Reportage, in versi, da Palermo
di Daniela Pia
Non racconterò qui di Palermo.
Né dirò della magnificenza inattesa,
della sorpresa di palazzi decadenti,
di arabi e normanni, e borboni e padroni.
Non voglio annotare le tracce di genti diverse,
E pelli e sudori, e stili e decori.
Lascerò parlare il silenzio di chiese in cui angeli,
desunti dal cielo o raccolti da strade,
spiccano il volo da ali di marmo policromo e intarsi,
verso Cristi a guardare e Madonne da invocare.
E sognerò volti e storie di tessere auree e rosoni e navi dal mare.
Saprò forse, disporre fili sottili in arazzi che son solo parole.
Intuire note di foglie e rami, figli di navata sospesa,
dentro allo Spasimo, dove un fusto crebbe,
e l’ ombra si impresse sulla parete-preghiera: di sera in sera.
Di volta in volta, sull’azzurro cielo a spezzare il velo dei fasti.
Di Palermo sto qui a imbastire di alberi e genti, entrambi:
strangolatori, di Giuda, del pane, del sapone,
limone e melograno e fico d’ India sovrano.
Popoli di onde e chiostri racchiusi, dove piume di uccelli
e brandelli di fogli son lente farfalle viste di spalle.
Cucirò rammendi di piazze ove sfrecciano palme rivali,
A colonne ritorte e tese, verso nuvole barocche, roche.
Alberi cento e millenari. Viventi vite non concesse ad umani.
Alberi verdi, nati da sangue colore del rosso:
piantati in via d’Amelio e Notarbartolo, sorti da un fosso
nato da dinamite, alberi ad inneggiare quelle vite.
spezzate “ab aeternum” al pari di colonne antiche.