Realismo magico ad Aristànis
recensione a «Cenere calda a mezzanotte» – Il maestrale: 430 pagine per 18 euri – il nuovo romanzo di Savina Dolores Massa (*)
Sempre più brava, a ogni libro, Savina Dolores Massa: questa volta supera le 400 pagine ma si vorrebbe leggerne il doppio, subito. Anche l’autrice evidentemente non voleva mollare le sue storie tant’è che in un finale sconcertante quanto geniale insegue i personaggi in «un altro cortile», insomma nell’aldilà che non somiglia però a Inferni o Paradisi come di solito ci vengono proposti.
«Quando si racconta bisogna stare attenti a non sbagliare le parole» spiega Peppina che da cieca parla assai: «bisogna scegliere le più belle così si fa un regalo a chi sta ascoltando». Vale anche per le pagine dei libri: Sdm va a cercare – in sardo o nell’italiano – parole, frasi e descrizioni perfette ma quando non le trova ne inventa: sembra che siano sempre state lì, in attesa che arrivasse il momento giusto per usarle, eppure nessuno le aveva viste. Una donna «zoppa d’anima» accanto a un maiale «considerato come primo figlio»; l’inconfondibile «odore del desiderio» d’amore; un gatto che sa quando sparire, tacere o parlare; «il silenzio andò per conto proprio»; la disperata passione di Marco il pescatore; «i tentacoli di una nube malata»; c’è chi, come Petronilla, vive ossessionata «dall’amore altrui»; e c’è Giomaria, «voce da gatto a maggio», che strega ogni donna ma chissà se davvero «è uno spasso» o «nello stomaco ha un nido di bisce»; ci sono «i nervi delle mani svenuti»; e c’è un neonato che «si accinse alla vita con uno sguardo che dovrebbe appartenere solo ai dannati».
Sa usare parole e frasi Maria Carta, che aggiusta ossa e ombrelli: lei «impiegava pochi secondi per esprimere un concetto, là dove chiunque avrebbe faticato almeno un minuto». Un dono che non sempre la sorregge perché «i vocaboli spesso sono latitanti» e già non è facile ascoltare «strazio e gioia» che le ossa raccontano. La sua amica Peppina è brava egualmente e anche se «i familiari dubitano quotidianamente sulla veridicità dei racconti, fu sempre un piacere vederle in bocca le verità mischiate alle bugie». La scrittrice di Oristano invece non fa parlare solo gli umani ma il lavatoio e le susine, respiri e campane, sonno e povertà, due guerre e la miniera, la donna che convive con un uomo nello stesso corpo, l’ammantadora e la tubercolosi («animale affamato»), i treni sognati e quelli reali, le amarezze che «adorano sedere sulle incudini» sino a un sentimento d’amore fra un vivo e una morta che «andava oltre la stessa fermezza mentale»
Il libro di Savina Dolores Massa cattura dalla prima parola: «spacciata», per un tetano infame, è Bonaria ma lei resterà negli specchi di casa e non solo per il marito. «Gli spettri esistono» e non sempre bisogna averne paura. Il fantasma del quasi prete non è venuto sul susino a portar guai, anzi. E a fine libro vi è chi sospetterà che anche Cottédda – il diavolo – forse non era cattivo quando si è infilato in un certo letto. Le storie che, quasi per un secolo, attraversano Aristànis, sanno narrare paure e risate, ci ricordano che «il solo modo per non aver timore della morte è innamorarsene», che il dolore può essere preso per il sedere, che bisogna saper «intrecciare ricordi rendendoli giunchi» anche perché «non sempre la memoria cammina obbediente sulla strada maestra, anzi spesso preferisce fuggire per viottoli demolendo porte» e non la si può comandare perché «la memoria spunta fuori, spesso tarlata, dai fondi dei cassetti».
Donne e uomini in questo libro non hanno incontrato «qualcuno disposto a insegnare loro più del necessario per vivere: mangiare, ridere, dormire, figliare, soffrire, piangere brevemente i morti». Lo scrive l’autrice prima di tre pagine dove scava nelle domande di chi invece, come lei, per privilegio o sortilegio «narra vite sulla carta»: tre intensissime pagine che sembrano aprire porte su altri mondi sconosciuti…. ma chissà se è così importante arrivare laggiù, chiede Savina Dolores Massa: «quale differenza può esserci fra chi ha voluto considerare tutto ciò, evidenziandolo, e chi ha semplicemente chiuso un uscio?».
(*) Questa mia recensione è uscita – al solito: parola più, parola meno – il 29 dicembre sul quotidiano «L’unione sarda». Mi sono chiesto più volte nello scrivere di «Cenere calda a mezzanotte» perché non ho messo nero su bianco un’idea che già da metà libro mi rimbalzava in testa: scrittura e personaggi sono all’altezza di Garcia Marquez, Isabela Allende, Steinbeck… Ho esitato a scriverlo perché odio questi paragoni, troppo usati, per le fascette pubblicitarie? Oppure perché temevo che il fatto di conoscere Savina da anni rendesse le mie lodi sospette? In ogni caso lo voglio dire chiaro-chiaro: questo è uno dei libri più belli che ho letto nella mia (non breve) vita e dunque ve lo consiglio senza esitare. E mentre in Italia purtroppo ancora poche/i conoscono Sdm mi fa piacere scoprire in Germania hanno scoperto il suo terzo libro, cioè i racconti di «Ogni madre» (io li ho recensiti il blog il 6 febbraio 2012): il sito Buecherrezensionen.org (http://www.buecherrezensionen.org/) – che si occupa principalmente di letteratura italiana contemporanea per il pubblico tedesco – le dedica un’entusiastica recensione che incollo qui sotto. (db)
Savina Dolores Massa, «Ogni madre»; recensione di Alexander Schwarz (del 5.12.2013)
Savina Dolores Massa scrive storie aspre come l’isola in cui esse hanno luogo.
Nella prefazione l’autrice chiarisce di aver voluto disegnare “creature” che “si aggirassero tra avvenimenti e paesi della Sardegna passata”. I suoi personaggi sono però principalmente legati alla storia dei suoi antenati e della sua patria.
Il cambiamento viene sempre dall’esterno e ciò che i tempi moderni portano alle persone è accolto con stupore e indifferenza, quasi come se non li riguardasse o potessero scegliere di ignorarlo.
Gli occhi sinistramente belli di Vincenza Demontis simboleggiano il potere fatale della fissità: “portano solo disgrazie”. Quattro corteggiatori pagano atrocemente il suo sguardo con la vita, e quando solo tre mesi dopo il matrimonio, il marito di Vincenza ha un incidente mortale, nessun uomo osa più guardarla. Crescerà da sola il figlio Candido.
Arraffiella Satta sposa Candido per amore, eppure sa bene che “le cose cattive non si sotterrano mai”. Per tale motivo è fermamente risoluta a rinunciare a degli eredi poiché potrebbero avere gli stessi odiati e maledetti occhi della suocera. In un momento di debolezza, Arraffiella però cede e a quarant’anni dà alla luce un figlio, Pissenti (“maledetto giorno, maledette pecore e maledetto il mio cuore molle!”).
Il padre Candido vorrebbe togliere il fanciullo dal circolo vizioso, fare in modo di educarlo da qualche altra parte; alla madre questo però sembra fin dal principio un peccato “di presunzione, di vanità di fronte alle altre madri, con un destino già tracciato per i propri figli: povero e ignorante per tutta la vita”.
Finiti gli studi, Pissenti ritorna al suo paese natio carico di entusiasmo illuminista nell’interesse dei suoi arretrati abitanti, che per la maggior parte non sanno né leggere né scrivere. Ma il giovane pretende troppo da loro, ferisce inavvertitamente il loro orgoglio semplice, mette la loro muta e subdola resistenza contro di sé, finché una pallottola anonima non lo uccide.
Perfino la madre Arraffiella lo aveva da tempo abbandonato. Nonostante tutto il dolore sa che tutti i figli del paese sono uguali, che qualunque di essi avrebbe potuto sparare, poiché “l’orgoglio, ogni madre lo serve nel piatto cena dopo cena, per far andare i figli a dormire con la pancia più piena”.
I pensieri illuministi portati da Pissenti nel villaggio avrebbero strappato i figli alle madri e distrutto il nocciolo della società.
La storia di “Ogni madre” termina nel 1967. Ognuno dei tredici testi della raccolta che gli dà il titolo è legato a fasi della storia sarda fra il 1870 e gli anni ’60 del XX secolo. In ogni racconto viene delineato il contesto (politico, sociale, economico) in due, tre frasi, senza tuttavia che esso si concretizzi come parte dell’intreccio.
Più che altro questo sguardo offre al lettore uno sfondo grazie al quale i destini mostrati acquistano una valenza che trascende la singola individualità.
In tal modo veniamo a conoscenza dell’arbitrio dei “Baroni”, del “banditismo”, della costruzione della ferrovia, dello sfruttamento sistematico dei boschi per ricavarne traversine e carbone, delle condizioni di vita e di lavoro nella regione mineraria sud-orientale, degli attacchi aerei degli Alleati, degli sforzi degli intellettuali arrivati da Roma che incitano gli ingombranti sardi all’azione politica. In episodi di incompresa trasformazione sociale, l’identità sarda permane quale unico e sicuro valore permanente. Ogni tentativo di azione fallisce. “A voi sardi non si può insegnare nulla”.
In tal modo i Sardi sono rimasti imprigionati – come già da molti secoli – nel loro ruolo di vittime inascoltate, forza-lavoro sfruttata e, tutt’al più, come spettatori diffidenti.
In qualità di raccoglitori di legna, carbonai, pastori, inservienti, braccianti – molti fino alla metà del XX secolo – hanno vissuto un’esistenza ricca di privazioni, spesso in condizioni da età della pietra e privati dell’istruzione anche più elementare. (“Per Liccu, l’unica ricchezza di un uomo era la libertà, e solo gli anni potevano curvargli la schiena”). Beneficiari rimanevano coloro i quali lo erano sempre stati.
Molti personaggi di cui raccontano gli autori sardi sono caratterizzati da queste situazioni.
Ai deboli non rimane altro che l’apatia, ai forti la lotta per una scarsa zona d’influenza – se necessario anche a spese del vicino.
Le donne di Savina Dolores Massa modellano i propri figli e, quando falliscono, perdono la parola (“la lingua morta in anticipo su di lei”), siedono inerti, sopportano pietrificate (“La madre paralitica, seduta rigida su una sedia con le ruote frenate da sacchi di carbone”). Gli uomini proteggono e difendono il loro onore e il loro orgoglio come il bene più prezioso: “Noi di dire a un altro sardo, Tu mi devi fare il capo, non ci riusciamo, noi”.
Savina Dolores Massa appartiene alla cerchia più significativa di giovani autrici sarde, i cui testi sono fortemente radicati nella cultura dell’isola e nella sua storia, riuscendo comunque a sviluppare forme di racconto letterarie innovative e tonalità stilistiche individuali [vedere “Sardische Literatur aus hundert Jahren” (‘Cento anni di letteratura sarda’) su buecherrezensionen.org].
I racconti di “Ogni madre” sfruttano appieno il potenziale offerto dal genere della short story. Leggiamo di avvenimenti incredibili, vediamo persone focalizzate proprio nel momento in cui il loro destino cambia repentinamente, veniamo colti di sorpresa da svolte finali, ascoltiamo l’intimo dialogo interiore fra un vedovo e la moglie suicida.
Savina Dolores Massa evoca impressioni insolitamente forti, che difficilmente dimenticherete. Ciò risiede nella precisione del suo vocabolario, nella densità della costruzione della frase, spesso tortuosa come il tronco nodoso di un antico olivo, oppure frammentaria (“Niente stelle: spente”). Il suo stile è scarno o fervido, come i suoi personaggi.
Di continuo troviamo immagini che si imprimono nella mente (“contando formiche con le ali”, “dalle parole pronunciate erano scomparse le vocali”), e motivi (ad esempio reiterazioni che ricordano le formule delle fiabe: “E tu, Sofia, non mi hai mai sentito la voce”) oltre a elementi magici (“in vetta a un monte […] decise di acchiappare due stelle per sostituire gli occhi della madre: spenti”), che tuttavia trovano un legame con fatti storici, e in tal modo sviluppano un valore tanto più forte.
Nella prefazione confessa Savina Dolores Massa: “Ai veri protagonisti della Storia va tutto il mio rispetto e il mio amore incondizionato, come pure alla mia incantatrice, ma spesso amara isola”.
(Traduzione: Laura Dore)
Lascio volentieri un commento. Bellissima recensione che sicuramente rende omaggio al grande talento di Savina. Mi piace vedere la forma con cui Daniele parla del libro: tutta la sua sensibillità è coinvolta e si lasciar trasportare da un vero piacere letterario. Mi è venuta voglia di leggere subito Cenere Calda a Mezzanotte.
ho come voglia di leggere questo libro, se è bello la metà di come ne parli dev’essere bellissimo
franz
Oggi su «il manifesto» una lunga recensione di Alessandra Pigliaru a «Cenere calda di mezzanotte». Evviva.