Quante bufale ci hanno fatto credere sulla pubblica amministrazione!
scrive l’Associazione Marco Mascagna
E’ convinzione di molti che l’Italia abbia una pubblica amministrazione inefficiente, con una pletora di dipendenti, in maggioranza scansafatiche. Quasi ogni Governo promette e, spesso, effettua tagli ai ministeri e ad altri enti pubblici, perché sa che una gran parte degli elettori plaudirà a questi tagli. Anche il Governo Meloni non è da meno: con la finanziaria 2023 ha approvato tagli alla pubblica amministrazione (all’Agenzia delle Entrate, ai ministeri, alla Sanità ecc.) e un taglio di circa 6 miliardi al “Sostegno e riequilibrio territoriale”, cioè al fondo per colmare le sperequazioni tra Nord-Centro e Sud Italia [1]). Ora ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) che prevede tagli per 1,5 miliardi ai ministeri e altri tagli alla pubblica amministrazione [2]. E’ necessario chiedersi: quel che si dice della pubblica amministrazione italiana è vero o no?
Se si vanno a vedere i dati appare evidente che non è assolutamente vero, che è un luogo comune (falso come quasi tutti i luoghi comuni).
L’Italia ha un numero di dipendenti nella pubblica amministrazione al di sotto delle medie UE e OCSE e molto al di sotto rispetto non solo ai Paesi scandinavi, ma anche a Francia, Gran Bretagna, Spagna, Canada, Stati Uniti. In Svezia c’è un dipendente pubblico ogni 7.000 persone, in Francia ogni 11.000, in Gran Bretagna ogni 12.000, negli Stati Uniti (dove gran parte dei servizi che da noi sono pubblici sono svolti da privati) ogni 14.000, in Italia ogni 17.000 [3]. Se si confronta il numero di addetti nel settore privato con quello nel pubblico, la situazione è ancora peggiore: l’Italia è al quart’ultimo posto nella UE nel rapporto lavoratori nella P.A./lavoratori nel privato [3]. Se l’Italia volesse eguagliare la Francia come numero di addetti nella pubblica amministrazione ogni 1.000 abitanti dovrebbe assumere 1.894.000 persone, cioè aumentare del 56% la dotazione [3].
Altro che tagli! Di tagli ne sono stati fatti già tanti, troppi: 200.000 posti in meno tra il 1992 e il 2008 e 400.000 tra il 2008 e il 2014 [4]. Tra il 2008 e il 2017 il personale della pubblica amministrazione si è ridotto del 7,5%. Tra i settori con maggiori riduzioni del personale INPS, INL, INAIL (-27%), l’università (-21%), i ministeri (-18%), le regioni e gli enti locali (-12%), le agenzie fiscali (-10%), la polizia (-8%), la sanità (-6%) [5]. Tagli che sono stati ottenuti con il blocco del turn over, cioè bloccando le assunzioni. Tagli che, come sempre avviene in Italia, hanno interessato soprattutto il Sud Italia. Infatti, rispetto al Nord Italia, la percentuale di personale “tagliato” è stata doppia nel Sud Italia [6]. Tra le regioni a statuto speciale, quelle col maggior numero di dipendenti pubblici (totali) sono la Valle d’Aosta (49 dipendenti ogni 1000 abitanti) e il Trentino-Alto Adige (20 dipendenti/1000ab) e, tra quelle ordinarie, Liguria e Lazio (rispettivamente con 15 e 14 dipendenti/1000ab); ultima in classifica la Puglia (7 dipendenti pubblici ogni 1000 abitanti) [5]. Tagli che purtroppo sono continuati anche dal 2018 in poi (nel solo 2021 il personale della pubblica amministrazione è ulteriormente calato di 30.000 unità [7]).
Il blocco delle assunzioni ha fatto sì che il nostro Paese conseguisse due tristi primati: abbiamo la più alta percentuale di dipendenti sopra i 55 anni (il 45% contro una media OCSE del 24%) e la più bassa percentuale di personale sotto i 35 anni (2,2% contro una media OCSE del 18%) [5].
L’Italia inoltre ha investito e investe poco nella formazione dei dipendenti pubblici: meno di 50 auro all’anno per addetto [7].
Tutto ciò spiega perché spesso i servizi pubblici non funzionano bene. E come potrebbero con poco personale, anziano, poco formato e, talvolta, anche privo degli strumenti e delle risorse necessarie?
Si pensi che un addetto italiano alla sanità deve mediamente servire circa il doppio di utenti rispetto ai suoi colleghi tedeschi, inglesi o francesi; che ogni addetto alla pubblica amministrazione deve occuparsi in media delle pratiche di più di 50 cittadini, mentre un dipendente della P.A. francese, inglese o spagnolo deve svolgerne solo 25-30 (per amore di patria non facciamo paragoni con i Paesi scandinavi) [3]; che l’intero Centro Antico di Napoli è affidato a una sola unità di personale della Soprintendenza (un architetto funzionario).
La nostra pubblica amministrazione non è per niente inefficiente, come si dice e come molti credono. L’efficienza è il rapporto tra le risorse impiegate e i risultati conseguiti: tenendo conto delle scarse risorse che l’Italia impiega i risultati sono di tutto rispetto e l’efficienza quindi non è per niente bassa.
Quando si parla di pubblica amministrazione molti pensano a passa-carte, burocrati, parassiti. La pubblica amministrazione è fatta di innumerevoli servizi, tutti importanti per la vita del Paese: sistema sanitario nazionale; polizia; vigili del fuoco; scuola; università; ricerca; assistenza sociale; tutela dell’ambiente, del paesaggio, delle opere d’arte e della cultura; magistratura; sistema carcerario; trasporti pubblici; sistema bibliotecario pubblico; fisco (entrate, dogane ecc.); sicurezza del volo e delle ferrovie; protezione civile; ecc. Basta andare sul sito del Comune, della Regione o di un Ministero per capire quanti servizi sono erogati da tali enti.
Se la pubblica amministrazione non funziona bene sono danneggiati tutti: cittadini, imprese e l’intero Paese. I cittadini lo sanno bene quando impattano con le lunghe liste di attesa nella sanità, con i rifiuti urbani non prelevati, con i mezzi di trasporto pubblico che non passano. Molti non immaginano che anche le imprese sono fortemente danneggiate. Si pensi, per esempio, ai pagamenti delle amministrazioni pubbliche alle aziende, tempi che ordinariamente oscillano tra i 50 e i 240 giorni e dipendono principalmente da due fattori: la quantità di personale addetto a tale servizio e la dotazione informatica presente [6]. Un altro esempio, se il PNRR è in gran ritardo il motivo principale è lo scarso numero di dipendenti di Ministeri, Comuni, Regioni.
Purtroppo dai primi anni ‘80, non solo in Italia ma in tantissimi Paesi, si è operato un attacco contro tutto ciò che è pubblico. E’ stato un attacco voluto e promosso da soggetti imprenditoriali, da politici di destra e da ideologi ultraliberisti. Una delle parole d’ordine della destra americana fin dalla fine degli anni ‘70 era “Starve the beast”, prendi la belva per fame, cioè taglia le risorse alla pubblica amministrazione. In questa maniera si pensava di avere tre vantaggi: 1) meno controlli e vincoli alle imprese (per esempio i vincoli ambientali, paesaggistici, di tutela dei lavoratori ecc.); 2) nuovi settori di mercato per le imprese (per esempio la sanità, i trasporti, l’istruzione ecc.); 3) meno tasse da pagare per imprese e ricchi [8]. Dai primi anni ‘80 infatti sono diminuite sempre più le tasse a ricchi e benestanti. Per esempio negli USA l’aliquota massima negli anni ‘60 era al 94%, durante l’amministrazione Reagan al 28%. In Italia nel 1974 vi erano 32 diversi scaglioni di reddito e l’aliquota più alta era dell’82% (quella per redditi superiori agli attuali 2 milioni e 850 mila euro). Negli anni ‘80 gli scaglioni sono stati portati a 9 e l’aliquota massima è stata ridotta al 65%. Oggi gli scaglioni sono solo 4 e l’aliquota massima è al 43% e il Governo vuole ulteriormente ridurre le tasse a ricchi e benestanti. Tutto ciò ha causato un’enorme diminuzione delle entrate, con un conseguente indebitamento dello Stato, la svendita di tante aziende pubbliche, il passaggio ai privati di servizi una volta svolti dal pubblico (per esempio la cronica riduzione di risorse del Sistema sanitario nazionale ha fatto espandere enormemente la sanità privata), un enorme aumento delle disuguaglianze.
Non solo, tutto ciò ha anche danneggiato tante aziende, soprattutto quelle oneste e rispettose dei lavoratori e dell’ambiente. Su 62.710 ispezioni effettuate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) è risultato irregolare oltre il 62% delle aziende. Su 84.679 ispezioni effettuate da INL-INPS-INAIL è risultato irregolare il 69% [6]. Abbiamo visto che i tagli più consistenti sono stati effettuati proprio a INPS, INL, INAIL e alle ASL, cioè a quegli enti che controllano che le aziende rispettino le norme relative ai diritti dei lavoratori e alla tutela dell’ambiente e della salute pubblica e che devono scoprire le aziende a nero, quelle che più di tutte fanno concorrenza sleale alle aziende rispettose delle norme.
Un gruppo di economisti dell’Università di Torino si è fatto promotore di una proposta per assumere 1 milione di persone in più nella pubblica amministrazione. Ai motivi da noi sopra esposti loro ne aggiungono un altro: quello di ridurre la disoccupazione. Ritengono infatti che solo con una pubblica amministrazione forte, capace di svolgere tutti i servizi che le competono, avremo un’economia forte e stabile: “cercare di ottenere livelli bassi di disoccupazione operando su altri settori vorrebbe dire puntare su un rapporto fra settore privato e settore pubblico anormalmente alto”, che è una delle patologie dell’Italia [9]. I costi verrebbero coperti con un prelievo dell’1% sui patrimoni finanziari (conti in banca, azioni, obbligazioni, bot), con una quota esente di 100.000 euro (quindi solo se tali patrimoni sono superiori ai 100.000 euro).
Una proposta seria e di assoluto buon senso e che, forse proprio per questo, è stata snobbata dal Governo, che continua a lanciare slogan demagogici quali “meno tasse”, “flat tax per rilanciare l’economia”, “tagliamo i fondi ai Ministeri”.
In ultimo i giornali hanno dato la notizia che con il PNRR ci saranno 800.000 assunzioni nella pubblica amministrazione [10]. La notizia è quasi vera, ma mistificante. Le assunzioni previste sono infatti 777.000, ma nel quinquennio 2022-2026 e a fronte di un uscita per pensionamenti stimata di 726.300 dipendenti: cioè i dipendenti pubblici aumenterebbero solo di 4.700 unità, cioè un’inezia.
Note: 1) Qui Finanza: Nel 2023 il Governo cambia il piano di spesa: che fine faranno i fondi, 2/1/23; 2) I tagli ai ministeri e altri enti pubblici sono riportati a pag. 11 e nelle pagg. 146 e seguenti del DEF; 3) I dati, dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e riferiti al 2019, sono riportati in G. Ortona: I dati non lasciano dubbi: in Italia i dipendenti pubblici sono troppo pochi, 29/3/23; 4) Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica: L’occupazione nel settore pubblico in Italia, 20/5/22; 5) Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica: L’andamento dell’occupazione pubblica italiana dal 2008, 17/6/19; 6) Economia e politica: Politiche economiche: una ipotesi di rafforzamento della pubblica amministrazione nel Mezzogiorno, 14/4/23; 7) Ministero della Pubblica Funzione 2021; 8) D’Eramo M: Dominio, Feltrinelli, 2020; 9) Il Manifesto: Il nostro piano straordinario per la pubblica amministrazione, 29/1/22; 10) Si veda per esempio Repubblica del 6/9/22. Il Ministro Brunetta (Governo Draghi) ha addirittura sparato 1 milione di assunzioni (il 23/11/21).