Recensione a “torneranno i prati”

di David Lifodi

“La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai”: si conclude così torneranno i prati, il film di Ermanno Olmi sulla Grande Guerra di cento anni fa, ma più che mai attuale nel nostro mondo contemporaneo. Allora gli ordini ai soldati che si trovavano al fronte venivano dagli alti comandi che stavano al calduccio in qualche ufficio, oggi si combatte in nome del profitto e della sete di conquista da parte di governi ormai trasformati in cinici appendici delle multinazionali.

Il film si svolge sul fronte nord-est dell’Altopiano di Asiago, sul finire del 1917. Le trincee in cui sono asserragliati i soldati italiani non sono solo materiali, ma anche morali: hanno capito che ormai saranno lasciati al loro destino, in mezzo a quelle montagne dove avrebbero dovuto combattere un nemico invisibile, ma che invece decreteranno la loro morte. I paesaggi sono bellissimi, danno l’idea della maestosità delle cime, ma il clima è inospitale per i soldati, già provati dal fuoco nemico. I bombardamenti impressionano per la loro vicinanza, ma in seguito ai primi, pur leggendo la paura negli occhi di chi è sotto attacco, si legge già la rassegnazione. Dio non si è scomodato nemmeno per salvare il figlio morto sulla croce, perché dovrebbe occuparsi di quei disperati? La vicenda si svolge nell’arco di una sola notte, ma sembra un’eternità, e il ciclo naturale della montagna, gli alberi coperti di neve (e poi straziati anch’essi dalle esplosioni), gli animali che appaiono furtivamente nei boschi, rappresentano un’atmosfera magica che però contrasta con i timori dei soldati: hanno percepito di essere carne da macello e così, quando si tratta di portare a termine una missione rischiosa a pochi passi dalla trincea sotto il fuoco incrociato dei cecchini, uno di loro decide di spararsi prima. Meglio farla finita e smettere di soffrire. Il nemico non si vede, ma si sente alitare sul collo dei militari fin dentro la trincea. Un soldato dice che spesso ode dei rumori proprio lì sotto: ha lavorato per anni come minatore ed è convinto che gli austriaci vogliano far saltare in aria la trincea. La pace della montagna è irreale e ad ogni attimo si aspetta il peggio. I soldati sono dead men walking: a stento si intravedono le facce, imbacuccati come sono per proteggersi dal freddo, degli spettri in attesa che arrivi la morte. La storia di questa trincea è comune a molte altre sugli Altipiani. Olmi si è ispirato alle lettere dei soldati realmente lette, che nel film sono uno dei pochi momenti più umani, quando tutti i militari sono in attesa di una qualche missiva che allievi la loro sofferenza: non ci sono momenti in cui i soldati compiono atti eroici, ma emerge tutta la loro debolezza umana verso un evento che li sovrasta, assai più grande di loro, che è la guerra. La trincea è un limbo in attesa dell’inferno: il Maggiore (Claudio Santamaria) arriva dai soldati, sta un po’ con loro, ma poi se ne va. I veri resistenti, pieni di dignità, sono quelli che combattono la loro vita quotidiana, prima che contro il nemico, per sopravvivere al freddo, alla fame e alla paura: sono stati dimenticati lì, abbandonati anche da Dio,  con l’illusione e la retorica guerrafondaia tipica di ogni conflitto che si era fatta strada nei salotti.

Di fronte a quel nemico che non ha né volto, né nome, né divisa, ma si palesa con terrificanti esplosioni, ciò che emerge è la precarietà di un mondo strattonato da una parte e dall’altra nel segno dei conflitti bellici e delle spese militari di cui si nutrono stati, governi e imprese. Prima o poi, davvero torneranno i prati e, come in una sorta di incantesimo riparatore, tornerà a crescere l’erba, ma, soprattutto riuscirà a farsi spazio la pace?

«Torneranno i prati»

un film di Ermanno Olmi

con Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea Di Maria

80 minuti

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • Un gran film. Alla maniera di Olmi (ovviamente) ma un film che diffama la guerra, come è giusto che sia. Non c’è però il legame fra quel massacro di 100 anni fa e quelli di oggi … più gli altri che sotto i nostri occhi si preparano (F 35 per capirsi) però era difficile dirlo in un solo film. Spetta a noi partire da questo film per arrivare ai nostri giorni.
    Una piccola nota sulla censura (o autocensura?): le frasi in dialetto sono tutte tradotte ma c’è almeno una bestemmia – “dio luamaro” – che non è finita nelle didascalie. La vicentina con cui ho visto il film me l’ha tradotta: “dio letamaio”. Era coerente con l’altra frase, citata amche da David: se dio non ha ascoltato suo figlio in croce come potrebbe dar retta ai poveri fanti in trincea?

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