Rana Plaza: la strage continua

Il 24 aprile di otto anni fa crollava l’edificio Rana Plaza con migliaia di persone all’interno, il peggior disastro industriale che il settore dell’abbigliamento abbia mai visto: realizzata una piattaforma di commemorazione online. Su questa piattaforma sarà anche possibile chiedere direttamente e pubblicamente ai marchi di mettere il paese nelle condizioni di continuare a prevenire futuri disastri

articolo tratto dal sito web della Campagna Abiti Puliti

Il 24 aprile di otto anni fa crollava l’edificio Rana Plaza con migliaia di persone all’interno, di cui almeno 1.134 morirono. Poiché c’è il lockdown anche in Bangladesh, abbiamo realizzato una piattaforma di commemorazione online. Su questa piattaforma sarà anche possibile chiedere direttamente e pubblicamente ai marchi di mettere il paese nelle condizioni di continuare a prevenire futuri disastri: il programma che ha reso le fabbriche più sicure dopo il crollo del Rana Plaza rischia di essere vanificato nelle prossime 6 settimane e dunque è vitale agire ora.

Il crollo del Rana Plaza è il peggior disastro industriale che il settore dell’abbigliamento abbia mai visto, e si poteva tranquillamente evitare. I lavoratori e le lavoratrici sono stati costretti a entrare in un edificio che sapevano non essere sicuro sotto la minaccia di perdere il loro salario. Questa settimana il nostro pensiero va a tutti coloro che hanno dovuto vivere o sono morti in questa tragedia. Per permettere di commemorare significativamente questo giorno e le persone che ne sono state colpite, anche durante un lockdown, in Bangladesh e a livello internazionale, abbiamo lanciato insieme ai sindacati del Bangladesh il sito web RanaPlazaNeverAgain.org in inglese e Bengalese. Qui ognuno può lasciare un messaggio di commemorazione.

La piattaforma commemorativa permette anche di inviare messaggi direttamente ai marchi che producono in Bangladesh e che stanno per far saltare il “Bangladesh Accord”, un programma che è stato certamente efficace nel rendere le fabbriche più sicure per oltre 2 milioni di lavoratori e lavoratrici nel corso degli ultimi otto anni. L’Accord, che favorisce la sicurezza degli edifici in Bangladesh e misure antincendio, è stato ideato settimane dopo il crollo come un programma di sicurezza vincolante, sulla base della constatazione che i programmi volontari non erano riusciti a prevenire questa tragedia. Il Bangladesh Accord è stato firmato da oltre 200 marchi e ha reso più sicure oltre 1.600 fabbriche in tutto il paese. La natura vincolante dell’Accordo, cruciale per il suo successo, scadrà il 31 maggio. Nessun marchio o distributore attualmente membro dell’Accordo si è impegnato a firmare un nuovo programma altrettanto legalmente vincolante. Al contrario, i marchi stanno proponendo versioni del programma annacquate e indebolite, e ciò rende estremamente probabile che la sicurezza sul posto di lavoro in Bangladesh torni ai livelli precedenti al crollo del Rana Plaza.

Kalpona Akter, presidente della Bangladesh Garment and Industrial Workers Federation ha dichiarato: “Rana Plaza non è stato un incidente: è stato un omicidio. Questo disastro era del tutto evitabile e non sarebbe accaduto se ci fossero state misure di sicurezza adeguate, un monitoraggio efficiente delle condizioni di lavoro e l’ascolto dei lavoratori stessi. Il Bangladesh Accord ha introdotto e implementato tali misure di sicurezza negli ultimi otto anni. Se vogliamo prevenire un altro Rana Plaza e promuovere cambiamenti positivi, allora abbiamo bisogno di un nuovo accordo che sia firmato da tutti i marchi che producono in Bangladesh“.

Abbiamo contattato Benetton, OVS e Artsana, i marchi italiani firmatari del Bangladesh Accord in scadenza, per chiedere di rinnovare l’impegno per garantire la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nelle fabbriche dei loro fornitori, in Bangladesh e negli altri paesi a rischio” dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign. “Ci aspettiamo che le imprese italiane non facciano marcia indietro e anzi si adoperino per garantire continuità al programma e proteggere i fondamentali progressi sulla sicurezza raggiunti in questi anni per almeno 2 milioni di lavoratrici e lavoratori. Senza un nuovo accordo vincolante il rischio di tornare alle condizioni che hanno causato il crollo del Rana Plaza è davvero alto” conclude Lucchetti.

I sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori in Bangladesh e a livello globale pretendono un accordo internazionale vincolante sulla sicurezza nelle fabbriche. Solo un accordo siffatto può assicurare che il lavoro in corso in Bangladesh non vada perso e continui anzi ad impegnare i brand, anche con responsabilità legali da far valere in tribunale.

Un rinnovato accordo internazionale vincolante sulla sicurezza in Bangladesh avrebbe anche l’effetto di condizionare altri paesi con fabbriche di abbigliamento notoriamente insicure, come ad esempio il Pakistan, a fare altrettanto. I recenti incidenti in Marocco e in Egitto dimostrano che nell’industria tessile sono ancora troppe le fabbriche insicure e che i programmi volontari dei marchi non sono in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori.

La Campagna Abiti Puliti ha scritto ai sottosegretari dei Ministeri dello Sviluppo Economico (on. Anna Ascani), Affari Esteri e Cooperazione Internazionale (on. Manlio Di Stefano), Lavoro e Politiche Sociali (sen. Rossella Accoto), nonché ai Presidenti delle Commissioni Attività Produttive e Affari Esteri di entrambe le Camere (on. Pietro Fassino, sen. Gianni Girotto, sen. Vito Petrocelli, on. Martina Nardi) oltre che al Punto di Contatto Nazionale dell’OCSE presso il MISE per rendere nota la situazione e chiedere che si uniscano con convinzione alla richiesta della Campagna ai marchi tessili, anche italiani, di rinnovare l’Accordo e non sottrarsi alle loro responsabilità. Analoghe richieste sono state inoltrate dall’ufficio europeo della Clean Clothes Campaign ai rappresentanti istituzionali dell’Unione, inclusi molti italiani.

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