rabbrividire) e nello stesso tempo invocare la Pace che non si saprebbe come  riempire, ossia riempiendola di ideali tradizionali che con la guerra non hanno a che fare. Un fazzoletto bianco come rinuncia alle armi? Basterebbe per l’ingresso alla Pace?
Sono in progressivo aumento i gruppi pacifisti antiamericanisti che stanno mettendosi in contatto gli uni con gli altri. E aumentano i gruppi filorussi , la curiosità per monili, abiti, esperienze religiose, orientali e linguistiche; ma anche pietà per tanta improvvisa sofferenza, e nello stesso tempo orrore per le atroci  violenze commesse dalle truppe russe antinaziste e antiamericane ciecamente fedeli alla propaganda putiniana.

L’opinione pubblica traballa in questo groviglio di sentimenti, e si divide su trasmissioni in cui compaiono tra reclames assordanti e volti ripetutamente presentati, programmi densi di informazioni politiche e storiche, di eventi rievocati, suscettibili di accese discussioni ma certamente ignoti alla grandissima parte del pubblico affezionato alle Tv.

È  questo l’aspetto più negativo e pericoloso che si riscontra nella formazione di giudizi privi delle indispensabili necessarie competenze linguistiche e culturali.

L’ informazione sta comunicando – stiamo attenti! – una profonda divisione in due, come è sempre stata l’esistenza di due nemici. Ancora destra e sinistra? Putin rappresenterebbe la sinistra?  Sotto quale aspetto?
Ma, veniamo a tutto quanto si sta svolgendo intorno a noi  (il viaggio di Draghi in Usa con l’incontro di Biden, il suo affrancars[i dal gas russo, il suo improvviso rivolgersi a un Sud diverso, a problemi relativi all’alimentazione, il dissociarsi guardingo degli Stati europei dalla prevista comunità di intenti e sanzioni, i continui confronti-dissensi tra i rappresentanti del mondo politico, l’attesa dei negoziati mentre c’è chi pensa che la guerra deve essere continuata..). Russia contro America viene ribadito in gruppi di raduni comunisti. “Gruppi di conflitti ” (L. Canfora)

Proviamo a costruire la base di cui deve poter disporre un ‘opinione pubblica informata.

Da un paio di settimane dominano il quadro geopolitico Ue e Nato (Unione Europea e Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico) .
Sull’ UE dovremmo poter diffondere maggiori conoscenze rispetto al numero esorbitante di incarichi e di compiti  disposti dalla Carta dell’Unione Europea . A scuola si studia Educazione Civica ma alunni e alunne faticano a impadronirsi dei ruoli ricoperti dai vari personaggi del Parlamento Europeo.
Abbiamo 2 UE che non dovrebbero essere confuse . “Ue e Nato non sono la stessa cosa. L’Ue non dovrebbe essere la stessa dimensione europea della Nato”. (A. Grandi) E ancora dell’ Ue si è detto “male immaginata , peggio organizzata”.  Ma come poterle presentare all’opinione pubblica con particolari distinzioni?

Ciò che l’opinione pubblica a maggioranza ha espresso nei sondaggi   è stata la sospensione dell’invio di armi al popolo ucraino.
Tutti – è evidente- hanno compreso  che l’Ucraina è soccorsa da armi a non finire mandate dagli americani e dagli Stati europei (cagnolino) contro la guerra di Putin, una guerra che sottintende le armi nucleari, proibite dal TPAN, Trattato approvato a New York nel 2017, ma  non ancora eliminate, purtroppo presenti sul territorio del Nord della Russia …

L’opinione pubblica è sempre più divisa: chi è favorevole all’invio delle armi all’Ucraina (Usa , Nato e Stati europei..), chi è per il non invio di armi in Ucraina (pacifisti, anti-americanisti, filoputiniani…) nonostante la ricerca disperata dell’ombrello protettore della Nato da parte del capo ucraino Zelensky  che però ha fatto richiesta di essere accolto nell’ UE. (Ue non Nato?)

L’Ucraina rischia di perdere aiuti se la maggioranza del nostro Paese è contraria all’invio di armi?

L’opinione pubblica comincia a innescare dubbi sulle trascorse vicende dell’ Ucraina (attraversata da fazioni politiche, dalla presenza americana, da schiere naziste…)

Altalenante  è al momento l’esito della guerra.  Pesa l’enigma della grande Cina. Pesa non poco la composizione del nostro governo.
Aiuti di armamenti, dunque, inviati dal governo italiano e da Usa e Stati europei all’Ucraina considerata baluardo di resistenza all’attacco di Putin a fronte di fakes news e esibizioni di violenze inaudite su popoli “fratelli” condotte dai russi di Putin in Ucraina, e in parte verso i territori separatisti.
Cosa ha di mira Putin? I confini e chi li minaccia, Ia grande Russia sullo sfondo…
Da qui è possibile seguire il quadro con estrema facilità. Finlandia e Svezia sono ulteriori passi verso la Nato, considerati dalle loro stesse sinistre un “ombrello sicuro e produttivo”.  Male per Putin, ovviamente!  La Nato garantisce la sicurezza…
A questo punto la popolazione invoca la pace, quanto mai generica invocazione, e la speranza di accordi di mediazione ancora sospesi. Putin tira dritto nel feroce scontro tra Russia e mondo occidentale, un mondo dominato dalle forze economiche Usa.

Quale Europa risulterà, e quale assetto del mondo risulterà dai movimenti dei singoli Stati, ciascuno con una sua storia e l’affermazione della propria autonomia?
Questo è il traguardo parziale per l’opinione pubblica costruita dai tanti giornalisti e autori televisivi.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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