Quel 25 aprile e oggi – 5
Il partigiano che salvò Lavagno e una poesia scritta oggi
due testi inviati da Giorgio (*)
Estratto da «L’Arena» del 25 Aprile 2003
di Vittorio Zambaldo
Il 25 aprile 1945 il forte di San Briccio, pieno di tritolo, doveva saltare in aria. Marino Composta scongiurò la strage, catturò i soldati di guardia ed evitò rappresaglie
Salvò il suo paese, Lavagno, due volte, dai partigiani e dai fascisti; oggi, in tema di ridiscussione di quel periodo storico, Marino Composta, classe 1917, potrebbe essere l’esempio di cosa significhi davvero liberazione. Lo rammenta una piccola targa appesa nella modesta cucina di casa: «L’amministrazione comunale a ricordo dell’attività coraggiosamente svolta in prima persona per liberare il Forte di San Briccio. Il 4 novembre 1995». Un modo elegante per cavarsela con poco e tardivamente, cinquant’anni dopo i fatti, ma lui, figlio di contadini, con la licenza media presa andando a scuola a Verona in bicicletta e con la pensione del ministero del Tesoro dove ha lavorato gli ultimi anni, non ha mai cercato pubblicità. La storia viene a galla perché un amico che l’ha sentita raccontare vent’anni fa la racconta a sua volta: un forte imbottito di esplosivi e già minato dai tedeschi, che avrebbe dovuto saltare in aria con tutto il paese, è miracolosamente svuotato di ogni pericolo grazie all’intraprendenza e al coraggio di Marino Composta, partigiano che prima dissuade i suoi compagni dall’assalto e poi va a trattare con i fascisti, salvando il paese da sicura distruzione.
Tutto cominciò con quella sua esperienza in materia di esplosivi, cresciuta nel Genio minatori tra i quali aveva prestato servizio militare. Avrebbe dovuto restarci solo sei mesi come figlio unico, invece ci passò quattro anni, mandato prima in Russia al seguito dell’Armir per minare ponti e strade e poi tornato in Italia a disposizione per partire per il Meridione per contrastare l’avanzata alleata lungo la Penisola. «Ero di stanza a Novi Ligure ma non si decidevano a farci partire perché non arrivava mai il materiale che ci sarebbe dovuto servire per il nostro lavoro. Qualche giorno prima dell’8 settembre del 1943 sentivo nell’aria che c’erano delle novità. Ho chiesto di avere una licenza per tornare a casa, ma il comandante non me la volle firmare. Me la sono firmata da solo e mi sono ritrovato a casa al momento dell’armistizio» racconta.
Antifascista convinto, non ci pensa nemmeno a inquadrarsi nell’esercito di Salò e con una decina di coetanei del paese si dà alla macchia. «Vivevamo qui attorno, tornando a casa quando avevamo informazioni certe che non c’era pericolo». Più volte vennero le Brigate Nere a perquisirgli la casa senza successo. Trovarono solo un fucile da caccia di proprietà di un cugino, regolarmente denunciato. «In realtà avevo il fienile pieno di armi. Una cassetta di munizioni era nascosta fra le balle di paglia e se avessero sollevato le assi del pavimento avrebbero trovato un doppio fondo con armi di tutte le specie» confessa, ancor oggi orgoglioso che nonostante questo nessuno abbia mai dovuto pagare per la sua imprudenza. Le armi erano il bottino di azioni che il gruppo conduceva contro fascisti e tedeschi, in genere soldati isolati ai quali le portavano via lasciandoli poi liberi. Il forte di San Briccio era diventato una polveriera dopo la guerra con la Francia. Vi erano accumulati quintali di munizioni sequestrate all’esercito transalpino. «C’erano 150 locali zeppi di casse di esplosivi di ogni genere, ma quello che più mi spaventava erano quei 500 quintali di tritolo. Ne conoscevo l’esistenza grazie a Ottone Ruffo, un operaio che lavorava all’interno del forte e che era un nostro informatore. Da lui ho saputo che i tedeschi, dopo l’8 settembre, avevano minato tutte le stanze. Presidiato il forte per una decina di giorni, tolsero poi tutte le micce, lasciando le cariche sul posto, pronti a tornare se le circostanze lo avessero richiesto» racconta. A guardia del forte rimase una formazione di repubblichini formata da una dozzina di elementi, tutti di origine toscana. Il gruppo di partigiani di San Briccio, che faceva riferimento ai comandi clandestini di Verona, si aggregò alla brigata Manara di Luciano Dal Cero dopo la morte del partigiano Gino Dusi, catturato a San Giovanni Lupatoto poco dopo che lo stesso Composta gli aveva portato armi su sua richiesta. «Pochi giorni prima del 25 aprile mi viene chiesto di incontrare Dal Cero e l’appuntamento è a Cazzano di Tramigna in una casa privata. Da lui vengo a sapere dell’intenzione di assaltare il forte con l’aiuto dei partigiani già nel famigerato gruppo di Marozin. Mi chiede di avvertire la popolazione di allontanarsi dal paese e di coordinare lo sfollamento. Lo lascio parlare e poi gli racconto quello che so: un assalto al forte sarebbe stata un’impresa suicida e una devastazione immane per tutti. Le armi non sarebbero servite perché tutte di fabbricazione francese, inutili per i fucili che avevamo a disposizione e il rischio di esplosioni sarebbe stato troppo grande. Dal Cero si convince» racconta Composta: «prende una cartina da sigaretta, scrive un messaggio, arrotola del tabacco e mette la sigaretta in un pacchetto assieme ad altre che consegna a una staffetta partigiana». Salvato il forte dai suoi compagni ora lo doveva liberare dai fascisti e per amore della sua gente Composta va a parlare al consegnatario del forte, un civile che rispondeva agli ordini del Partito fascista repubblicano e comandava la guarnigione a guardia della polveriera. «Gli spiego che non mi interessavano le munizioni custodite, ma che il tritolo era estremamente pericoloso: dovevamo salvare il paese. Mi risponde che non può fare nulla, ma che non si opporrà se questa è la volontà della gente. Così passo parola e nella notte del 24 aprile entriamo nel forte senza che nessuno ci ostacoli. Al trasloco del tritolo partecipa quasi tutto il paese, chi con sacchi, chi con ceste, chi addirittura con asini e carretti» ricorda Composta. In quattro ore tutto l’esplosivo è accumulato su un campo lontano dal forte, verso San Martino. «Faccio allontanare tutti e traccio una scia con la balistite, un esplosivo usato come polvere di lancio che darà fuoco al tritolo accumulato. L’unica preoccupazione era che ci fosse accidentalmente nella catasta qualche pallottola che avrebbe potuto far esplodere il tritolo, invece tutto si consumò con una gran fiammata» ricorda Composta. Alle prime luci del 25 aprile tutto era già bruciato. Restava quella guarnigione di fascisti al forte e il mitragliatore puntato lungo la strada di accesso. Composta con due compagni decide da solo l’assalto. Un improvviso mitragliamento di un aereo alleato fa scappare verso la chiesa uno dei soldati della guarnigione e Composta lo affronta da solo disarmandolo. Se ne fa scudo per entrare nel forte dove trova i camerati del prigioniero ancora a letto. Li disarma con la minaccia di due pistole e li fa uscire sul piazzale dove vengono schierati contro il muro. Si raduna tutto il paese ormai euforico perché è arrivata voce che gli Alleati sono già a San Martino Buon Albergo, anche se saliranno a San Briccio solo quattro giorni dopo. C’è chi pensa che sia arrivato il momento di farsi giustizia per un ventennio di soprusi e un anziano del paese, sottoposto al trattamento dell’olio di ricino dai fascisti, chiede di fucilare i repubblichini catturati nel forte. «Mi sfilo il mitra che avevo a tracolla e glielo consegno: “Comincia tu” gli dico, mentre l’altro abbassa gli occhi per la vergogna». Sono le ultime parole del partigiano combattente Marino Composta, che da liberatore diventa cittadino di un paese libero. Si preoccupa anche del futuro di quei dodici ragazzi di Salò, passati da segugi a braccati: «Domani vi farò avere il lasciapassare per tornarvene a casa, se non risultano a vostro carico fatti di sangue» promette il comandante partigiano, ma il giorno dopo solo in due lo richiedono. «Uno dei due è tornato dopo qualche tempo a trovarmi e a ringraziarmi per quel 25 aprile del ’45», ricorda Composta.
Sono venuti gli occhi lucidi anche a lui, comunista da sempre.
Altri dettagli di questa storia e sul Forte di S.Briccio su :
http://www.sanmartinoba.it/UnaVoltaLaResistenza2.htm
http://www.comune.lavagno.vr.it/Utenti_Materiale/2/vari/Il_forte_di_San_Briccio[1].pdf
10, 30 anzi 68 anni fa
Sarai sempre
nella mia memoria,
mite e deciso,
partigiano della libertà
di tutti e della cultura
che non dimentica:
quel 25 aprile 1983
il fuoco
che salvò il paese
brillava ancora
nei tuoi occhi
e nel tuo racconto
davanti al forte,
muto testimone
del tuo agire libertario.
Ricordarti è dolce e rosso
come il succo del melograno
che spero cresca ancora
nel tuo cortile.
Giorgio Chelidonio, 25 aprile 2013
(*) Oggi un blog speciale con 24 post, uno ogni ora, su Liberazione e sulla resistenza – sia minuscola che maiuscola – al nazifascismo. Nella piccola redazione (un po’ allargata per l’occasione) abbiamo discusso l’idea, partita da David, di scegliere 24 testi o immagini che raccontassero quel giorno e l’oggi; che mostrassero qualcosa (o qualcuna/o) importante da ricordare; che attualizzassero e/o problematizzassero la Liberazione e la Resistenza. Alcuni post sono firmati, gli altri sono nati – come già è successo – nel lavoro comune che possiamo chiamare Qbea cioè Questo Blog E’ Antifascista.