Reportage dalla Rocca
di Mark Adin
A dominare la sponda del Lago Maggiore su cui sorge Arona si innalza il colosso del San Carlone, statua alta una trentina di metri che raffigura Carlo Borromeo. Apprendo dal web che qualcuno si prende la briga di nominarla “Statua della Libertà della Insubria Padania”, forse perché costruita con la stessa tecnica di quella nuovaiorchese, nell’ilare affanno di ribattezzare ogni luogo possibile in senso padano. In effetti la sentinella del porto di New York è stata costruita con lastre di rame modellate e riunite sopra un telaio di ferro, ma è alta circa una volta e mezzo il Sancarlùn, e fra i suoi edificatori annovera il celeberrimo Eiffel, quello della torre parigina.
Carlo Borromeo, santo per i cattolici, nacque alla Rocca di Arona nel 1538, fu nominato abate a dodici anni e poi Cardinale segretario di Stato a vent’anni, dallo zio Papa. Si narra che il santo venne proclamato tale per meriti guadagnati sul campo, in qualità di caritatevole elargitore di mezzi ai poveretti, assistendo i malati della peste manzoniana, dando esempio di rettitudine attraverso la proverbiale castità ma, par di capire, soprattutto per meriti pastorali. Papa Woityla, in persona e in ispiritu, celebrò il ricchissimo quattrocentesimo anniversario della sua morte, all’ombra, appunto, del Sancarlone. Era il 1984.
Scopro, leggendo con vivo interesse un documentato libretto – “Il frate che sparò a S.Carlo”, di Oreste Clizio, nom de plume di Alberto Besozzi – che sulla vita del santo esistono punti di vista differenti, e non tutti i biografi sono inclini a ritenerlo tale. Il libro è ben scritto e, naturalmente, non ha mancato di sollevare polemiche e anatemi in qualità di “campana stonata”: proprio per questo mi corre l’obbligo di riferirne.
Il lavoro tiene al centro l’horrida archibuggiata tirata tra le scapole del santo, inginocchiato in preghiera, da un appartenente all’ordine degli Umiliati, tal Gerolamo Donato, detto il Farina.
Vecchia storia, se vogliamo: un potente, per demolire un avversario, lo rovina. Questo prende cappello e gli spara. La cosa è, ovviamente, più complicata, perché il destinatario della “palla e quadretti”, ricevuti nella schiena, è il gran Difensore della Riforma, nel cui simbolo araldico figura la parola “Humilitas”, Carlo Borromeo. E lo sparatore è un frate degli Umiliati, che nel loro stemma annoverano la stessa parola. Conflitti tra umili.
Gli Umiliati erano lavoratori della lana molto apprezzati che avevano saputo trarre vantaggio economico dalla loro arte, e con esso indipendenza, monopolizzando il commercio delle lane. La tesi del libro è che alcuni parenti – ramo padovano – dell’alto prelato, esercenti attività contigue, fossero molto interessati ad appropriarsi dell’organizzazione lavorativa e dei beni di quell’Ordine religioso, e che la loro persecuzione, ad opera dell’ascetico Arcivescovo, fosse perlomeno gradita, se non auspicata o addirittura suggerita.
Come dicevo, vecchia storia. Ovviamente, una ipotesi.
Venendo invece ai fatti, il colpo di archibugio partì, raggiunse il bersaglio, ma non produsse danni, e la cosa fece gridare al miracolo. Ricevette assai più danno l’Unto del Signore per mano del Tartaglia che scagliò il Duomo in miniatura. E nella reazione delle vittime c’è qualcosa che li accomuna: entrambi perdonano, entrambi chiedono che l’attentatore non venga perseguito, entrambi non vengono ascoltati. Ma guarda un po’.
Il perfido Farina riesce a fuggire dal luogo dello sparo, ma successivamente è ritracciato, torturato, e bruciato vivo, insieme ad altri quattro. Alla moda di quegli anni. Chi era lo sparatore?
Secondo l’autore era nativo di Gemonio, paesino del Varesotto che ha dato la residenza a un altro “eretico”: Umberto Bossi. Tra l’altro, Gerolamo Donato, detto il Farina – pare fosse figlio di un “prestinaio”, ovvero di un panettiere – porta l’appellativo, Donato, che il Senatùr scelse come nome d’arte nel suo poco fortunato esordio come cantante. Come l’archibugiata del Farina, non ha lasciato segno. Coincidenze.
Il frate apparteneva all’Ordine degli Umiliati, che furono accusati di essere su posizioni evangelico –luterane – calviniste – protestanti e comunque non “in linea”, in conseguenza di ciò rovinati economicamente e perseguitati personalmente. Uno dei famosi “quadroni” del Cerano, esposti nel Domm de Milàn ogni anno, al 4 novembre e seguenti, lo raffigura mentre esplode il colpo che, miracolosamente, non ferisce il santo.
Questi, grande concessionario per la Lombardia del brand controriformista, oltre a fare del bene nei lazzaretti, si peritò a fare altrettanto nelle sue celebrate visite pastorali nelle valli del Canton Ticino, dove fece cristianamente torturare un centinaio di persone e bruciare sul rogo, a testa in giù, il prevosto e una decina di donne. Sì, perché quello delle donne, per il pezzo di marcantonio che era – il Santo era alto un metro e ottanta contro la media di uno e sessanta di allora – era una vera ossessione. Benchè ne fosse attratto, le teneva algidamente a distanza. Testimonianze del tempo riferiscono che ne temesse anche solo la vicinanza, e perciò si circondasse soltanto di uomini. La sua agiografia è ricca di aneddoti in tal senso. Girò dunque le valli con un pugno di “manigoldi”[1] spingendosi fino al Gottardo e portando la parola del Signore.
Il puzzo di carne bruciata purificò più del turibolo.
Carlo Borromeo viene ancora oggi venerato come un campione della cristianità, dal popolino fino alle più alte gerarchie: è stato eletto, tra l’altro, a protettore dei meleti e Patrono di Salò, si può invocare contro la diarrea e i disordini intestinali in genere.
Tornando al Sancarlone: forse maliziosamente, lo scrittore Piero Chiara ha sostenuto, nel libro dal titolo “Sotto la sua mano”, che la testa del Colosso di Arona sia stata confezionata con il rame ricavato fondendo il pisello del Colosso di Rodi, e fornendo agli Aronesi meno pii il pretesto per rivolgersi a Lui con un poco elegante epiteto fondato sulla supposta circostanza.
Si tratta, sicuramente, degli Aronesi blasfemi, massoni, calunniatori e apostati.
Carlo Borromeo fu, al di là di ogni dubbio, Santo.
[1] Da Manegold o Mannegold, autore – 1100 circa – di libelli contro gli eretici. Per estensione, i manigoldi erano gli assistenti-fuochisti ai roghi e i torturatori della Santa Inquisizione.
Mark, hai magistralmente demolito il prete mio omonimo!! Ma ho una curiosità: che pisello doveva avere il colosso di Rodi, per fare cotanta testa?
Buonasera Mark, scrivo per dare un piccolo contributo, se possibile, a questo articolo. La statua di San Carlo Borromeo ad Arona, conosciuta in zona come il Sancarlone (mentre ammetto di non avere mai sentito il soprannome di “Statua della Libertà della Insubria Padania”, non si finisce mai di imparare!), fu realizzata tra il 1614 e il 1697, e progettata dal noto pittore, scultore e architetto Giovan Battista Crespi, noto come il Cerano (che è poi il nome del suo paese d’origine), morto ben prima che la statua fosse completata (morì nel 1632). La statua della Libertà del celebre Gustave Eiffel, fu realizzata invece tra il 1884 e il 1886, dunque quasi due secoli dopo, e dal punto di vista tecnico trovò ispirazione da altre statue colossali celebri in Europa, prima fra tutte proprio il Colosso di San Carlo (questo sarebbe il nome proprio del monumento di Arona). Scrivo questo per sottolineare il fatto che, è vero si che il celebre Eiffel realizzò una statua alta ben 93 metri, contro i 23,40 del Sancarlone, ma certamente il progetto secentesco fu non solo ispiratore, ma è da considerarsi senz’altro un’impresa eccezionale per i suoi tempi. Concludo dicendo che a mio modesto parere, dubbia o meno la figura di San Carlo Borromeo (ho letto anch’io il libretto di Oreste Clizio e ammetto che lascia non pochi motivi di riflessione) non è il caso di sminuire l’operato del Cerano (a proposito: i quadroni di San Carlo per il Duomo di Milano non sono stati realizzati tutti dal Cerano, in particolare quello dell’attentato del Farina è opera di uno dei due fratelli Della Rovere, non ricordo bene chi..), che per inciso è stato uno degli artisti più significativi del suo secolo.
Una guida turistica del novarese