«Ready player one»: la rivincita dei nerd con stile
di Fabrizio Melodia. A seguire i farfugliamenti di un ludo-ignorante (tal db)
«Ready player one»: quante volte abbiamo letto questo messaggio poco prima di immergerci in un roboante e pixellato videogioco anni ‘80, quando le sale giochi erano gremite di piccoli giocatori e volavano le sfide a Donkey Kong, a Super Mario Bros e a Street Fighter?
«Giocatore Uno, pronto». Via a sgattaiolare sui nemici per impadronirci di squadrati gettoni e a superare ostacoli con l’agilità di uno scoiattolo, solo che a farlo eravamo noi alla guida di un “avatar”, immagine del personaggio che si guidava con il joystick.
Che dire degli scambi culturali? Fra supereroi editi dalla Corno e i manga pubblicati sul Corriere dei Piccoli e dei Ragazzi si aprivano mondi da sogno, quando non arrivava il tipo più “acculturato” a contrabbandare Urania rubati alla collezione preziosissima del papà o, peggio, della zia.
Per non parlare dell’invasione degli anime: Goldrake, Mazinga Z, il Grande Mazinga, l’iperrealistico Gundam RX78, Jeeg robot d’acciaio, Space Robot, Astroganga, l’ astronave Arcadia del pirata spaziale Capitan Harlock… fecero sognare (e lo fanno ancora) generazioni di giovani virgulti sempre pronti a scatenarsi.
E il cinema? Fra guerre stellari, alieni pacifici e perseguitati, alieni perduti, alieni mutaforma e pericolosi xenomorfi, terminator con un solo scopo nella vita, odissee nello spazio e robot che vogliono umanizzarsi… l’immaginario galoppava.
A tutte quelle suggestioni – cultura pop, cinema, letture, musiche speciali – si ispira l’immaginario dello scrittore e sceneggiatore statunitense Ernest Cline, soprattutto nel suo romanzo «Player One», pubblicato nel 2010. E che passa ora nelle edicole italiane grazie a Urania.
Cline ha sempre avuto passione per quel mondo: non a caso ha svolto numerose mansioni sfruttate e sottopagate nel mondo dell’informatica per coltivare il sacro fuoco della scrittura, arrivando così a confezionare un romanzo che ha il sapore di pop miscelato con molte spezie e frutta.
«Player One» è ambientato nel 2045, abbastanza vicino a noi: la popolazione vive in un mondo sovrappopolato e gravemente inquinato. La maggioranza vive nella più totale povertà, in condizioni igieniche disperate e facendo fatica a mettere insieme un pasto, mentre le fonti energetiche sono quasi del tutto esaurite. Fino a qui – dirà forse qualche cinico – niente di straordinario, lo stiamo vivendo adesso… perché cavolo dovrei leggerlo? Ma entra in scena l’unico svago concesso alla stragrande maggioranza di questi poveracci, costretti a nutrirsi con topi arrosto e a lavarsi con l’acqua di fogna. Una meraviglia: si chiama nientemeno che OASIS, acronimo che sta per «Ontologically Anthropocentric Sensory Immersive Simulation» insomma una simulazione di immersione sensoriale (ontologicamente antropocentrica) che forse – a parlare qui è un tipo di passaggio – c’entra qualcosa con le realtà virtuali di cui si occupano i “modernelli”…
Evvai allora: figata ipergalattica, siamo in una simulazione terribilmente iper-realistica, dove tutti vivono la propria vita. Fu creato da un geniaccio di nome James Halliday, tutto spiritato con un cervello da Steve Jobbs e la voglia di far sognare del migliore Walt Disney e filantropia vera (dunque non le balle di Bill Gates). Un brav’uomo alla fine – nonostante alcune manie – con il desiderio di realizzare un mondo dove se proprio tutti non possono essere felici (mica dipende solo da lui) che almeno siano meno infelici.
OASIS è dunque un mondo virtuale che vale fantastiliardi di dollari: viene vissuto da tutti gli utenti e la vita reale finisce in secondo piano, se non in cantina. In caso di “morte dell’avatar”, in OASIS si perdono tutti i bonus, gli upgrades e i soldi virtuali conquistati nei vari mondi. Ma c’è pure la possibilità di usare la DeLorean dei film di «Ritorno al futuro» (grande passione di Ernest Cline), sapete?
C’è un piccolo/grande problema. James Halliday, alla sua morte, ha messo in palio proprio il software base di OASIS, per chi risolverà la sua avventura virtuale e troverà l’easter egg (uovo di pasqua, ovvero la sorpresa nascosta dai programmatori dentro le loro creazioni, croce e delizia di tutti i nerd informatici).
Partecipa alla disfida anche il nerd Wade Owen Watts, un povero ragazzo grassoccio e bistrattato che vive con la zia in una baraccopoli ad Oklahoma City. Wade è in vantaggio perché da bravo nerd è cresciuto studiando tutto lo scibile e i miracoli del buon dottor Halliday, ma nella ricerca si scontra con la IOI, potentissima e spietata multinazionale pronta a tutto pur di impadronirsi di OASIS e degli utenti.
Lo schema è proprio da gioco di ruolo e/o da tavolo, con personaggi ben delineati e classica trama d’avventura giovanile e qualche risvolto fantascientifico. «Ready player one» vi immergerà nel metaverso di OASIS e vi chiederete se in larga parte non siamo già lì o vogliamo andarci… nel disperato tentativo di sfuggire alle sofferenze e allo squallore della vita reale.
Fonti energetiche al lumicino, sovrappopolazione, la maggioranza dei poveri sfruttata in modo vampirico dalle multinazionali: qui le conseguenze sono portate all’estremo ma non sono irreali, piuttosto una seria estrapolazione basata su riflessioni. L’accento è posto su come il virtuale non sia solo più vero del reale ma anche molto meglio della realtà stessa, più vivibile. Sia? Sarà? Potrebbe essere? Il dibattito resta inevitabilmente aperto.
Per quanto sia un romanzo d’evasione, il libro di Cline ci porta a riflettere su quanto l’irruzione del virtuale nel nostro presente abbia già portato cambiamenti molto radicali. Da tempo Internet è diventata il nuovo luogo di ritrovo, con i suoi usi e costumi, linguaggi e leggi (scritte e non scritte). Molte persone passano ormai la maggior parte del tempo libero sui social, spesso si riscontrano incapacità di comunicazione e di relazione nel mondo reale mentre ci si collega solo attraverso Whatsapp. E che dire dei molti bambini che imparano a maneggiare prima gli smartphone e i tablet? Ancora prima di saper leggere e scrivere…
Insomma «Ready player one» non è solo un vortice di avventure e situazioni virtuali al ritmo dei videogames anni ‘80 ma anche uno sguardo sulle bieche multinazionali e sui nuovi/vecchi padroni del mondo.
Recuperate il romanzo in edicola – Urania: 9,90 euri per 416 pagine – ma solo per l’estate (oppure in libreria: è pubblicato da Mondadori: 480 pagine per 14,50 euri). E dopo non perdetevi l’adattamento cinematografico curato dallo stesso autore del romanzo e che annovera Steven Spielberg alla regia.
TIMIDAMENTE SI AFFACCIA DB, LUDO-IGNORANTE
So poco di videogiochi e quasi mai mi sono “immerso”. Se mi dite D&D quasi mi smarrisco ma anche se precisate «Dungeons & Dragons» ci metto un attimo a capire di cosa parlate. Imparo leggendo «Ready Player One» che il primo videogioco («Tennis for Two») è addirittura del 1958 e girava «su un antichissimo computer analogico» e che il secondo («Spacewar») fu creato nel 1962 «da un gruppo di studenti del MIT»: avrei sbagliato di decenni. Perciò parlo con competenza – ed esperienza concreta – zero rispetto all’ esperto-appassionato, fors’anche nerd, Fabrizio Melodia. Ma in sostanza concordo con lui. Da semplice lettore posso dire che il romanzo di Cline, pur fra alti e bassi, cattura anche chi non è un videofan e si fa perdonare qualunque peccatuccio per la bella scrittura e trama ma anche perchè al fondo c’è onestà nell’immaginare il nostro probabile (purtroppo) dopodomani. Quando il protagonista finisce “legalmente” nelle mani della «recupero schiavi» siamo solo un triste passo oltre il pessimo oggi. Cline ci fa capire da che parte schierarci per non tornare al feudalesimo e anche nei momenti ludici (persino citando scherzosamente Cory Doctorow) è serissimo. Io con lui spero che presto costruiremo un mondo in cui «sesso, colore della pelle e orientamento sessuale» saranno solo «un dettaglio irrilevante»; mi auguro, come lui, che a un certo punto per tutte/i venga il momento di uscire anche dal più divertente (consolante e progressista) mondo virtuale perchè «non puoi nasconderti lì per sempre».
Insomma un buon romanzo, sopra la media. Fantascienza ben mescolata a fantasy per bipedi pensanti.
Complimenti per la presentazione perfetta della mitica Bottega. Un romanzo bellissimo, iconico, moderno. Non trovo difetti, ma solo lo splendido ricordo per averlo letto d’un fiato e visto nella versione di Spielberg. Le differenze tra romanzo e film sono notevoli, ma ci stanno.
“Sotto il segnapunti c’era l’icona di un piccolo libro rilegato in pelle, che linkava a una copia, scaricabile gratuitamente, dell’almanacco di Anorak, una raccolta di centinaia di annotazioni tratte dal diario di Halliday e prive di data. […] Perlopiù, si trattava di un flusso di coscienza riguardante numerosi classici del videogioco, romanzi fantasy e di fantascienza, film, fumetti, cultura pop degli anni Ottanta…”
che bello leggere Ernest Cline. No, la fantascienza non è morta negli anni Sessanta o Settanta, ehi arriva almeno fino agli anni Ottanta… a parte la battuta, Ready Player One è bello ed è interessante cercare le differenze con il film. Poi condivido pienamente l’obiettivo principale che Cline aveva quando lo ha scritto. Diventando ricco, perché un’idea come questa meritava il successo che ha avuto, ha potuto comprarsi una DeLorean come quella di Ritorno al futuro. Vuoi mettere.