17 aprile: decalogo Wwf contro i falsi miti

Quando leggerete questo articolo mancheranno solo 24 ore al referendum: domani non impigritevi e correte a votare non appena apriranno i seggi.

tratto da http://www.greenstyle.it

Un Sì convinto a favore dell’ambiente quello che il WWF pronuncia alla vigilia del referendum anti-trivelle. Mancano ormai pochissimi giorni alla data del voto, che ricordiamo previsto per domenica 17 aprile 2016. L’associazione ambientalista ha deciso di pubblicare un decalogo a sostegno del quesito referendario, rispondendo in maniera chiara su alcuni temi proposti dal fronte del No.

Un invito non soltanto a recarsi alle urne quello del WWF, ma a votare Sì al referendum anti-trivelle. Questo, spiega l’associazione, per salvaguardare l’ambiente e imporre al Governo un’inversione di rotta per quanto riguarda la strategia energetica nazionale. Come ha sottolineato Dante Caserta, vicepresidente WWF Italia:

Il nostro SI convinto è per ribadire le ragioni dell’ambiente e per chiedere finalmente chiarezza sulle scelte ambientali ed energetiche, anche dopo il 17 aprile. Chiediamo che l’Italia si doti al più presto di un Piano energetico e climatico che indichi le tappe per la decarbonizzazione della nostra economia, in coerenza degli impegni assunti alla COP 21 di Parigi da 195 Paesi (tra cui il nostro), colmando una scandalosa assenza di un pensiero strategico delle istituzioni che è durato 28 anni (l’ultimo piano Piano Energetico Nazionale è del 1988).

Questi i dieci “falsi miti” proposti dai sostenitori del No, ai quali il WWF ha deciso di rispondere punto per punto:

  1. Il quesito è troppo tecnico – È il Governo che ha introdotto una norma nella Legge di Stabilità 2016, approvata dal Parlamento, che chiede di non tenere conto del termine delle concessioni offshore entro la fascia delle 12 miglia vietata alle trivellazioni. Ed è la Corte Costituzionale che ha deciso di sottoporre la norma a referendum popolare, perché ha ritenuto che la norma contenga una proroga indefinita e ingiustificata.
  2. Il voto è irrilevante – Non è indifferente che si decida di prorogare di fatto, in contrasto con le norme comunitarie, le concessioni a 88 piattaforme che per il 48% ha più di 40 anni di età e che per il 35% viene classificato “non erogante”; si rischia così di avallare l’interesse delle aziende (in primis ENI) a non smantellare le piattaforme e procedere al ripristino ambientale dei luoghi.
  3. Tutto bene per l’ambiente – Il WWF ha dimostrato che ben il 47,7% delle piattaforme per l’estrazione di gas e petrolio (42 su 88) entro la fascia delle 12 miglia, sono state costruite prima del 1986 (data di entrate in vigore in Italia della VIA) e quindi mai sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale, 40 delle quali sono in Adriatico (26 davanti alla costa romagnola).
  4. Non c’è alcun rischio di incidente – Dal 1955 ad oggi (secondo i dati SINTEF – Offhsore Blowout Database) ci sono stati 573 sversamenti di petrolio in tutto il mondo (blowout). Un incidente grave come quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon del 2010 ha provocato il più grave inquinamento mai prodotto nei mari USA e un danno (anche all’ambiente) stimato in 20 miliardi di dollari.
  5. Le attività di estrazione offshore non inquinano – Nella fase di ricerca geosismica l’air-gun genera “esplosioni” che possono provocare danni permanenti ai cetacei o la loro morte (fonte: ISPRA, istituto di ricerca del Ministero dell’Ambiente). Nella fase di estrazione possono generarsi fenomeni di subsidenza (con abbassamento dei fondali e erosione delle spiagge) e vengono usate sostanze pericolose o tossiche contenute nelle “acque di produzione” e nei “fanghi perforanti”.
  6. Lo Stato ci guadagna – Come dimostrato dal WWF solo 18 (21%) delle 69 concessioni off-shore pagano le royalty del 7% sul valore del petrolio e del 10% sul valore del gas estratto in mare. Su 53 aziende estrattive solo 8, grazie ad un sistema di esenzioni, sono quelle che pagano le royalty allo Stato e alle Regioni. L’IRES, la tassa sul reddito delle aziende, è al 27,5%, come per ogni altra impresa. E numerosi sono gli incentivi e le agevolazioni.
  7. Aumenta l’occupazione – Assorinovabili (l’associazione delle aziende delle energie rinnovabili) ha calcolato che solo il decreto “Spalma Incentivi” ha fatto perdere almeno 10mila posti di lavoro. In Basilicata, che produce il 70% del petrolio italiano e il 20% del gas, sono solo 1600 le persone occupate nel settore dell’estrazione degli idrocarburi e 2400 nell’indotto. Le attività estrattive mettono a rischio47mila aziende turistiche costiere e 60mila posti di lavoro nella pesca.
  8. La biodiversità prospera – Le sostanze inquinanti prodotte a regime, e a maggior ragione in caso di incidente, sono pericolose o tossiche (le “acque di produzione” provenienti da installazioni a gas sono 10 volte più tossiche di quelle petrolifere). Gli idrocarburi policiclici aromatici contenuti nel greggio hanno effetti anche cancerogeni e mutageni. L’inquinamento chimico di routine e l’onda nera hanno effetti mortali a lungo termine o immediati su pesci, cetacei e uccelli marini.
  9. Le scelte istituzionali sono meditate – È dal 1988 che in Italia non viene fatto un Piano Energetico Nazionale. La Strategia Energetica Nazionale pro-fossili del 2013 è nata morta e non ha mai avuto alcuna credibilità. Nella Legge di Stabilità 2016 è stato cancellato il Piano delle aree per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che doveva essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS).
  10. Le fonti fossili sono fondamentali – Secondo stime del Ministero dello Sviluppo Economico le riserve di petrolio individuate in mare coprirebbero il fabbisogno energetico nazionale per sole 7 settimane e le piattaforme offshore nella fascia offlimits delle 12 miglia producono solo l’1.9% del fabbisogno nazionale di gas. Mentre il WWF ha dimostrato che per contenere la febbre del Pianeta anche in Italia entro il 2050 l’obiettivo 100% rinnovabili è conseguibile.
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